mercoledì, febbraio 08, 2023

Le primarie del PD all’insegna del mea culpa


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Martedì, 7 febbraio 2023

Puntata siracusana di Elly Schlein, una dei quattro pretendenti alla segreteria del Partito Democratico dopo le dimissioni di Enrico Letta, lo scorso venerdì 3 febbraio. Per l’occasione la concorrente alle primarie è stata accompagnata da Beppe Provenzano, vice segretario nazionale del partito in veste di mentore della giovane leonessa, che non ha lesinato parole di apprezzamento per una candidata uscita dal partito in contrasto con i suoi indirizzi politici e rientratavi in occasione di queste primarie.

Davanti a una sala gremita da attempati simpatizzanti della sinistra, in cui i giovani sono apparsi sostanzialmente latitanti, Schlein ha sciorinato il triste elenco delle inadempienze del PD consumatosi in un lungo decennio di protagonismo nella vita politica italiana, sottolineando quanto alcuni dei provvedimenti promossi dal partito, come quelli di Matteo Renzi in tema di lavoro, abbiano contribuito ad allargare la frattura tra la base e la nomenclatura della sinistra, determinando un crollo di consensi e una sorta di autoreferenzialità su cui si è gradualmente costruito il successo delle destre alle passate elezioni politiche nazionali.

Quello di Schlein è suonato come un mea culpa della sinistra, sebbene l’elencazione delle priorità su cui la candidata ritiene di avviare una rinnovata fase di battaglie politiche in caso di personale successo siano sembrate più delle dichiarazioni di buona volontà che effettivi percorsi programmatici, dato che la loro traduzione in concreto dipenderà dall’opera di pulizia da condurre all’interno del partito, un’opera di sostituzione di una classe dirigente bolsa, litigiosa, inquinata dalla presenza di forze eterogenee e tradizionalmente estranee alla cultura di una sinistra genuina.

Schlein non ne ha fatto apertamente menzione, ma appare difficile possano avviarsi significative rivoluzioni all’interno di un partito che nel tempo si è presentato quale carta assorbente di transfughi della vecchia DC e che di recente non ha esitato ad accogliere personaggi provenienti dai 5 Stelle, che sino al giorno precedente non avevano certo esitato a spargere fango sul PD.  Riteniamo che la credibilità di un progetto politico innovativo, rifondante la propria missione, passi attraverso la presentazione di una classe dirigente genuinamente posizionata nella sinistra, capace di rappresentare nella volontà e nella prassi programmi politici ispirati alla tutela dei diritti, all’uguaglianza, alla giustizia sociale, alla battagli contro l’emarginazione, all’equità dei salari e dei redditi, anche se questi obiettivi possono poi confinare in posizione di minoranza. Non è certo con il reclutamento indiscriminato di peones senza cittadinanza, che possono aumentare di percentuali insignificanti il peso del partito, che si acquisisce il consenso di un elettorato deluso e, sostanzialmente, tradito.

Se i punti programmatici sciorinati da Schlein sono apparsi sufficienti, - emergenza climatica, rilancio degli investimenti nella sanità, riqualificazione dell’insegnamento e della cultura – quest’ultimo incurabile con anacronistiche proposte di introduzione di gabbie salariali, penalizzanti il Sud rispetto al Nord, - problematiche fiscali e retributive, condanna senza attenuanti del Job’s Act di Matteo Renzi, - non ha affatto convinto che la gravissima questione lavoro sia stata relegata all’ultimo posto della sua esposizione.

Piaccia o meno, la questione precarietà del lavoro, per quanto elencata tra le ineludibili emergenze sociali e politiche del paese, non può ritenersi meritevole di attenzione solo all’ultimo posto del programma di rilancio del PD di Schlein, non fosse perché il lavoro è l’elemento su cui si fonda il solenne principio di dignità umana. 

Il lavoro, oltre ad essere il presupposto attraverso il quale si rinforzano i concetti di famiglia, cittadinanza e identità sociale è l’elemento su cui si sviluppa il senso nazionale di appartenenza, l’identità di cittadinanza, poiché è attraverso la sua implementazione che l’individuo può garantire a sé e al proprio nucleo familiare una dignitosa esistenza e la partecipazione attiva al benessere della collettività: non a caso i padri costituenti hanno stabilito che il lavoro è fondamento della Repubblica. Relegare la lotta al precariato, alla rimozione del cancro che ha da oltre un decennio creato milioni di sbandati sottopagati, privi di diritti, scippati del proprio futuro, incapaci di dare una minima programmazione alla propria vita è un crimine verso il quale non è sufficiente recitare battersi il petto. Aver dato in pasto al profitto, alla speculazione capitalistica e finanziaria milioni di vite nel tentativo di accreditarsi quale partito politico moderno, che ha seppellito definitivamente l’indole difensiva dei deboli e degli emarginati, presumendo che questo trasformismo avrebbe consentito di acquisire il certificato di garanzia di un liberismo scevro dall’infezione di un egualitarismo di matrice marxiana, ha rappresentato un errore esiziale imperdonabile.

Il dna della base del PD, a prescindere dai cambiamenti di etichetta da PCI a PDS a DS a PD, è rimasto saldamente legato a un’ideologia di tutela dei lavoratori, dei loro diritti, della creazione di pari opportunità, di equità retributiva, di garanzia del posto di lavoro e della sua continuità. Elencarlo ai margini di un progetto di rifondazione e recupero dei valori passati assume un maleodorante significato di manieristico tentativo di ammannire improbabili contentini, capziosi stimoli a rientrare nell’ovile dove comunque le scelte prioritarie rispondenti a una classe dirigente recalcitrante al cambiamento sono già state delineate e le politiche del lavoro e le ferite che ha inferto sono certamente l’ultimo dei problemi per chi pascola nel giardino d’inverno.

Come non bastasse si lanciano proclami per il varo di un nuovo statuto dei lavoratori, ma non si rinnega il genocidio dei diritti perpetrato da Matteo Renzi con l’abolizione dell’art. 18, abolizione paradossalmente realizzata proprio dal segretario del PD e riuscita là dove erano per anni falliti i tutti i tentativi dei governi di destra.

Parimenti non una parola sul reddito di cittadinanza, che il governo neoreazionario di Giorgia Meloni ha già deciso di cancellare all’alba del prossimo luglio, come se in quella data, come per incanto, sarà scomparsa l’indigenza diffusa o si saranno resi disponibili i milioni di posti di lavoro necessari a occupare i senza lavoro o per schiodare i choosy dal divano e dare un taglio alle loro presunte orge di televisione e videogiochi.

Francamente il quadro appare a metà strada tra lo sconcertante e lo sconfortante, preso atto che, a prescindere dalle dichiarazioni di sperabile buona volontà di Schlein, il ventre mole del PD si consuma in sterili e animosi confronti tra correnti o in scoordinate iniziative individuali, che appaiono più di personale propaganda che effettive linee politiche di tendenza.

Ovviamente in questo paese divorato dall’inflazione, dalla povertà sempre più diffusa, dalla propaganda ingannevole che spaccia per incremento dell’occupazione il ricorso alla precarietà selvaggia, dalla drammatica crisi della sanità pubblica, l’attenzione politica della sinistra non può limitarsi a privilegiare principalmente le problematiche dei migranti. Pur apprezzando il senso pietistico e umanitario di certe iniziative, occorre concentrare l’attenzione sulla realtà di un paese zeppo di cittadini elettori bisognosi di tutela e assistenza, che valutano i propri rappresentanti sulla scorta della solidarietà che ricevono alla soluzione dei propri problemi.

Sulla scorta di queste considerazioni non è più importante chi vincerà la corsa alla segreteria del partito, ma sarà rilevante la capacità che la nuova segreteria avrà nel saper tradurre in azione concreta ciò che costituisce il vero pathos dell’elettorato, con il confronto, l’ascolto, il sostegno e, - perché no, - con l’aiuto concreto a chi sino a oggi è condannato ad annaspare  nelle periferie dell’emarginazione.

 

 

giovedì, ottobre 31, 2019

Scrivi al tuo parlamentare


La bufala della vicinanza tra paese legale e paese reale – Le vergognose escamotage per fingere democrazia – Ancora un esempio di autoreferenzialità della politica 

Giovedì, 31 ottobre 2019
La democrazia è certamente basata sul forte rapporto tra eletto ed elettore, sulla capacità del rappresentante di interpretare, promuovere e tutelare gli interessi del rappresentato. Ciò non significa sussistenza di un vincolo di mandato, escluso dalla nostra Carta costituzionale, ma più semplicemente esecuzione di un mandato coerente con gli impegni assunti dall’eletto nella fase di proposizione della propria candidatura.
Nel corso del tempo ed in conseguenza delle trasformazioni profonde intervenute nel sistema elettorale, tale concetto ha assunto un significato del tutto teorico, poiché i meccanismi elettorali attuali hanno espropriato l’elettore del diritto alla scelta del candidato, diritto di cui si è appropriato il partito, la segreteria politica, criterio largamente contestato dai sostenitori dell’ortodossia democratica, ma immodificabile a causa dell’interesse trasversale di tutti i movimenti politici a gestire in posizione di potere la selezione dei candidati. Ciò implica che se l’interesse della nomenklatura di un partito è di circondarsi di sodali fedeli, all’elettore non resta che esprimere la propria preferenza per una certa compagine politica, prescindendo dal valore effettivo e dalle capacità di quanti, una volta eletti all’interno di una lista preordinata dal leader di quella compagine, saranno in grado di rappresentare, promuovere e tutelare i lori interessi.
Questo criterio elettorale ha costituito un vero e proprio sabotaggio di fatto al principio di democrazia, sabotaggio aggravato dall’introduzione di sofisticati metodi di espressione del voto popolare, tesi non a garantire la supremazia delle maggioranze e, al contempo, la tutela delle minoranze, ma subdolamente finalizzate ad escludere o, quantomeno, a ridimensionare il peso degli sconfitti relegati nella cosiddetta opposizione.
Da qui con il tramonto delle ideologie ed il passaggio all’etica dell’opportunismo, si è assistito alle formazioni di vere e proprie caste politiche, difficilissimo da smantellare, sebbene ciò abbia implicato una fortissima volatilità del consenso e la notevole caduta della partecipazione elettorale.
Nell’epoca di internet e della comunicazione di massa non mancano i meccanismi intesi a recuperare il rapporto di relazione tra politica e paese reale, tra eletto e cittadino e la formula dello “scrivi al tuo parlamentare” dovrebbe o vorrebbe essere proprio il veicolo con il quale ripristinare una sorta del rapporto di vicinanza smarrito.
Purtroppo – ma qualcuno lungimirante e conoscitore delle debolezze umane lo aveva previsto – il sistema si è rivelato un vero e proprio imbroglio, una finzione meschina per illudere quanti si fossero convinti che bastasse inviare un mail o un messaggio al politico in carica per essere ascoltati, per avere esaudita una richiesta, per stimolare una riflessione su argomenti di interesse personale ma di comune ricaduta. Nella stragrande maggioranza dei casi i politici – ma sembra che l’infezione si sia rapidamente diffusa a tutti i livelli della burocrazia di potere – non ti degnano del minimo riscontro e, men che meno, quel silenzio è smentito da iniziative di qualunque natura interpretabili come fattiva presa in carico della problematica segnalata. Insomma, si assiste all’atto finale di uno scollamento tra il paese legale e quello reale, un collasso comunicativo e rappresentativo nel quale il cittadino non conta nulla, o se conta ha solo significato d’indicibile fastidio, e il politico gestisce cinicamente i propri interessi attribuendone il vantaggio ad un popolo virtuale menzionato ad ogni piè sospinto esclusivamente per imbonire i gonzi e attribuirsi meritori crediti: ovviamente è del tutto consapevole che a scaldare una poltrona lautamente remunerata sarà riconfermato dal capobastone del suo movimento politico, non dalla gratitudine del povero idiota che in lui ha riversato le proprie speranze.
Ciò che sconcerta, comunque, non è in sé la vergognosa finzione messa in campo per illudere i cittadini, quanto la rapida diffusione con la quale partiti e movimenti politici tradizionalmente legati ad una prassi di larga vicinanza ai problemi della gente abbiano assunto questo costume. PD, LeU, M5S, partiti di sinistra operaia e popolare sono divenuti élite autoreferenziali avulse da ogni legame con le proprie basi; snob professionisti della politica affarista preoccupati solo della conservazione della posizione di privilegio, incapaci – ma più probabilmente recalcitranti o strafottenti – nell’interpretare le vere emergenze di un popolo logorato da vessazioni quotidiane, da una tremenda pressione fiscale, da una selvaggia e ingestita disoccupazione, che ne mortifica la dignità e non lascia speranza ai suoi figli.
Si scriva, allora, si scriva che nell’epoca della comunicazione di massa tutto fa scena e con le illusioni si surrogano i drammi della realtà.