lunedì, settembre 30, 2013

Lo sfascismo del caimano impazzito



Il governo alle corde e il Paese nel caos - La banda degli irresponsabili mette in atto un ricatto senza precedenti per salvare dalla giustizia il proprio boss - A pagare saranno chiamati ancora gli Italiani - Stravolgere la realtà è divenuto il credo dei sopravvissuti dalle macerie del PdL oggi in FI

Lunedì, 30 settembre 2013
E così ce l'ha fatta a gettare nel caos il Paese. Alla buffonata delle dimissioni dei parlamentari del PdL l'ex Unto del Signore, ormai ridotto ad Unto di Livore, ha imposto quelle dei ministri presenti nell'esecutivo Letta, sfasciando in pochissime ore quel clima di collaborazione responsabile, ma precaria, che aveva accompagnato cinque mesi governo.
Da esemplare mistificatore e voltagabbana, ha motivato questa decisione come la risposta più appropriata ad un governo che, secondo lui, non ha fatto altro che alzare le tasse e ha evidenziato ingiustificati tentennamenti di fronte alla cancellazione dell'IMU e il congelamento dell'aumento di un punto dell'IVA,  - aumento  che scatterà dal prossimo ottobre.
Chi ha imparato a leggere la realtà delle cose dietro i miseri trucchetti di Silvio Berlusconi, però, sa bene quali siano state le ragioni di questa rapida escalation. Il 4 ottobre si avvicina e quel giorno la Giunta del senato delibererà la sua decadenza, che poi passerà all'aula per la votazione definitiva. Nel frattempo ancora non si sarà pronunciato il tribunale di Milano in merito alla ridefinizione dei termini d'interdizione dai pubblici uffici, sentenza sulla quale, alla sua emanazione, c'è da giurarci l'uomo di Arcore farà ricorso alla Suprema Corte per guadagnare ancora tempo. Così, nell'impossibilità di trovare in parlamento una nuova maggioranza per la composizione di un nuovo governo, non resterebbe che il ricorso alle urne e ad una sua nuova candidatura elettorale, che vanificherebbe le procedure di decadenza fin qui avviate e rimanderebbe al nuovo parlamento ogni discussione. Questa ipotesi, peraltro, gli eviterebbe anche le misure restrittive alla libertà, arresti domiciliari o affidamento ai servizi sociali, grazie all'acquisizione di una nuova immunità.
Il gioco è apparentemente contorto, ma a ben guardare sembra orami l'unico rimastogli possibile per eludere ancora una volta le conseguenze della sentenza di condanna definitiva e quelle che s'adombrano minacciose all'orizzonte dagli altri processi in corso a suo carico.
Che nelle sue azioni ci sia dunque una evidente commistione d'interessi personali e destino del Paese, non v'è affatto dubbio, nonostante con una faccia di bronzo da Guinness continui a dichiarare che mai sarebbe mosso da sovrapposizioni così miserabili e quantunque sappia molto bene che nessuno sia disposto a scommettere un centesimo sulla veridicità delle sue affermazioni.
Ma se il ricatto alle istituzioni e all'Italia ormai messo in atto va avanti, il disegno di Berlusconi e dell'ala estremistica del suo entourage comincia manifestare qualche pericolosa crepa. Nessuno infatti si sarebbe mai attesa la reazione dei ministri PdL, che in blocco hanno espresso profonde riserve sul tentativo del loro leader di affondare la legislatura. Quagliarello, Lorenzin, Lupi, Di Girolamo e lo stesso Alfano hanno fatto sapere di non condividere il percorso imboccato ad Arcore e di ritenere che una loro presenza all'interno della ricostituita Forza Italia non sia più possibile con queste premesse. Angelino Alfano, segretario in carica del disciolto PdL, ha fatto sapere che a queste condizioni per il futuro non potrà che immaginarsi "diversamente berlusconiano", mentre gli ex falchi oggi ridotte a colombe smarrite, come Cicchitto e Giovanardi, fanno sapere che le decisioni assunte da Berlusconi ad Arcore con un manipolo dei facinorosi Bondi, Santanché, Verdini e l'avvocato Ghedini, violano le regole interne del partito, poiché non vi è stato alcun dibattito in seno al Comitato di Presidenza.
Insomma, l'escalation ha messo in luce la profonda frattura che attraversa il PdL, oggi nuovamente FI, e la concreta possibilità che il partito si spacchi in due tronconi già da oggi, durante l'assemblea congiunta di deputati e senatori, dove qualcuno potrebbe lanciare la proposta di creare il gruppo dei falchi e dall'altro quello delle colombe.
A conferma del caos dovuto alla sovrapposizione d'interessi personali e interessi del Paese, Berlusconi stesso ha dichiarato ieri: «Non ci sono falchi né colombe, non c'era altra possibilità. Ho chiesto ai nostri ministri di non essere complici del misfatto». E a quale misfatto si riferisce il fondatore di FI se non al voto con cui si sancirà la sua decadenza da senatore?
Alcuni giorni or sono Enrico Letta ha parlato all'assemblea dell'ONU e nel suo discorso ha inserito ampi riferimenti all'azione del suo governo, tesa a rafforzare l'immagine dell'Italia quale Paese stabile e in grado di garantire continuità e redditività agli investimenti stranieri. Mentre proferiva queste parole, Silvio Berlusconi ha lanciato il siluro contro di lui, dando inizio ad una crisi di governo senza precedenti per modalità e delicatezza della situazione, costringendo il capo del governo a dichiarare che l'iniziativa del leader del partito che appoggia il suo governo era stata «un'umiliazione per il Paese, non per la mia persona o il mio esecutivo».
E stamani lo spread ha aperto a 290 punti dai 238 della scorsa settimana, mentre le agenzie internazionali di rating hanno ripreso a parlare di imminente nuovo declassamento del debito italiano: «Questa cosa della continuità è un imbroglio come quella dello spread» continua dire saccente Berlusconi, al quale, per la temerarietà irresponsabile delle iniziative, dovremmo augurare non solo di rinsavire in fretta, se la struttura dei suoi neuroni è ancora in grado di rispondere alle sollecitazioni provenienti dallo scenario reale, ma di essere costretto lui per primo, con il suo patrimonio e le sue aziende, a pagare pesantemente le conseguenze del conto che cinicamente sta scaricando per l'ennesima volta sulle spalle degli Italiani, per difendere com'è sua inclinazione i suoi squallidi interessi personali.
 

giovedì, settembre 26, 2013

O Silvio o il caos



I parlamentari PdL minacciano le dimissioni in massa nel caso venga votata la decadenza di Berlusconi - E' un ricatto alla democrazia e alla stabilità del Paese . Un tentativo irresponsabile di estorcere un'improbabile clemenza - Meglio tornare al voto che cedere a vergognose minacce

Giovedì, 26 settembre 2013
Chissà se il tormentone finirà mai. Sì, perché la storia di Berlusconi e dei suoi boys ha ormai superato il limite della telenovela ed è entrata in quella del tormentone, quello noioso, fastidioso, persecutorio, di cui non riesci a liberarti neanche decidendo di tenere spenta la radio o la tv. Vai in giro e nelle edicole che incontri per strada il volto dell'ex Cavaliere bolso troneggia sulle prime pagine; entri in un bar e senti che qualcuno parla di lui, delle sue disgrazie, dei suoi ricatti al Paese, della sua condanna, delle sue colpe. E' un massacro testicolare inarrestabile, una sorta di nuova maledizione biblica che accompagna ogni santa giornata e che, al disgusto che la storia suscita, assomma un'angoscia profonda per il destino che incombe su quest'Italia senza pace e senza speranza, in cui mangiare un panino si sta rivelando sempre più un salasso per il portafoglio, come un tempo lo era la degustazione di un flute di  champagne.
Ma non ci sono altri argomenti di cui interessarsi che non le meschine vicende di un quasi ottantenne che, concessasi ogni ribalderia a proprio vantaggio, lotta con una disperazione epica per non pagare il prezzo delle sue colpe?
E mai possibile che una nazione intera, - sessanta milioni di anime - rimanga in ostaggio di uno sciagurato delinquente, protervo, altezzoso, arrogante, che rifiuta di ammettere le proprie colpe evidenti e minaccia di generare il caos qualora si dovesse dare corso alla sentenza irrevocabile di condanna che gli è stata inflitta?
Ma a ben guardare la tragedia che stiamo vivendo non è solo nella temerarietà di Silvio Berlusconi, ormai ridotto a personaggio da teatrino dell'opera dei pupi. La tragedia vera è nell'incredibile comportamento che hanno assunto le centinaia di servi, portaborse, passacarte, tirapiedi ed altra umanità di confine che circonda il personaggio, che all'unisono ne sostengono le ragioni sciagurate e tentano in perfetto stile delinquenziale di estorcere alle istituzioni un salvacondotto che permetta al loro boss di perpetuare la sua presenza nelle stanze dei bottoni, impunito, indenne da ogni giusta conseguenza per i misfatti compiuti,  così da poter continuare come se niente fosse accaduto a condizionare la vita degli Italiani ed i destini del Paese.
Adesso il cenacolo di quel che si palesa sempre più come la sezione nostrana della mitica Banda Bassotti è arrivato al punto di preannunciare le proprie dimissioni in massa dal parlamento, qualora il prossimo 4 di ottobre dovesse essere votata la decadenza di Silvio Berlusconi dal Senato della Repubblica in conseguenza della condanna inflittagli dalla Cassazione. E qualcuno, come Sandro Bondi, - il "ravanello rosso fuori e bianco dentro" come fu definito al tempo in cui militava nel PCI, - ha avuto l'arditezza di sostenere che «la decisone di dimettersi consegue una questione di moralità: non si potrebbe restare in quel Parlamento che ha decretato la decadenza di Berlusconi», pensando così di vestire di nobili intenti un palese atto di servilismo al capo e ciò che rappresenta un tentativo di estorcere con il ricatto la clemenza per il suo idolo.
Prendendo spunto dalle parole del poeta Bondi in tema di moralità, molto ci sarebbe da discutere, se non fosse che dell'argomento il personaggio in questione ci sembra notoriamente assai digiuno, - non fosse per il senso vero dell'iniziativa cui fa riferimento, - e, dunque, ogni commento si rivelerebbe un'inutile perdita di tempo. Ma così va il mondo: matti son quelli che stanno fuori dai manicomi, non certo coloro cui "ingiustamente" s'applicano le terapie di riabilitazione mentale. E' poi notorio come anni di scorribande d'ogni sorta rimaste impunite abbiano radicato la convinzione che la smentita della verità, la bugia reiterata, il vittimismo insolente costituiscano la ricetta vincente con la quale circuire gli indecisi, irretire i disinformati, abbindolare gli illusi. Insistere sino allo sfinimento con la barzelletta della magistratura rossa, della congiura giudiziaria, dei comunisti invidiosi e in agguato, con i giuramenti sulla propria innocenza sulla testa dei propri familiari, è stato lo stratagemma vincente per convincere una larga fetta dell'elettorato della bontà delle proprie argomentazioni. A puro titolo d'esempio di questo metodo, si guardi alle affermazioni di un altro raro esempio di berlusconismo puro, quel Renato Brunetta che non ha risparmiato sprezzanti critiche alla nefasta privatizzazione della Telecom ad opera del governo D'Alema, omettendo di fare qualunque doverosa autocritica all'altrettanto nefasta privatizzazione di Alitalia sponsorizzata dal PdL e da Berlusconi in persona.
Qui, piaccia o meno, ci troviamo davanti ad una sistematica manipolazione opportunistica della verità, di fronte ad una realtà violentata a puro scopo propagandistico, con l'obiettivo di annebbiare la percezione dei gonzi e di quanti hanno sono caduti nella trappola del "meno tasse per tutti" o che villa San Martino fosse diventato il nuovo modello di residenzialità popolare.
Nello stesso tempo, se è legittimo che le raffinate menti pidielline  simulino piccato stupore nel chiedere al PD le ragioni per le quali, nonostante tutto, stanno al governo con le truppe di un delinquente conclamato, sarebbe doveroso domandare loro quali siano le ragioni per le quali abbiano scelto di stare al governo con gli odiati comunisti e con i mandanti delle toghe rosse. E non ci si faccia fuorviare da eventuali risposte che dovessero motivare la scelta con un improbabile "senso di responsabilità verso le difficili condizioni del Paese". La verità è molto più prosaica, per non dire squallida. La verità è che il ricatto era già stato ordito all'indomani dei risultati elettorali, quando il PdL usci scornato dalle urne e acquisì contezza dell'impossibilità di gestire con un colpo di mano, con l'ennesimo provvedimento ad personam, l'eventuale sentenza di condanna all'ex Cavaliere nel processo per frode fiscale allora imminente: associarsi in un governo di emergenza o di grande coalizione avrebbe determinato le condizioni per far scattare al momento opportuno il ricatto di una crisi di governo e di caos istituzionale qualora non si fosse trovata una soluzione per salvare Silvio Berlusconi. E' questa la verità.
Questo è ciò che sta accadendo, puntuale come nei progetti. E se la fine del tormentone impone che cada il governo in essere, si determini il caos e si vada a nuove elezioni dall'esito imprevedibile, allora che accada, almeno ci saremo liberati per sempre del cancro gravissimo che da anni mina la convivenza e la democrazia del Paese.