Le primarie del PD all’insegna del mea culpa
Martedì, 7 febbraio 2023
Puntata siracusana di Elly Schlein, una dei quattro pretendenti alla segreteria del Partito Democratico dopo le dimissioni di Enrico Letta, lo scorso venerdì 3 febbraio. Per l’occasione la concorrente alle primarie è stata accompagnata da Beppe Provenzano, vice segretario nazionale del partito in veste di mentore della giovane leonessa, che non ha lesinato parole di apprezzamento per una candidata uscita dal partito in contrasto con i suoi indirizzi politici e rientratavi in occasione di queste primarie.
Davanti a una sala gremita da attempati simpatizzanti della sinistra, in cui i giovani sono apparsi sostanzialmente latitanti, Schlein ha sciorinato il triste elenco delle inadempienze del PD consumatosi in un lungo decennio di protagonismo nella vita politica italiana, sottolineando quanto alcuni dei provvedimenti promossi dal partito, come quelli di Matteo Renzi in tema di lavoro, abbiano contribuito ad allargare la frattura tra la base e la nomenclatura della sinistra, determinando un crollo di consensi e una sorta di autoreferenzialità su cui si è gradualmente costruito il successo delle destre alle passate elezioni politiche nazionali.
Quello di Schlein è suonato come un mea culpa della sinistra, sebbene l’elencazione delle priorità su cui la candidata ritiene di avviare una rinnovata fase di battaglie politiche in caso di personale successo siano sembrate più delle dichiarazioni di buona volontà che effettivi percorsi programmatici, dato che la loro traduzione in concreto dipenderà dall’opera di pulizia da condurre all’interno del partito, un’opera di sostituzione di una classe dirigente bolsa, litigiosa, inquinata dalla presenza di forze eterogenee e tradizionalmente estranee alla cultura di una sinistra genuina.
Schlein non ne ha fatto apertamente menzione, ma appare difficile possano avviarsi significative rivoluzioni all’interno di un partito che nel tempo si è presentato quale carta assorbente di transfughi della vecchia DC e che di recente non ha esitato ad accogliere personaggi provenienti dai 5 Stelle, che sino al giorno precedente non avevano certo esitato a spargere fango sul PD. Riteniamo che la credibilità di un progetto politico innovativo, rifondante la propria missione, passi attraverso la presentazione di una classe dirigente genuinamente posizionata nella sinistra, capace di rappresentare nella volontà e nella prassi programmi politici ispirati alla tutela dei diritti, all’uguaglianza, alla giustizia sociale, alla battagli contro l’emarginazione, all’equità dei salari e dei redditi, anche se questi obiettivi possono poi confinare in posizione di minoranza. Non è certo con il reclutamento indiscriminato di peones senza cittadinanza, che possono aumentare di percentuali insignificanti il peso del partito, che si acquisisce il consenso di un elettorato deluso e, sostanzialmente, tradito.
Se i punti programmatici sciorinati da Schlein sono apparsi sufficienti, - emergenza climatica, rilancio degli investimenti nella sanità, riqualificazione dell’insegnamento e della cultura – quest’ultimo incurabile con anacronistiche proposte di introduzione di gabbie salariali, penalizzanti il Sud rispetto al Nord, - problematiche fiscali e retributive, condanna senza attenuanti del Job’s Act di Matteo Renzi, - non ha affatto convinto che la gravissima questione lavoro sia stata relegata all’ultimo posto della sua esposizione.
Piaccia o meno, la questione precarietà del lavoro, per quanto elencata tra le ineludibili emergenze sociali e politiche del paese, non può ritenersi meritevole di attenzione solo all’ultimo posto del programma di rilancio del PD di Schlein, non fosse perché il lavoro è l’elemento su cui si fonda il solenne principio di dignità umana.
Il lavoro, oltre ad essere il presupposto attraverso il quale si rinforzano i concetti di famiglia, cittadinanza e identità sociale è l’elemento su cui si sviluppa il senso nazionale di appartenenza, l’identità di cittadinanza, poiché è attraverso la sua implementazione che l’individuo può garantire a sé e al proprio nucleo familiare una dignitosa esistenza e la partecipazione attiva al benessere della collettività: non a caso i padri costituenti hanno stabilito che il lavoro è fondamento della Repubblica. Relegare la lotta al precariato, alla rimozione del cancro che ha da oltre un decennio creato milioni di sbandati sottopagati, privi di diritti, scippati del proprio futuro, incapaci di dare una minima programmazione alla propria vita è un crimine verso il quale non è sufficiente recitare battersi il petto. Aver dato in pasto al profitto, alla speculazione capitalistica e finanziaria milioni di vite nel tentativo di accreditarsi quale partito politico moderno, che ha seppellito definitivamente l’indole difensiva dei deboli e degli emarginati, presumendo che questo trasformismo avrebbe consentito di acquisire il certificato di garanzia di un liberismo scevro dall’infezione di un egualitarismo di matrice marxiana, ha rappresentato un errore esiziale imperdonabile.
Il dna della base del PD, a prescindere dai cambiamenti di etichetta da PCI a PDS a DS a PD, è rimasto saldamente legato a un’ideologia di tutela dei lavoratori, dei loro diritti, della creazione di pari opportunità, di equità retributiva, di garanzia del posto di lavoro e della sua continuità. Elencarlo ai margini di un progetto di rifondazione e recupero dei valori passati assume un maleodorante significato di manieristico tentativo di ammannire improbabili contentini, capziosi stimoli a rientrare nell’ovile dove comunque le scelte prioritarie rispondenti a una classe dirigente recalcitrante al cambiamento sono già state delineate e le politiche del lavoro e le ferite che ha inferto sono certamente l’ultimo dei problemi per chi pascola nel giardino d’inverno.
Come non bastasse si lanciano proclami per il varo di un nuovo statuto dei lavoratori, ma non si rinnega il genocidio dei diritti perpetrato da Matteo Renzi con l’abolizione dell’art. 18, abolizione paradossalmente realizzata proprio dal segretario del PD e riuscita là dove erano per anni falliti i tutti i tentativi dei governi di destra.
Parimenti non una parola sul reddito di cittadinanza, che il governo neoreazionario di Giorgia Meloni ha già deciso di cancellare all’alba del prossimo luglio, come se in quella data, come per incanto, sarà scomparsa l’indigenza diffusa o si saranno resi disponibili i milioni di posti di lavoro necessari a occupare i senza lavoro o per schiodare i choosy dal divano e dare un taglio alle loro presunte orge di televisione e videogiochi.
Francamente il quadro appare a metà strada tra lo sconcertante e lo sconfortante, preso atto che, a prescindere dalle dichiarazioni di sperabile buona volontà di Schlein, il ventre mole del PD si consuma in sterili e animosi confronti tra correnti o in scoordinate iniziative individuali, che appaiono più di personale propaganda che effettive linee politiche di tendenza.
Ovviamente in questo paese divorato dall’inflazione, dalla povertà sempre più diffusa, dalla propaganda ingannevole che spaccia per incremento dell’occupazione il ricorso alla precarietà selvaggia, dalla drammatica crisi della sanità pubblica, l’attenzione politica della sinistra non può limitarsi a privilegiare principalmente le problematiche dei migranti. Pur apprezzando il senso pietistico e umanitario di certe iniziative, occorre concentrare l’attenzione sulla realtà di un paese zeppo di cittadini elettori bisognosi di tutela e assistenza, che valutano i propri rappresentanti sulla scorta della solidarietà che ricevono alla soluzione dei propri problemi.
Sulla scorta di queste considerazioni non è più importante chi vincerà la corsa alla segreteria del partito, ma sarà rilevante la capacità che la nuova segreteria avrà nel saper tradurre in azione concreta ciò che costituisce il vero pathos dell’elettorato, con il confronto, l’ascolto, il sostegno e, - perché no, - con l’aiuto concreto a chi sino a oggi è condannato ad annaspare nelle periferie dell’emarginazione.
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