mercoledì, febbraio 14, 2018

Dalle stelle alle stalle



Rimborsi M5S, è l’ora della resa dei conti – Anche tra i pentastellati emergono i furbetti, coloro che fingevano di versare parte dei loro emolumenti al fondo per il finanziamento delle piccole imprese – Nelle liste del 4 marzo furbetti e massoni – L’onestà si rivela solo uno slogan – E Di Maio minaccia improbabili epurazioni

Mercoledì, 14 febbraio 2018
La moglie di Cesare deve essere al di sopra di ogni sospetto”. Queste le ormai famose parole con cui Gaio Cesare, pontefice massimo, giustificò le ragioni del suo divorzio dalla moglie Pompea Silla nel tribunale dove era stato citato come testimone nel processo contro Publio Clodio, sorpreso in abiti femminili nelle stanze della moglie con la quale sembra avesse una tresca.
Dunque, Cesare, omise di testimoniare contro Clodio, ma allo stesso tempo stigmatizzò il comportamento infedele della consorte, sebbene mai provato, dichiarando che chi viveva sotto il suo tetto non avrebbe mai potuto farsi sfiorare da sospetto alcuno e restare impunito.
La storica vicenda ben si addice a quanto sta accadendo all’interno del Movimento 5 Stelle, investito dalla micidiale tempesta di comportamenti equivoci e moralmente censurabili tenuti da alcuni dei suoi iscritti, che, a peggiorare le cose, sono stati persino inseriti nelle liste degli eleggibili il prossimo 4 marzo.
Se per tanti la questione costituisce un fragoroso tonfo per la credibilità del movimento e dei suoi vertici, in particolare di quel Luigi Di Maio ormai consacrato leader politico ed aspirante alla presidenza del prossimo governo, per avversari e denigratori dei pentastellati la vicenda si è rivelata una manna celeste con la quale dare ulteriore vigore alla campagna di delegittimazione del popolo grillino ed alle sue pretese d’impartire in ogni circostanza lezioni di etica e morale politica.
In effetti la questione non è sulla critica a quattro cialtroni che sono venuti meno agli impegni assunti con il proprio partito non versando sul fondo per il finanziamento delle piccole imprese parte dei propri emolumenti parlamentari, né a qualche smemorato che non ha segnalato la propria iscrizione alla massoneria o al miserabile profittatore delle falle endemiche nei sistemi di controllo pubblico che gode dell’affitto di una casa al prezzo di una brioche e cappuccino, ma sul metodo autoreferenziale di legittimazione della propria immagine che ci si è costruiti nel tempo in modo sprezzante e manicheo: tutti i duri e puri son con noi, tutti i ladri son con voi.
Certo agli aggettivi utilizzati per sintetizzare l’indole santifica dei membri del sodalizio avrebbero potuto aggiungersene tanti altri, qualora non ci fossero già stati segnali inquietanti di un’improbabile attendibilità di quelle qualità sbandierate ai quattro venti: le vicende romane della giunta Raggi, le macchie a carico del primo cittadino di Bagheria, le stravaganza contabili del sindaco Appendino, le indagini in corso su Nogarin per l’alluvione di Livorno, le farneticazioni di Fabio Cancelleri e Di Maio sull’”abusivismo per necessità” e via dicendo.
Dunque la questione si potrebbe ridurre ad una banale sottovalutazione dell’indole umana frutto non di miopia o di ignoranza in materia di psicologia o di sociologia comportamentale, ma di tracotante superbia di chi ha messo in piedi la tragicomica compagnia, nella convinzione che la presentazione di un branco di pivelli armati di tanta buona volontà, quantunque digiuna di cultura politica e d’esperienza, potesse rappresentare un’attrazione irresistibile per un paese affetto da inguaribile reflusso gastro-intestinale nei confronti della politica tradizionale e dei suoi sputtanati rappresentanti.
Ed in effetti la cosa ha funzionato, irretendo una consistente quota d’elettorato convinto di aver trovato nei “bravi ragazzi” pentastellati i paladini di un cambiamento di registro nei rapporti tra cittadini e amministratori, tra elettorato e rappresentanti politici. In realtà il movimento, là dove ha sfondato, non è stato in grado di dare un concreto segnale d’inversione di rotta; anzi ha annaspato alla ricerca della soluzione dei problemi, non risparmiando la giaculatoria sulle altrui responsabilità e le disastrose eredità ricevute nell’esecuzione della più che rodata pratica di addossare ai predecessori ogni colpa ed ogni infamia.
Adesso, nell’imminenza delle elezioni, quando sembrava che comunque la rete furbescamente gettata con il rifiuto di collaborare con le altre forze politiche presenti in parlamento, con gli apparentamenti elettorali, con il farsesco ricorso al web per la scelta delle candidature, con le fantomatiche promesse di redditi di cittadinanza e con altrettanto velleitarie ipotesi di governi monocolore sostenuti dall’accondiscendenza degli avversari, potesse dare i suoi desiderati frutti, ecco scoppiare fragorosamente la grana dei traditori, la grana rappresentata da coloro che all’ombra degli slogan e dei superbi distinguo hanno nei fatti agito come gli altri, come gli invisi nemici dell’onestà e della santa trasparenza.
Invano ora strilla il neo giacobino Di Maio che il movimento epurerà infedeli e traditori: il re è assolutamente nudo ed è esposto al pubblico ludibrio e corre il rischio di perdere gran parte delle simpatie che s’era guadagnato a suon di balle confezionate ad arte e ostentando quella purezza che nei fatti lo sovrasta di parecchie spanne. D’altra parte Di Maio sa bene che i giochi sono fatti ed è impossibile tornare indietro e interdire ai traditori la possibilità d’essere eletti. Dunque il roteare della sua scimitarra da giustiziere serve al momento solo a disperdere le mosche attirate dall’olezzo di marcio che si leva dalle sedi del M5S.
Non è dato sapere quale sarà la conclusione di quest’ennesima farsa che oggi coinvolge il movimento fondato da Grillo. E’ certo che il grande comico non avrebbe potuto immaginare quanto la sorte gli fosse propizia nel dargli una mano per metterla in scena.

 

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