Pensione mon amour: solo un miraggio?
venerdì, 15 set 2006 ore: 18.04
Che quello attuale sia un governo con il cuore che pulsa sinistra è fuori discussione. E non solo per la sua dichiarata collocazione elettorale e le componenti all’interno della sua coalizione, ma per fatti riscontrabili accaduti nei primi cento giorni dal suo insediamento.
A differenza di quanto fece il governo precedente, che durante i primi cento giorni pensò bene di mettersi al lavoro per varare uno straordinario provvedimento di legge per detassare del tutto lasciti ed eredità (i 300 milioni previsti quale limite d’esenzione non furono ritenuti sufficienti ed, alla luce degli spropositati quanto ingiustificati aumenti del costo della vita, non si comprende se per chiaroveggenza dei proponenti o perché, avvezzi a navigar nell’elusione endemica, quegli stessi proponenti era consapevoli che ogni italiano possedeva beni oltre quella ridicola cifra da destinare ai posteri), gli attuali governanti hanno pensato bene di aprire - di fatto ancora niente – il dibattito su come riformare il mercato del lavoro, - su cui ci soffermeremo prossimamente, - e l’aberrante sistema pensionistico varato nel corso della precedente legislatura.
Com’è tristemente noto, il ministro Maroni, - che ci si augura non abbia prima o poi a fare come il suo sodale di partito Calderoli a proposito della vergognosa legge elettorale da lui medesimo ideata e dalla quale, in un inconsueto rigurgito di buon senso, ha preso le distanze (l’insuccesso è sempre orfano, recita un vecchio adagio), - ha pensato bene che per risolvere i gravissimi problemi economici di deficit pubblico era necessario intervenire sul sistema pensionistico, modificando i requisiti minimi di accesso all’assegno di anzianità. Ovviamente poco rilevava che il suo compagno di banco in quel governo, tal Tremonti, delegato all’importantissimo ministero dell’economia imponesse nell’ambito della legge finanziaria, sempre nell’ottica di ridurre il deficit nazionale e con dichiarata osservanza delle direttive comunitarie, ridicoli provvedimenti di condono, con i quali, a prezzo di svendita, si cancellavano annosi e gravissimi reati di evasione fiscale nei confronti di coloro che, effettivamente, avevano contribuito a vestire lo stivale non delle classiche mutande, ma di un osceno e ridottissimo tanga. Nella logica del meglio poco che nulla, quindi, si pensò che l’introitazione di condoni, cartolarizzazioni, sanatorie edilizie ed altre amenità simili avrebbe contribuito a risanare i conti, dimenticando che una sana e seria lotta all’evasione, non solo dichiarata ma effettivamente perseguita, avrebbe prodotto risultati molto più apprezzabili di quelli nei fatti consuntivati.
In questo quadro di fantasiose iniziative, il predetto Maroni giunse alla conclusione che un vigoroso aiuto all’equilibrio dei conti pubblici sarebbe potuto derivare dall’inibizione per legge di andare in pensione a tutti i disgraziati che raggiungevano il 57mo anno di età nel 2008, ancorché titolari di 35 anni di contribuzione. Per costoro, l’accesso al nirvana veniva posticipato al compimento del 60mo anno di età, e sempre che tale traguardo fosse raggiunto nel 2010, poiché, dal 2011, l’età si sarebbe innalzata a 61 anni.
C’è da credere che solo per ipocrisia e non certo per buon gusto, il provvedimento in questione non sia stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana con la dicitura “con l’augurio di un repentino trapasso!”, apposta prima della rituale tiritera sull’obbligo di rispettare e far rispettare la legge, dato che con sfrontatezza da parte degli stessi autori dell’improvvida legge si affermò che i benefici della riforma avrebbero prodotto i loro effetti appena dal 2016.
In buona sostanza con questo provvedimento intere schiere di cittadini, nati tra il 1951 ed il 1953, si sono ritrovati assurdamente penalizzati nell’esercizio di un loro sacrosanto e profumatamente pagato diritto, quantunque coltiveranno la speranza di passare alla storia grazie all’alto contributo versato alla patria e, chissà, magari i loro figli un giorno orgogliosi porteranno a spasso il cane in un luogo loro intitolato,quale “piazza Martiri di Maroni”.
Ma l’ex ministro non ritenne avrebbe potuto guadagnarsi onori ed apprezzamento maggiori se avesse modificato il sistema pensionistico suo e dei suoi amici parlamentari? O come al solito vale il predicare bene e il razzolar malissimo?
Riprendendo il discorso sui nuovi governanti, abbiamo assistito ad una ripresa del dibattito, con interventi traboccanti solidarietà verso gli sfortunati Martiri di Maroni, di Fassino, Prodi, Giordano, Bertinotti e così via, tutti rassicuranti sull’opportunità di una riforma correttiva che ripristini la parità di trattamento dei cittadini senza discriminazioni di sesso, religione, idee politiche e, - sarebbe il caso di aggiungere, - anno di nascita.
Tuttavia, non c’è al momento da farsi grandi illusioni, poiché il nostro è il paese in cui nulla è più definitivo di ciò che è provvisorio, come ci insegna la storia, ed i benpensanti, che alzavano gli scudi all’opposizione al tempo in cui il governo Berlusconi varava l’improvvida riforma, o che promettevano in campagna elettorale la cancellazione tout court della norma incriminata – quest’impegno è persino scritto, nero su bianco, nel programma della sinistra, - sono gli stessi che nell’attuale dibattito o si sono intiepiditi o propongono soluzioni rabberciate che, in ogni caso, sembrano preludere al tradimento degli impegni assunti verso gli elettori.
Noi vigileremo attentamente e come sempre terremo conto dei fatti, che di dichiarazioni e promesse non è mai morto nessuno. In ogni caso, confidiamo, al di là delle manfrine e dei rituali, che questi governanti vogliano esser di parola, poiché, in caso contrario, non riteniamo il paese sia più disposto a dar loro fiducia, secondo il principio che è meglio l’imbroglione ché da lui sai cosa aspettarti.
A differenza di quanto fece il governo precedente, che durante i primi cento giorni pensò bene di mettersi al lavoro per varare uno straordinario provvedimento di legge per detassare del tutto lasciti ed eredità (i 300 milioni previsti quale limite d’esenzione non furono ritenuti sufficienti ed, alla luce degli spropositati quanto ingiustificati aumenti del costo della vita, non si comprende se per chiaroveggenza dei proponenti o perché, avvezzi a navigar nell’elusione endemica, quegli stessi proponenti era consapevoli che ogni italiano possedeva beni oltre quella ridicola cifra da destinare ai posteri), gli attuali governanti hanno pensato bene di aprire - di fatto ancora niente – il dibattito su come riformare il mercato del lavoro, - su cui ci soffermeremo prossimamente, - e l’aberrante sistema pensionistico varato nel corso della precedente legislatura.
Com’è tristemente noto, il ministro Maroni, - che ci si augura non abbia prima o poi a fare come il suo sodale di partito Calderoli a proposito della vergognosa legge elettorale da lui medesimo ideata e dalla quale, in un inconsueto rigurgito di buon senso, ha preso le distanze (l’insuccesso è sempre orfano, recita un vecchio adagio), - ha pensato bene che per risolvere i gravissimi problemi economici di deficit pubblico era necessario intervenire sul sistema pensionistico, modificando i requisiti minimi di accesso all’assegno di anzianità. Ovviamente poco rilevava che il suo compagno di banco in quel governo, tal Tremonti, delegato all’importantissimo ministero dell’economia imponesse nell’ambito della legge finanziaria, sempre nell’ottica di ridurre il deficit nazionale e con dichiarata osservanza delle direttive comunitarie, ridicoli provvedimenti di condono, con i quali, a prezzo di svendita, si cancellavano annosi e gravissimi reati di evasione fiscale nei confronti di coloro che, effettivamente, avevano contribuito a vestire lo stivale non delle classiche mutande, ma di un osceno e ridottissimo tanga. Nella logica del meglio poco che nulla, quindi, si pensò che l’introitazione di condoni, cartolarizzazioni, sanatorie edilizie ed altre amenità simili avrebbe contribuito a risanare i conti, dimenticando che una sana e seria lotta all’evasione, non solo dichiarata ma effettivamente perseguita, avrebbe prodotto risultati molto più apprezzabili di quelli nei fatti consuntivati.
In questo quadro di fantasiose iniziative, il predetto Maroni giunse alla conclusione che un vigoroso aiuto all’equilibrio dei conti pubblici sarebbe potuto derivare dall’inibizione per legge di andare in pensione a tutti i disgraziati che raggiungevano il 57mo anno di età nel 2008, ancorché titolari di 35 anni di contribuzione. Per costoro, l’accesso al nirvana veniva posticipato al compimento del 60mo anno di età, e sempre che tale traguardo fosse raggiunto nel 2010, poiché, dal 2011, l’età si sarebbe innalzata a 61 anni.
C’è da credere che solo per ipocrisia e non certo per buon gusto, il provvedimento in questione non sia stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana con la dicitura “con l’augurio di un repentino trapasso!”, apposta prima della rituale tiritera sull’obbligo di rispettare e far rispettare la legge, dato che con sfrontatezza da parte degli stessi autori dell’improvvida legge si affermò che i benefici della riforma avrebbero prodotto i loro effetti appena dal 2016.
In buona sostanza con questo provvedimento intere schiere di cittadini, nati tra il 1951 ed il 1953, si sono ritrovati assurdamente penalizzati nell’esercizio di un loro sacrosanto e profumatamente pagato diritto, quantunque coltiveranno la speranza di passare alla storia grazie all’alto contributo versato alla patria e, chissà, magari i loro figli un giorno orgogliosi porteranno a spasso il cane in un luogo loro intitolato,quale “piazza Martiri di Maroni”.
Ma l’ex ministro non ritenne avrebbe potuto guadagnarsi onori ed apprezzamento maggiori se avesse modificato il sistema pensionistico suo e dei suoi amici parlamentari? O come al solito vale il predicare bene e il razzolar malissimo?
Riprendendo il discorso sui nuovi governanti, abbiamo assistito ad una ripresa del dibattito, con interventi traboccanti solidarietà verso gli sfortunati Martiri di Maroni, di Fassino, Prodi, Giordano, Bertinotti e così via, tutti rassicuranti sull’opportunità di una riforma correttiva che ripristini la parità di trattamento dei cittadini senza discriminazioni di sesso, religione, idee politiche e, - sarebbe il caso di aggiungere, - anno di nascita.
Tuttavia, non c’è al momento da farsi grandi illusioni, poiché il nostro è il paese in cui nulla è più definitivo di ciò che è provvisorio, come ci insegna la storia, ed i benpensanti, che alzavano gli scudi all’opposizione al tempo in cui il governo Berlusconi varava l’improvvida riforma, o che promettevano in campagna elettorale la cancellazione tout court della norma incriminata – quest’impegno è persino scritto, nero su bianco, nel programma della sinistra, - sono gli stessi che nell’attuale dibattito o si sono intiepiditi o propongono soluzioni rabberciate che, in ogni caso, sembrano preludere al tradimento degli impegni assunti verso gli elettori.
Noi vigileremo attentamente e come sempre terremo conto dei fatti, che di dichiarazioni e promesse non è mai morto nessuno. In ogni caso, confidiamo, al di là delle manfrine e dei rituali, che questi governanti vogliano esser di parola, poiché, in caso contrario, non riteniamo il paese sia più disposto a dar loro fiducia, secondo il principio che è meglio l’imbroglione ché da lui sai cosa aspettarti.
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