Elezioni 2018: vince il sogno e l’utopia
Si chiudono i seggi che decretano il trionfo di M5S e del
centro-destra – La Lega di Salvini sorpassa Forza Italia e rivendica la
leadership del governo – Renzi porta alla disfatta il PD – Difficile se non
impossibile formare una maggioranza che guidi il paese nei prossimi cinque anni
Lunedì, 5 marzo 2018
Il
4 marzo è passato e si è portato via gran parte dei rottami della seconda
repubblica, quella seconda repubblica in cui personaggi impresentabili,
delinquenti professionali, profittatori, incapaci hanno ammorbato la vita
pubblica per tanti lunghissimi anni
Il
grosso merito di questa pulizia va riconosciuto ad un uomo bravissimo a sua
insaputa, un certo Matteo Renzi, che con la sua pervicace azione politica e le
sue smodate e arroganti ambizioni è riuscito a convincere il paese che l’ora di
dare un taglio netto con la politica cialtrona, con i furbetti della serra d’inverno,
con gli strapagati scaldasedie di Montecitorio e palazzo Madama, era giunta per
colmo di misura.
In
un quinquennio di governo il PD, Renzi in testa, è riuscito ad avvelenare
completamente il clima della politica: la buona scuola, le mance da ottanta
euro, l’articolo 18, le vicende bancarie, le sperticate difese di Maia Elena
Boschi, il referendum in Basilicata, l’Italicum e il vergognoso Rosatellum, il
referendum costituzionale, la farsa delle dimissioni dalla segreteria del
partito e la sua rielezione, la scissione, l’appoggio agli impresentabili in
Campania, la figuraccia alle elezioni regionali. Quale altro segnale avrebbe
dovuto giungergli dal corpo elettorale affinché prendesse atto di essere
divenuto un pericolosissimo elemento di disfacimento del suo partito e della
sinistra?
Alla
luce dei fatti quello di Renzi rimane il caso in cui si conferma che l’eccesso
pur se accompagnato da talento smotta irrimediabilmente nella stupidità. Da
qui, anche se il populismo e la demagogia erano già in fieri con la comparsa in
scena di Silvio Berlusconi, l’apoteosi di Grillo ed i suoi boys prima e di Matteo
Salvini e delle sue armate razziste-nichiliste in fine.
Va
subito detto che alla pulizia profonda promossa con il “metodo” Renzi non è
seguito il lindore che tantissimi si auguravano. In primo luogo perché dalle
catacombe in cui avevano vissuto nell’ultimo quinquennio sono venuti fuori
giubilanti schiere di pentastellati illusi, se non convinti, di poter invertire
la rotazione dell’asse terrestre e, contemporaneamente falangi scatenate di rozzi
e facinorosi padani, tra i quali si annida qualche lurido affarista, con
bancarelle di misere collanine di vetro, luccicanti specchietti per allodole,
qualche bottiglia di pessima acqua di fuoco da ammannire come ai tempi della
prima colonizzazione d’America agli indigeni italioti.
Questo
quadro di sciagurati in visibilio in marcia su Roma alla conquista del governo
nazionale ha basato il proprio successo sulla disperazione della gente, - che
sarebbe più adeguato definire gonzi, - a cui ha promesso lo scalpo della
Fornero, pattuglie di giustizieri con licenza di sterminare neri e abbronzati,
favolose rendite statali per mantenere i disoccupati cronici, tagli alle
pensioni d’oro, potatura delle spese dello stato, riallineamento del valore
della moneta unica europea e una impossibile e ingannevole flat-tax, oltre a mirabolanti
trappole nelle quali disperati, sfiniti, incazzati, speranzosi e illusi sono
caduti come pere fradice dall’albero.
Ma
al di là delle ragioni che soggiacciono al successo di M5S e di Lega o alla
attendibilità tutta da provare delle panzane che hanno venduto per raggiungere
la strepitosa vittoria, va notato che la questione ha troppe similitudini con
le vicende del 1994, quando trionfò Silvio Berlusconi e la sua Forza Italia,
per non destare profonde preoccupazioni sul futuro prossimo. D’altra parte, se
la vittoria del populismo non avesse ricadute sul resto della nazione, cioè su
coloro che non hanno dato il loro voto agli affabulatori e agli spacciatori di
fumo, tutto sommato potrebbe anche nutrirsi un sentimento di dispiacere nei
confronti di coloro che quei governanti si sono scelti e nulla più. Invece,
come accadde per l’appunto con il trionfo di Berlusconi ed i suoi nani, le
ricadute delle folle promesse degli imbonitori si ripercuoteranno sull’intero
sistema, trascinando il paese in una probabile e pericolosissima spirale di
degrado socio-economico, che costringerà l’Europa a mettere in pratica le
misure di tutela già minacciate da Bruxelles nel 2011 e scongiurate dal nefasto
governo Monti. Forse in tanti hanno dimenticato lo spread a 540 punti e le
vicende che hanno squassato la Grecia nel farsi infatuare dai sogni ben venduti
per programmi da politicanti irresponsabili.
Né
tranquillizza la minaccia spesa in versione diversa da ciascuno dei due leader delle
fazioni vincitrici, cioè di battere i pugni in sede comunitaria per ottenere
per l’Italia provvedimenti più comprensivi e potabili o l’impegno a chiamarsi
fuori dall’Europa in caso contrario. La vicenda Brexit insegna che ancorché
dannosa in sé l’eventuale abbandono dell’Europa implica costi inimmaginabili e
insostenibili, che metterebbero definitivamente in ginocchio l’Italia, la sua
economia ed il suo equilibrio politico-sociale.
Il
quadro è inoltre complicato dalle ambizioni egemone dei due vincitori delle
elezioni, paradossalmente così vicini in parecchi punti dei rispettivi
programmi di governo, ma ciascuno più che deciso a non mollare il proprio
diritto di primogenitura. E se questo antagonismo è per certi versi un
rallentamento nella definizione di un governo, per altri è un fattore che nel
breve scongiura ci possa essere un governo pentastellato, la cui dirigenza ha
dichiarato di non volersi alleare con nessuno e di non voler cedere mai alcuna
poltrona di governo o sottogoverno: la percentuale consuntivata vedrà pure i 5
Stelle primo partito, ma la sua forza è insufficiente a creare un esecutivo
senza l’apporto di un’altra forza politica.
Analoghe
difficoltà registra la Lega di Salvini, che pur avvalendosi del peso
complessivo delle propria coalizione non è in grado di esprimere una maggioranza
di governo ed ha chance ancor più risicate di trovare un alleato in ambito
parlamentare.
Allora
il dilemma è sul come uscire da una situazione di evidente stallo, che al
momento non consente di intravvedere alcuna possibile maggioranza per la
formazione di un governo. Le vie d’uscita non sono molte, poiché il PD, partito
uscito nettamente sconfitto, è l’unico che può offrire appoggio per la
formazione di un esecutivo o del centrodestra o dei 5 Stelle con il suo 20 per
cento scarso da sommare al 32 grillino o al 37 di Salvini e soci. L’ipotesi,
tuttavia, si presenta più che remota, avendo dichiarato Renzi che il PD uscito
dalle urne avrà esclusivamente un ruolo d’opposizione e che l’impegno assunto
con gli elettori vuole che «Chi ha vinto le elezioni e ha a propria volta
assunto impegni con il proprio elettorato dimostri adesso di saper governare e
di mantenere le promesse».
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