giovedì, gennaio 24, 2008

Mastella, giù la maschera.


Mercoledì, 23 gennaio 2008

Finalmente le carte sono state scoperte. Il Beato Mastella da Ceppaloni ha mostrato il suo vero volto. Il volto di un modesto politucolo di provincia piccolo piccolo che ha probabilmente considerato il proprio ruolo, l’investitura che l’elettorato gli ha conferito, come un lasciapassare per gestire a suo capriccio la cosa pubblica.
E se questo è vero, c’è da credere che gli vada ancora bene, visto che la terra dalla quale proviene è tristemente nota per aver dato i natali a guappi arroganti e prevaricatori, il cui senso della famiglia va ben oltre il comune significato di parentela stretta.
Sicuramente il Beato Mastella da Ceppaloni, che da sempre è convinto di essere l’ombelico del mondo ed è affetto da una sindrome di santità simile a quella di Berlusconi che lo pone al di sopra del giudizio degli uomini, rispetto alla tradizionali attività vocazione di quella terra, ha scelto ben altra professione, pur se in questa ha travasato la supponenza, l’arroganza e la sfrontatezza endemiche nell’approccio al mondo di quei suoi concittadini dedicatisi ad attività meno nominabili.
Non dovremmo certamente ricordare noi, - che anzi dovremmo apprendere con l’esempio del suo alto incarico istituzionale, - all’ex Ministro della giustizia che i fatti che stanno coinvolgendo la sua consorte e lui medesimo, non hanno nulla a che vedere con la sorte degli Italiani. Pertanto, pur se apprezzabile che abbia declinato l’incarico di governo all’indomani dell’avviso di garanzia per lui e il dispositivo di arresto per la consorte, non è giustificabile né lo scriteriato sfogo contro i magistrati inquirenti né la richiesta ricattatoria alla coalizione di governo di esternargli una solidarietà, che suonerebbe come inesorabile atto d’accusa verso chi, invece, sta solo facendo il proprio dovere pur se forse in maniera tardiva.
Poco importa agli Italiani che la moglie di Mastella sia figlia di contadini e lui medesimo abbia ricevuto i natali in casa di un maestro elementare, - come l’ex Ministro ha tenuto a raccontarci nel corso di una conferenza stampa il giorno dopo le sue dimissioni. Le professioni dei genitori non sono certamente una garanzia di onestà e di serietà dei figli; per cui che un Mastella con il groppo in gola ci abbia rammentato le sue origini, quasi ostentando un imprimatur di cristallinità, è solo un mal riuscito tentativo di creare sillogismi senza alcun supporto logico.
Ma il Mastella, accecato dalla rabbia per quanti non hanno ritenuto di esprimergli la propria solidarietà per fatti che nulla hanno in comune con i problemi di governo, fa di più ed oltre a sbattere la porta annuncia che il suo partito, quell’UDEUR infarcito di indagati – tutti a torto, si intende, - esce dalla maggioranza e manda a picco la coalizione, aprendo per il Paese un destino scuro e incerto.
Parlare di irresponsabilità in questo caso significherebbe quasi giustificare l’operato di Mastella. Non di irresponsabilità si tratta, infatti, ma di uno squallido gioco al massacro in cui a perdere non è di certo questo altezzoso politicante di provincia, ma il sistema Italia, che con ogni probabilità dovrà tornare alle urne e inesorabilmente riconsegnerà il Paese ad un altro campione di moderazione e senso dello stato, che non vede l’ora di trarre profitto dalla profonda delusione dei cittadini per un esecutivo rissoso, voltagabbana, approssimativo, spesso vittima dei poteri forti nel fare scelte politiche gravose per larga parte di coloro che gli avevano dato fiducia.
Ma a Mastella e parentado tutto ciò non interessa, forte di una rendita di posizione che gli consentirà di essere ancora eletto, pronto a scatenare l’ennesimo ricatto per garantire il proprio tornaconto a chiunque per governare non potrà fare a meno del suo apporto parlamentare.

lunedì, gennaio 21, 2008

Cuffaro condannato…..anzi assolto. Comunque è festa

Lunedì, 21 gennaio 2008

Pare che Totò Cuffaro non volesse credere alle sue orecchie quando un paio di giorni or sono il Tribunale di Palermo ne ha sentenziato la condanna a cinque anni di reclusione, con l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, per il reato di favoreggiamento. Presentatosi inaspettatamente in aula per la lettura della sentenza, il Governatore della Sicilia pare che a stento abbia trattenuto le lacrime per l’immensa gioia procuratole dalla lettura del dispositivo di condanna. Lui, che si attendeva che i giudici calcassero la mano con l’aggravante dell’associazione mafiosa, dato che mafiosi accertati sono coloro che hanno beneficiato dei favori per i quali è stato condannato, se visto assolto da questo reato, che gli avrebbe meritatamente elargito qualche annetto di pena carceraria ulteriore.

Alla commozione di gioia il baldo e puro Governatore ha fatto seguire manifestazioni di contenuto tripudio e dichiarazioni di rancorosa rampogna nei confronti di quanti lo davano per condannato e colluso con gli ambienti malavitosi dell’onorata società. Tant’è che ha pensato bene di dare una festicciola con caviale e champagne per brindare al successo processuale, nel corso della quale ha tenuto a precisare che, a dispetto di quanti lo avrebbero visto dimissionario a causa della prevista condanna, sarebbe rimasto al suo posto sino alla scadenza del mandato politico.I fatti di cui sopra, degni delle pagine più avvincenti di un Kafka tirato a lucido, non sono il frutto di un sogno demenziale ma l’incredibile cronaca di una vicenda che non ha pari in tutta la storia del mondo civile, nel senso che, lì dove condanne sono state inflitti ai potenti di turno, i condannati hanno avuto la sfrontatezza di dire chiaramente me ne infischio e rimango al mio posto, non certo la maliziosa fantasia di simulare di essere stati assolti.
Il signor Totò Cuffaro è stato indiscutibilmente condannato per un reato gravissimo, quantunque esentato dalle aggravanti che nel corso del processo non si sono potute dimostrare in modo inconfutabile. Ciononostante e con un’arroganza che travalica l’umana immaginazione, si è sentito in diritto non solo di festeggiare, ma anche di sbeffeggiare coloro che ne avevano da sempre sospettato la colpevolezza: viene da chiedersi quale atteggiamento avrebbe tenuto il nostro cavaliere senza macchia se effettivamente fosse stato assolto da tutti i reati di cui era stato imputato. C’è da credere che quanto meno sarebbe stata dichiarata a Palermo una festa cittadina di tre giorni, con tanto di fanfare, spumante e pasticcini per tutti, ovviamente, a spese del bilancio regionale.
Ma se stupisce che l’incallito Cuffaro reagisca in modo così platealmente sfrontato ad un dispositivo penale che lo inchioda senza equivoco, sconvolge addirittura che in quest’orgia di apparenti demenze il cavaliere senza macchia non sia stato lasciato solo, ma abbia trovato un mazzo di stomachevoli reggi-bordone che, come lui ma in modo più grave di lui, abbiano fatto da connivente grancassa all’allucinante clima di festoso visibilio e sdegnata aggressione nei confronti della indiscussa santità del Governatore.
Che a questo coro pazzesco si sia immediatamente associato la macchietta Berlusconi, che non ha perso l’occasione per vomitare fetido veleno sulla magistratura con frasi quali “Credo che gli italiani esprimano già con i numeri dei sondaggi come siamo nella piena patologia e come sia necessario un risanamento di tutto l'ambito giudiziario molto in profondità”, non fa notizia, visto che da tempo questo altro esemplare di perseguitato dalla giustizia non sogna che una scientifica pulizia etnica di quella magistratura, rossa dice lui, che si permette di intralciare il suo cammino. Sconvolge che nella squallida canea ci sia persino la voce di quel Ferdinando Casini, ex Presidente della Camera, che pur nella diversità delle sue opinioni politiche si era comunque meritati un certo rispetto ed una certa stima per la coerente difesa di quella legalità istituzionale che nell’ultimo quindicennio appare sempre più carta straccia buona solo per improvvisati cappellini da imbianchino.
Pur a voler comprendere le sottili ragioni politiche per le quali è d’obbligo non calcare la mano, non è concepibile che di fronte a certe evidenze ci si comporti come il più esemplare dei sepolcri imbiancati e ci si spertichi nel dispensare apprezzamenti anche per ciò che non consente il minimo spiraglio di difesa. E non vorremmo che il buon allievo di Forlani in realtà sia sempre stato ciò che emerge oggi, dato che anche il segretario dell’UDC, Cesa, qualche conto aperto con la giustizia pare ce l’abbia, a causa del destino di certi denari della Comunità piovuti in Calabria, e mai ci pare sia venuta da Casini una qualche dichiarazione sull’opportunità per il segretario del suo partito di farsi da parte in attesa di acquisire chiarezza.
Ma v’è da credere altresì che i festeggiamenti non siano finiti, dato che anche il buon Mastella da Ceppaloni ha ultimamente lasciato l’incarico di Ministro della giustizia a causa delle disavventure della signora Lonardi, sua emerita consorte, incappata in una vicenda di minacce vere o presunte in relazione con i costi della sanità campana. Beh, mentre auguriamo a Mastella che l’innocenza della moglie venga appurata e di poter fare grande festa per il suo proscioglimento, vorremmo sperare in un profilo un po’ più basso qualora le responsabilità si dimostrassero minori di quelle ipotizzate. Potrà non piacere, ma un condannato è comunque colpevole e ce poco da imbrogliare il mondo dichiarandosi casti e puri se, metti caso, per un omicidio ti danno un terzo della pena e non il massimo, grazie ad attenuanti o all’indimostrabilità di aggravanti di sorta.

Se mai è esistita un’etica della politica, - sempre che oggi fosse ancora in vita, - i comportamenti di Cuffaro e dello squallido codazzo che lo regge ne rappresentato l’umiliazione più profonda, il livello più basso dell’imbarbarimento della coscienza, oltre il quale non rimane che sperare in quel rigurgito di giustizia popolare oggi ancor sopito, che giorno dopo giorno sta rendendo questo Paese sempre più invivibile, con i servi della gleba da una parte, sui quali si abbatte senza eccezione l’implacabile mannaia della giustizia, e la tribù dei Mandarini, cui tutto è consentito e per la quale le legge non è che una raccolta di proverbi.