O Silvio o il caos
I parlamentari PdL minacciano le
dimissioni in massa nel caso venga votata la decadenza di Berlusconi - E' un
ricatto alla democrazia e alla stabilità del Paese . Un tentativo irresponsabile
di estorcere un'improbabile clemenza - Meglio tornare al voto che cedere a
vergognose minacce
Giovedì, 26 settembre 2013
Chissà se il tormentone finirà
mai. Sì, perché la storia di Berlusconi e dei suoi boys ha ormai superato il
limite della telenovela ed è entrata in quella del tormentone, quello noioso,
fastidioso, persecutorio, di cui non riesci a liberarti neanche decidendo di
tenere spenta la radio o la tv. Vai in giro e nelle edicole che incontri per
strada il volto dell'ex Cavaliere bolso troneggia sulle prime pagine; entri in
un bar e senti che qualcuno parla di lui, delle sue disgrazie, dei suoi ricatti
al Paese, della sua condanna, delle sue colpe. E' un massacro testicolare
inarrestabile, una sorta di nuova maledizione biblica che accompagna ogni santa
giornata e che, al disgusto che la storia suscita, assomma un'angoscia profonda
per il destino che incombe su quest'Italia senza pace e senza speranza, in cui
mangiare un panino si sta rivelando sempre più un salasso per il portafoglio,
come un tempo lo era la degustazione di un flute di champagne.
Ma non ci sono altri argomenti di
cui interessarsi che non le meschine vicende di un quasi ottantenne che,
concessasi ogni ribalderia a proprio vantaggio, lotta con una disperazione epica
per non pagare il prezzo delle sue colpe?
E mai possibile che una nazione
intera, - sessanta milioni di anime - rimanga in ostaggio di uno sciagurato
delinquente, protervo, altezzoso, arrogante, che rifiuta di ammettere le
proprie colpe evidenti e minaccia di generare il caos qualora si dovesse dare
corso alla sentenza irrevocabile di condanna che gli è stata inflitta?
Ma a ben guardare la tragedia che
stiamo vivendo non è solo nella temerarietà di Silvio Berlusconi, ormai ridotto
a personaggio da teatrino dell'opera dei pupi. La tragedia vera è
nell'incredibile comportamento che hanno assunto le centinaia di servi,
portaborse, passacarte, tirapiedi ed altra umanità di confine che circonda il
personaggio, che all'unisono ne sostengono le ragioni sciagurate e tentano in perfetto
stile delinquenziale di estorcere alle istituzioni un salvacondotto che
permetta al loro boss di perpetuare la sua presenza nelle stanze dei bottoni,
impunito, indenne da ogni giusta conseguenza per i misfatti compiuti, così da poter continuare come se niente fosse
accaduto a condizionare la vita degli Italiani ed i destini del Paese.
Adesso il cenacolo di quel che si
palesa sempre più come la sezione nostrana della mitica Banda Bassotti è
arrivato al punto di preannunciare le proprie dimissioni in massa dal parlamento,
qualora il prossimo 4 di ottobre dovesse essere votata la decadenza di Silvio
Berlusconi dal Senato della Repubblica in conseguenza della condanna
inflittagli dalla Cassazione. E qualcuno, come Sandro Bondi, - il
"ravanello rosso fuori e bianco dentro" come fu definito al tempo in
cui militava nel PCI, - ha avuto l'arditezza di sostenere che «la decisone di dimettersi consegue una
questione di moralità: non si potrebbe restare in quel Parlamento che ha
decretato la decadenza di Berlusconi», pensando così di vestire di nobili
intenti un palese atto di servilismo al capo e ciò che rappresenta un tentativo
di estorcere con il ricatto la clemenza per il suo idolo.
Prendendo spunto dalle parole del
poeta Bondi in tema di moralità, molto ci sarebbe da discutere, se non fosse
che dell'argomento il personaggio in questione ci sembra notoriamente assai digiuno,
- non fosse per il senso vero dell'iniziativa cui fa riferimento, - e, dunque,
ogni commento si rivelerebbe un'inutile perdita di tempo. Ma così va il mondo:
matti son quelli che stanno fuori dai manicomi, non certo coloro cui
"ingiustamente" s'applicano le terapie di riabilitazione mentale. E'
poi notorio come anni di scorribande d'ogni sorta rimaste impunite abbiano
radicato la convinzione che la smentita della verità, la bugia reiterata, il
vittimismo insolente costituiscano la ricetta vincente con la quale circuire
gli indecisi, irretire i disinformati, abbindolare gli illusi. Insistere sino
allo sfinimento con la barzelletta della magistratura rossa, della congiura
giudiziaria, dei comunisti invidiosi e in agguato, con i giuramenti sulla
propria innocenza sulla testa dei propri familiari, è stato lo stratagemma
vincente per convincere una larga fetta dell'elettorato della bontà delle
proprie argomentazioni. A puro titolo d'esempio di questo metodo, si guardi
alle affermazioni di un altro raro esempio di berlusconismo puro, quel Renato
Brunetta che non ha risparmiato sprezzanti critiche alla nefasta
privatizzazione della Telecom ad opera del governo D'Alema, omettendo di fare
qualunque doverosa autocritica all'altrettanto nefasta privatizzazione di
Alitalia sponsorizzata dal PdL e da Berlusconi in persona.
Qui, piaccia o meno, ci troviamo
davanti ad una sistematica manipolazione opportunistica della verità, di fronte
ad una realtà violentata a puro scopo propagandistico, con l'obiettivo di
annebbiare la percezione dei gonzi e di quanti hanno sono caduti nella trappola
del "meno tasse per tutti" o che villa San Martino fosse diventato il
nuovo modello di residenzialità popolare.
Nello stesso tempo, se è legittimo
che le raffinate menti pidielline simulino piccato stupore nel chiedere al PD le
ragioni per le quali, nonostante tutto, stanno al governo con le truppe di un
delinquente conclamato, sarebbe doveroso domandare loro quali siano le ragioni
per le quali abbiano scelto di stare al governo con gli odiati comunisti e con
i mandanti delle toghe rosse. E non ci si faccia fuorviare da eventuali risposte
che dovessero motivare la scelta con un improbabile "senso di responsabilità verso le difficili condizioni del Paese".
La verità è molto più prosaica, per non dire squallida. La verità è che il
ricatto era già stato ordito all'indomani dei risultati elettorali, quando il
PdL usci scornato dalle urne e acquisì contezza dell'impossibilità di gestire
con un colpo di mano, con l'ennesimo provvedimento ad personam, l'eventuale sentenza di condanna all'ex Cavaliere nel
processo per frode fiscale allora imminente: associarsi in un governo di emergenza
o di grande coalizione avrebbe determinato le condizioni per far scattare al
momento opportuno il ricatto di una crisi di governo e di caos istituzionale
qualora non si fosse trovata una soluzione per salvare Silvio Berlusconi. E'
questa la verità.
Questo è ciò che sta accadendo,
puntuale come nei progetti. E se la fine del tormentone impone che cada il
governo in essere, si determini il caos e si vada a nuove elezioni dall'esito
imprevedibile, allora che accada, almeno ci saremo liberati per sempre del
cancro gravissimo che da anni mina la convivenza e la democrazia del Paese.
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