La congiura immaginaria
Continuano le polemiche su Matteo Renzi, sul ruolo del suo
governo e le origini della crisi – Quantunque le sue responsabilità siano
rilevanti, non tutte le colpe sono sue – Com’è prassi nel nostro Paese adesso c’è
chi adombra dietro le sua caduta l'ombra della congiura.
Martedì, 12 giugno 2018
Un lungo articolo di Enzo Puro su www.manrico.social dello scorso 8
giugno riapre un dibattito mai chiuso sull’esperienza di governo di Matteo
Renzi e sulle ragioni della sua rapida ascesa ai vertici della politica nazionale
quanto dell’altrettanto rapida caduta nel consenso degli Italiani.
L’articolo è un excursus abbastanza dettagliato di ciò che Renzi ha
fatto, delle diversità rispetto al passato proposte dal suo governo, delle
innovazioni, dei suoi successi e delle sue sconfitte, talmente numerose e, - nel
giudizio di Puro, - così dirompenti dell’ordine costituito da indurre spontanea
la domanda sul perché oggi venga ritenuto il male assoluto; sul perché la sua
azione politica abbia indotto i poteri forti e quelli deboli, fondamentalmente
atterriti dal cambiamento indotto, a fargli una guerra senza quartiere per
metterlo all’angolo e determinarne la caduta.
Nonostante vengano sottolineati del giovane leader aspetti
caratteriali negativi, che certamente hanno contribuito a rendere indigesta ai
più la sua figura di politico puntiglioso, sagace, arrogante, egocentrico,
spavaldo, ecc. ecc., va condivisa l’ipotesi di Puro che questi aspetti, per
quanto impopolari, non possono ritenersi dirimenti della rapida impopolarità
raggiunta da Matteo Renzi, non fosse perché la storia è testimone degli
innumerevoli leader con caratteristiche persino peggiori, se non addirittura
esasperate, che non hanno subito analogo destino. Né è sufficiente addossare la
responsabilità della sua sostanziale criminalizzazione il grillismo e le loro campagne
vaffamediatiche, notoriamente propense all’insulto, al vilipendio degli
avversari e delle istituzioni in genere: è bastato il semplice esercizio delle
proprie prerogative costituzionali per trascinare persino il Capo dello Stato
nel pattume che osa ammannire Di Maio e l’M5S nei confronti di chi non si piega
alle loro stravaganti visioni del potere.
E’ a questo punto che l’analisi di Puro comincia a zoppicare,
avventurandosi in una tesi congiurale scricchiolante, in quanto in difetto di
requisiti essenziali e facilistica, poiché trascura l’approfondimento delle
conseguenze generate dalle scelte politiche di Renzi sulla quotidianità
popolare, sulla gente comune, su quanti hanno subito e continuano a subire
pesantissimi sacrifici in nome di politiche di rigore, austerità imposta dai
conti pubblici, mancanza di opportunità di lavoro, iniquità fiscale, grottesche
riforme pensionistiche e via dicendo.
Puro azzarda l’ipotesi che i provvedimenti di taglio ferie ai
magistrati, limiti agli stipendi dei boiardi di stato, buona scuola, jobs act,
obbligatorietà del canone Rai e tante altre trovate renziane siano stati il
collante con il quale si sono coesi strati sociali diversi per ordire una
congiura volta a scardinare il nuovo ordine.
Premesso che per quanto significativi ai provvedimenti citati non può
attribuirsi loro un significato così dirompente trascurando di elencare le
disastrose decisioni ai danni dei risparmiatori colpiti dal fallimento di
alcune banche, o i generosissimi fiumi di denaro a favore di istituti di
credito altrettanto spreconi, mentre qualche milione di cittadini annaspava per
la sopravvivenza non potendo arrivare al fine mese, non ci si può esimere dallo
stigmatizzare che Renzi e il suo governo – ironia della sorte e della storia –
hanno commesso una dei più gravi misfatti che si possa imputare ad un partito
di sinistra, ad un partito che nel proprio dna dovrebbe avere la tutela dei
lavoratori perché nasce dai lavoratori e da sempre ne porta avanti la difesa ad
oltranza dei diritti. Alludiamo all’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto,
per la cui soppressione si erano battuti invano i governi delle destre e il
governo di Mario Monti all’apice di un’emergenza dei conti pubblici, spacciando
quell’abolizione come la chiave per l’arrivo di cospicui investimenti stranieri
nel nostro Paese.
L’altro aspetto che sembra sfuggire a Puro, - ma che nel proseguo
della lettura del suo articolo ingenera il sospetto che non di distrazione si
tratti, - riguarda l’incredibile ed intollerante livello di disoccupazione
giovanile registrato nel Paese, con punte del 42%, ma che costituito da valori
prossime al 70% al Sud. E non che coloro che potessero vantare un’occupazione
fossero inquadrati con un contratto di lavoro a tempo indeterminato, poiché le
scellerate scelte del passato avevano già creato da decenni un esercito di
precari con contratti a termine, con lavoro interinale, con rapporto di stage o
consulenziale, in ogni caso con retribuzioni ridicole se non lesive dell’umana
dignità. E quando in qualche occasione ad alcuni pasciuti rappresentanti del
new deal renziano fu suggerito d’intervenire su questo miserabile scempio che
si stava consumando ai danni delle nuove generazioni con il varo di
provvedimenti che cancellassero questo fango contrattuale, l’incredibile
risposta che s’ottenne fu di non poter creare le condizioni per tante aziende,
che nel bene o nel male davano occupazione, di delocalizzare a causa dell’insostenibilità
del costo del lavoro cui sarebbero andate incontro.
Alla luce di queste semplici quanto dolorose ricostruzioni dei fatti
accaduti durante il governo di Matteo Renzi parlare di congiura ai suoi danni
risulta quantomeno stravagante oltre che miope. Una teoria siffatta inoltre è
persino lesiva dell’intelligenza degli Italiani, che non avrebbero alcuna
capacità di valutare da soli la scelleratezza di un andazzo politico
palesemente oppressivo delle classi povere e di quelle medie a favore delle più
abbienti e dei potentati extranazionali che negli ultimi lustri hanno
approfittato per fare shopping a buon mercato nel nostro Paese. Che poi in una
situazione di profonda debolezza dell’economia nazionale ci possano essere
stati – e che ancora ci siano – movimenti lobbistici tesi a trarre profitto
dallo sfascio generale non solo non si può escludere, ma pur nell’incertezza si
può scommettere, assunto che la finanza internazionale non ha mai avuto
vocazioni filantropiche e mutualistiche.
Con queste premesse, mentre è evidente che Renzi e il suo seguito non
può essere accusato di aver determinato l’insieme dei mali che attanagliano l’Italia,
dunque quel male assoluto che qualche idiota dal pensiero prezzolato gli
attribuisce, dato che il post-Monti non aveva visto un’economia in ripresa e il
risanamento avviato, a lui può attribuirsi la responsabilità di aver guidato in
una direzione decisamente sbagliata, in una direzione nella quale certi centri
di potere gli avevano fatto credere che il consolidamento del sistema
finanziario potesse generare risorse in grado di far ripartire l’economia.
In ultima istanza e pur volendo riconoscere a Matteo Renzi tutte le
migliori intenzioni c’è un aspetto che non ha considerato e che per contro ha
determinato il suo deragliamento. Ogni provvedimento, anche il migliore, non è
positivo perché lo si ritiene tale: non esiste l’eccellenza in sé. E’ il
riscontro nella realtà che determina la bontà di un provvedimento, la
condivisioni dei cittadini, il vantaggio che il popolo consegue nel proprio
quotidiano che determina il consenso. Credere che bastino ottanta euro,
peraltro escludendo pensionati ed incapienti, o mance da cinquecento euro a
insegnanti e diciottenni per acquisire il consenso, mentre stuoli di
disoccupati reclamano un lavoro e schiere di disperati senza reddito non
possono accedere alla pensione, genera sentimenti contrastanti difficilmente
positivi: i primi irridono al poco, mentre i secondi sviluppano un odio senza
fine per chi delle loro drammatiche condizioni sembra fregarsene. E se a tutto
ciò si rimane stupidamente insensibili e si preferisce parlare di congiure per
attribuirsi dignità allora non ci si lamenti del proprio destino.