Telecom ancora al bivio - Il telefono la nostra croce
venerdì, 15 set 2006 ore: 16.03
E così si torna all’antico. Dopo qualche anno di tregua, seguita al cambio di proprietà da Colaninno a Tronchetti Provera, duratane la quale non sono comunque mancati interventi di ingegneria finanziaria ad opera del nuovo management, che così vasta eco hanno avuto sugli organi di stampa nazionali ed internazionali, ecco che la Telecom torna a far parlare di sé e questa volta non per annunciare positivi risultati o iniziative industriali di rinnovato rilancio, quanto per prefigurare l’inizio di una probabile riedizione dell’ennesima via crucis.La società è piena di debiti e, dunque, preannuncia l’avvio di una cura dimagrante il cui iter oltre che l’esito sono ancora tutti da scoprire.Di certo si sa al momento che rientrerebbe nei suoi piani la dismissione della controllata brasiliana, il cui valore non è comunque tale da lasciar presagire una rapida guarigione del malato grazie all’introitazione del suo controvalore di vendita.
Allora qual’è la medicina più adeguata? E individuata la medicina, quali sono le reali prospettive di rilancio della storica società di telefonia italiana?
La risposta è ardua considerando le decisioni che il CdA Telecom ha assunto nelle scorse ore. Lo scorporo della società di gestione della rete telefonica cellulare TIM, infatti, prelude a qualche ulteriore mossa in serbo che, come un coniglio dal cilindro del prestigiatore, prima o poi salterà fuori per la gioia degli amanti del thriller.Questa società, nata peraltro da una costola della Telecom nella quale era stata poco tempo fa riassorbita insieme alla sorella TIN.IT, anche lei prima scorporata dalla TIM per ottimizzare le attività collegate ad internet e poi nuovamente incorporata per ragioni non del tutto chiare, è valutata tra i 35 ed i 40 miliardi di euro, che rendono più comprensibile non solo le ragioni dello scorporo, ma anche quale dovrebbe essere il destino del comparto telefonia cellulare nel quadro dell’indebitamento della casa madre.Lo scenario è ancora più ingarbugliato qualora si tenga conto dei lunghi contatti ed annesse trattative che il gruppo di Tronchetti Provera ha intavolato con Murdock, l’ormai mitico tycoon australiano padrone in mezzo mondo di tv e carta stampata, al punto da non potersi escludere che un intesa con il magnate per l’ingresso del feudo Tronchetti nell’appetitoso business della tv digitale sarebbe possibile solo con l’azzeramento dell’indebitamento che in questo momento appesantisce i conti della Telecom.
Ma a parte queste considerazioni frutto delle elucubrazioni di chi scrive e, pertanto, prive di elementi di riscontro, dato l’alone di mistero che circonda l’affaire Sky/Pirelli e la cui valenza sarebbe del tutto giornalistica qualora stessimo parlando di un’azienda privata qualsiasi, c’è da chiedersi se sia lecito che la proprietà della storica società di gestione telefonica, di controllo pubblico sino agli anni ’90, possa avere licenza di fare e disfare a proprio piacimento in un settore strategico per il paese, in cui la presenza dell’imprenditoria nazionale si ferma ormai al portone della stessa Telecom.Non può trascurarsi, infatti, che Wind ed Omnitel, – ora Vodafone, – che rappresentano oltre il 40% del mercato telefonico cellulare, sono passate allo straniero. Se alle due prima elencate società aggiungiamo anche la H3G, gestore del sistema UMTS, di proprietà dei cinesi di Taiwan, la percentuale predetta lievita ulteriormente. Vi è infine la miriade di gestori di telefonia fissa, nata l’indomani del processo di rottura del monopolio SIP, che restringono ulteriormente il peso della Telecom, che comunque rimane unica proprietaria degli impianti di trasmissione per la telefonia tradizionale.
E’ evidente che le decisioni sul futuro di una società di tale rilevanza non possono essere assunte né in base a mere logiche finanziarie di natura speculativa, né in base ad un principio di libertà imprenditoriale che cozzi contro gli interessi nazionali, ma debbono necessariamente passare il vaglio delle autorità di governo e, se necessario, del parlamento, competenti in materia di scelte come quelle enunciate.
In settori economici in cui il processo di liberalizzazione è iniziato ben prima che in quello delle telecomunicazioni, per esempio in quello del trasporto aereo, il governo ha ritenuto doveroso intervenire, al di là di qualsiasi valutazione sulla bontà degli indirizzi assunti, per tutelare un patrimonio, che comunque si giri la frittata, ha pagato il contribuente italiano e che, causa quelle scelte, sta ancora pagando. Allo stesso modo riteniamo che nella vicenda Telecom la politica non può restare alla finestra ed assistere inerte agli esercizi di alchimia finanziaria che a qualche metro dal davanzale si stanno sperimentando in barba ad ogni principio di trasparenza.Ancora una volta vi è il concreto rischio che nei cosiddetti salotti buoni, o nei quartierini secondo i punti di vista, i furbetti di turno preparino l’ennesimo piattino, dimentichi che i progetti messi in cantiere significano anche posti di lavoro e redditi di famiglie, interessi di piccoli risparmiatori che non hanno voce in capitolo e comunque costi per l’intera collettività.
Allora qual’è la medicina più adeguata? E individuata la medicina, quali sono le reali prospettive di rilancio della storica società di telefonia italiana?
La risposta è ardua considerando le decisioni che il CdA Telecom ha assunto nelle scorse ore. Lo scorporo della società di gestione della rete telefonica cellulare TIM, infatti, prelude a qualche ulteriore mossa in serbo che, come un coniglio dal cilindro del prestigiatore, prima o poi salterà fuori per la gioia degli amanti del thriller.Questa società, nata peraltro da una costola della Telecom nella quale era stata poco tempo fa riassorbita insieme alla sorella TIN.IT, anche lei prima scorporata dalla TIM per ottimizzare le attività collegate ad internet e poi nuovamente incorporata per ragioni non del tutto chiare, è valutata tra i 35 ed i 40 miliardi di euro, che rendono più comprensibile non solo le ragioni dello scorporo, ma anche quale dovrebbe essere il destino del comparto telefonia cellulare nel quadro dell’indebitamento della casa madre.Lo scenario è ancora più ingarbugliato qualora si tenga conto dei lunghi contatti ed annesse trattative che il gruppo di Tronchetti Provera ha intavolato con Murdock, l’ormai mitico tycoon australiano padrone in mezzo mondo di tv e carta stampata, al punto da non potersi escludere che un intesa con il magnate per l’ingresso del feudo Tronchetti nell’appetitoso business della tv digitale sarebbe possibile solo con l’azzeramento dell’indebitamento che in questo momento appesantisce i conti della Telecom.
Ma a parte queste considerazioni frutto delle elucubrazioni di chi scrive e, pertanto, prive di elementi di riscontro, dato l’alone di mistero che circonda l’affaire Sky/Pirelli e la cui valenza sarebbe del tutto giornalistica qualora stessimo parlando di un’azienda privata qualsiasi, c’è da chiedersi se sia lecito che la proprietà della storica società di gestione telefonica, di controllo pubblico sino agli anni ’90, possa avere licenza di fare e disfare a proprio piacimento in un settore strategico per il paese, in cui la presenza dell’imprenditoria nazionale si ferma ormai al portone della stessa Telecom.Non può trascurarsi, infatti, che Wind ed Omnitel, – ora Vodafone, – che rappresentano oltre il 40% del mercato telefonico cellulare, sono passate allo straniero. Se alle due prima elencate società aggiungiamo anche la H3G, gestore del sistema UMTS, di proprietà dei cinesi di Taiwan, la percentuale predetta lievita ulteriormente. Vi è infine la miriade di gestori di telefonia fissa, nata l’indomani del processo di rottura del monopolio SIP, che restringono ulteriormente il peso della Telecom, che comunque rimane unica proprietaria degli impianti di trasmissione per la telefonia tradizionale.
E’ evidente che le decisioni sul futuro di una società di tale rilevanza non possono essere assunte né in base a mere logiche finanziarie di natura speculativa, né in base ad un principio di libertà imprenditoriale che cozzi contro gli interessi nazionali, ma debbono necessariamente passare il vaglio delle autorità di governo e, se necessario, del parlamento, competenti in materia di scelte come quelle enunciate.
In settori economici in cui il processo di liberalizzazione è iniziato ben prima che in quello delle telecomunicazioni, per esempio in quello del trasporto aereo, il governo ha ritenuto doveroso intervenire, al di là di qualsiasi valutazione sulla bontà degli indirizzi assunti, per tutelare un patrimonio, che comunque si giri la frittata, ha pagato il contribuente italiano e che, causa quelle scelte, sta ancora pagando. Allo stesso modo riteniamo che nella vicenda Telecom la politica non può restare alla finestra ed assistere inerte agli esercizi di alchimia finanziaria che a qualche metro dal davanzale si stanno sperimentando in barba ad ogni principio di trasparenza.Ancora una volta vi è il concreto rischio che nei cosiddetti salotti buoni, o nei quartierini secondo i punti di vista, i furbetti di turno preparino l’ennesimo piattino, dimentichi che i progetti messi in cantiere significano anche posti di lavoro e redditi di famiglie, interessi di piccoli risparmiatori che non hanno voce in capitolo e comunque costi per l’intera collettività.
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