sabato, marzo 10, 2018

Il cavallo di Troia



Finito lo spoglio delle schede elettorali, si apre tra i vincitori la competizione per la formazione di un governo – Il PD è adesso ago della bilancia – Una vittoria di Lega e M5S fondata sulla promessa di irrealizzabili sogni – La politica cambia gli attori, ma i copioni sono sempre gli stessi.


Sabato, 10 marzo 2018
A poche ore dalla chiusura dei seggi elettorali e mentre è in pieno sviluppo il dibattito sullo scenario possibile di governo vale la pena chiedersi quali siano le ragioni della disfatta politica del PD e della schiacciante vittoria di M5S da una parte e Lega dall’altra, due forze politiche populiste, antagoniste, ma con parecchi punti in comune nei rispettivi programmi elettorali.
In questa analisi non ci si può esimere primariamente dal tentativo di dare una motivazione alla débâcle del PD, che ha conseguito un risultato del 18,7% alla camera e un 19,1% al senato, risultato tra i più modesti della sua storia e che lo colloca al terzo posto tra le forze presenti nel parlamento. Non vi è dubbio alcuno che la sconfitta del PD sia strettamente legata alla figura di Matteo Renzi, segretario del partito dal dicembre del 2013, che ha dettato la politica dei democratici per oltre quattro anni e che dal febbraio 2014 al dicembre del 2016, dopo la sconfitta al referendum costituzionale, è stato presidente del consiglio.
Del periodo in cui Matteo Renzi è stato a capo del governo e dei suoi aspetti caratteriali, che non gli hanno di certo aumentato simpatie e consenso dell’elettorato, si è parlato a lungo e poco vi è da aggiungere.  Molto invece vi è da sottolineare della strategia politica sulla quale ha basato l’azione del suo governo e la stessa guida del partito, strategia e modello di leadership che ne hanno logorato l’immagine, l’affidabilità e persino la credibilità popolare e che hanno determinato infine il crollo dell’intera sinistra nazionale.
Ma più che soffermarci sugli aspetti caratteriali del personaggio è fondamentale un excursus sulla strategia politica che ha seguito, protesa da una parte a gestire l’uscita dalla crisi dell’Italia e all’acquisizione di una posizione di maggior peso in ambito europeo con particolare riguardo alle problematiche migratorie, dall’altra alla gestione di vere e proprie emergenze sociali interne, quali l’occupazione giovanile, lo sviluppo del Mezzogiorno, la moralizzazione della vita pubblica particolarmente in quelle aree del paese divenute vere e proprie radicate palestre di malaffare e di corruzione.
Non va certo trascurato il campanello d’allarme che era rumorosamente squillato all’indomani delle elezioni regionali, non ritenuto utile a motivare un dovuto cambiamento di rotta in vista delle elezioni nazionali. D’altra parte quei risultati, per esempio in Sicilia, erano stati il frutto dell’inqualificabile amministrazione Crocetta, dell’insipienza del PD e del suo segretario, che avevano assistito svogliatamente agli sprechi di pubblico denaro, ai soliti giochi di clientele, allo sfacelo della sanità, ai provvedimenti vergognosi di scandaloso aumento delle guarentigie e degli emolumenti dei parlamentari regionali, al degrado inarrestabile della rete infrastrutturale della regione, ecc.
Questo spettacolo indecente s’è consumato mentre il governo elargiva mance demenziali a insegnanti e diciottenni, dimenticando che le categorie sociali maggiormente bisognose, particolarmente in un Sud atavicamente ai margini della ricchezza nazionale, era costituito da pensionati ai limiti della povertà, da poveri assoluti e dai milioni di inoccupati per assenza di opportunità di lavoro o disoccupati per la progressiva desertificazione del tessuto industriale e produttivo. Senza mettere in conto la drammatica situazione della inoccupazione giovanile con punte del 70% e il paradossale stato di sfruttamento, ai limiti della pratica schiavistica, dei pochi fortunati assoldati con contratti fasulli e retribuzioni offensive della dignità umana nel polverizzato tessuto produttivo e commerciale residuale. A questo proposito, quando si vaneggia sul ruolo degli Ispettorati del lavoro e degli organi di controllo preposti alla verifica del rispetto delle norme di legge sul lavoro bisognerebbe avere il buon gusto d’inserirli negli enti da sopprimere seduta stante, visto che rappresentano un costo privo di qualunque beneficio, la loro attività sul campo è inesistente e nelle rarissime occasioni in cui svolgono il loro compito di verifica si ha la consolidata sensazione che fingono di ignorare il diffuso disprezzo per la legalità radicato nell’imprenditoria meridionale.
Questo quadro di disperazione diffusa ha costituito l’humus su quale M5S e Lega, cioè l’antipartitismo ed il populismo allo stato puro, hanno potuto affondare le loro radici. Le loro mirabolanti promesse hanno ammaliato i tanti delusi e le schiere dei disperati come il canto delle sirene, un canto con ritornelli fatti di improbabili redditi di cittadinanza o di dignità, generose riforme pensionistiche, impalpabili progetti occupazionali, colpi di scure alla tassazione ed altre irrealizzabili amenità, che ha consentito di irrompere nelle menti dei cittadini a con un cavallo di Troia infarcito di sogni goduriosi. Tra l’altro, mentre le promesse dei pentastellati provengono da un movimento del quale mancano riscontri sulla capacità di governo e, dunque, la cautela sarebbe stata d’obbligo vista anche l’evidente impossibilità di rendere effettivi i loro progetti, stupisce alquanto che abbia potuto far breccia la melodia leghista, particolarmente nel sud del paese, che per anni è stato bersaglio del più indicibile vituperio da parte leghista. In tanti sembra abbiano dimenticato i “forza Etna”, i “terroni tornatevene a casa” o lo sprezzante “meglio un negro in casa che un terrone all’uscio” di Bossi o Borghezio. Così come lascia basiti che il successo della Lega sia ascritto all’interno di una coalizione in cui era presente l’impresentabile Silvio Berlusconi, quel condannato per gravissimi reati fiscali che durante la campagna elettorale non ha risparmiato strali contro evasione ed elusione.
Con buona pace delle speranze degli elettori delle due compagini in questione, che a meno di miracoli difficilmente vedranno realizzare gli impegni cui hanno carpito fede, si pone adesso un difficilissimo problema di governabilità del paese, poiché nessuna delle due fazioni vincitrice può vantare una maggioranza utile per la formazione di un esecutivo. Paradossalmente ago della bilancia rimane il PD, che ha già dichiarato di non intendere appoggiare né M5S né Lega, quantunque al suo interno le spinte per uscire da quel che viene considerato come isolamento sono molteplici. La direzione del partito, fissata per il prossimo 12 marzo, potrebbe sciogliere ogni dubbio.
A proposito dell’appoggio del PD ad una delle due compagini vincitrici delle lezioni si è aperto un ampio dibattito tra favorevoli e contrari. Il paradosso è che entrambe le ipotesi conducono ad analoga conclusione e che cioè il partito democratico è destinato a scomparire, perché finirebbe per essere fagocitato dai pentastellati. L’ipotesi, pur se suggestiva, ha un suo fondamento logico, costituito da quel 7% di elettorato piddino passato ai 5 stelle che rappresenterebbe l’inizio dell’emorragia. Nell’ipotesi di un sostegno al movimento di Di Maio, invece, il PD verrebbe meno al mandato elettorale che, avendolo voluto all’opposizione, non tollererebbe l’ennesimo tradimento. E’ solo nelle prossime settimane che conosceremo le strade che il PD intende imboccare per arginare quello che, al momento, appare come il preludio della fine di una lunghissima storia della sinistra italiana.


 

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