Telefoni, furbi e spioni
venerdì, 22 set 2006 ore: 15.41
E così l’affare s’ingrossa. Dopo il trhiller lungi dall’essere concluso dello scorporo TIM e dei buchi nel bilancio, la vicenda Telecom s’arricchisce di ulteriori elementi di giallo. E sottolineiamo ulteriori, dato che il coinvolgimento dell’azienda telefonica nella nota vicenda delle intercettazioni telefoniche per mano del suo ex responsabile della sicurezza, Giuliano Tavaroli, e dei suoi sodali, Emanuele Cipriani e Marco Mancini, l’uno titolare della “Polis distinto” e vice direttore del Sismi l’altro, era ben nota, ma mancavano ai magistrati che indagano sulla complessa vicenda gli elementi certi per spiccare i mandati di cattura contro la banda degli spioni, com’è stata ribattezzata la collaborazione criminosa dei tre personaggi.La vicenda è ancora molto lontana dall’aver individuato i tasselli di un puzzle assai intricato, nella cui composizione vi è persino la morte ancora tutta da chiarire di Adamo Bove, ex responsabile della sicurezza TIM, che aveva fornito poco prima di morire ai magistrati che indagano sul sequestro di Abu Omar ad opera di agenti CIA, con la copertura dei nostri servizi segreti, i numeri delle utenze coperte in uso ai nostri 007.In buona sostanza il giallo è intricatissimo e l’arresto di Cipriani, Mancini e Tavaroli, peraltro implicati nel Laziogate ai danni di Marrazzo e della Mussolini, ha portato alla luce uno sconvolgente sistema di spionaggio, intercettazioni telefoniche e schedature al confronto del quale i casi SIFAR degli anni ’60 e le schedature FIAT degli anni ’70 appaiono come innocenti giochi di società. In tutto questo il ruolo di Tronchetti Provera, a cui Tavaroli rispondeva direttamente ed esclusivamente, dato che per ammissione di Armando Focaroli, responsabile dei servizi auditing di Telecom, a lui era riservato l’accesso indiscriminato ai sistemi di sicurezza della società telefonica, nell’ambito della quale poteva assumere le iniziative da lui ritenute più opportune, al di fuori di qualsiasi procedura e senza obbligo di motivazione, rimane ancora da definire, visto che delle iniziative e dell’operato del suo stretto collaboratore non poteva essere completamente all’oscuro.Non poteva essere altresì all’oscuro degli oltre 20 milioni di euro che il Tavaroli aveva versato alla Polis Distinto in circa sette anni di stretta collaborazione tra gli apparati di sicurezza della Pirelli/Telecom e questa società d’investigazione privata, dato che il denaro usciva dalle casse delle sue società e sui bilanci ve ne doveva essere evidenza, visto che non si trattava di somme irrisorie.Nel dicembre del 2004, inoltre, il Tavaroli, che tutto appare alla luce degli intrighi tranne che uno sprovveduto, rilasciò una corposa intervista a L’Espresso con la quale, oltre a rivelare l’esistenza di un vero e proprio centro segreto di ascolto e di intercettazione con annesso archivio, dal nome Amanda, e di cui era deus ex machina, magnificava la quantità e la qualità dei dati immagazzinati, quantunque omettendo ogni riferimento all’uso che degli stessi si faceva e si intendesse fare.E’ evidente che tali dichiarazioni, - da escludersi siano state rilasciate in sussistenza di un patologico delirio d’onnipotenza dell’interessato, - costituivano un probabile messaggio per chi avesse orecchi e dovesse intendere, dato che l’interessato, godendo di un giro di conoscenze e presunte protezioni di altissimo livello, aveva sicuramente valutato le conseguenze che da quelle serafiche ammissioni avrebbero potuto derivare.Anche in questa circostanza, Tronchetti Provera si affretto a precisare di essere completamente all’oscuro dell’esistenza delle cose rese pubbliche dal suo stretto collaboratore, che se lascia dubbiosi in ordine alle responsabilità a lui in capo sull’obbligo di vigilare dell’operato del sottoposto, specialmente per il ruolo da questi ricoperto, non può non destare più di qualche perplessità l’implicita ammissione di non sapere cosa ti accade in casa, in considerazione del fatto che è molto improbabile che il Tavaroli avesse messo su le strutture di cui si vantava in una notte o nei ritagli di tempo, magari a conclusione della normale giornata lavorativa.Il gip Paolo Belsito ha comunque dichiarato “Non si può dubitare che, nella stragrande maggioranza dei casi, le investigazioni avessero come destinatario, qualcuno posto al di sopra di Tavaroli”, che lascia preludere quale direzione abbiano preso le indagini per identificare eventuali mandati o cupole.Gli sviluppi assolutamente certi che sono da attendersi dalla vicenda crediamo serviranno a chiarire parecchie zone ancora in ombra, quantunque non ci si debbano fare eccessive illusioni sulla possibilità che della spy story alla fine ci vengano rivelati tutti i dettagli: com’è nella tradizione di questo tipo di indagini e non sappiamo in virtù di quale giustificata necessità, i nomi dei politici contenuti negli archivi della triade, per esempio, sono già stati secretati, mentre è noto che vi compaiano i nomi di Geronzi, Gnutti, Benetton, De Benedetti e tantissimi altri, noti e meno noti, a cui tale ossequiosa riservatezza non è stata concessa. Per quanto ci riguarda, la nostra attenzione alla questione rimane alta non tanto per l’altisonanza dei nomi coinvolti, sia in qualità di autori dei reati che in quanto vittime dei reati medesimi, quanto per il significato che vicende come queste assumono nell’ambito del nostro sistema democratico, che giorno dopo giorno dimostra come l’infezione della corruzione, del mal costume, del ricatto, della fragilità dei controlli è ormai divenuta una metastasi che avvelena l’intera convivenza sociale, con scarse, se non nulle, probabilità di guarigione e dove la consolidata prassi di comminare tiepidi castighi non è deterrente, ma poderoso stimolo alla proliferazione di comportamenti emulativi.
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