sabato, ottobre 31, 2015

Non c’è democrazia senza rispetto della legge

Varata la legge di stabilità per il prossimo biennio – Renzi, infischiandosene della sentenza della Corte Costituzionale, cala ancora una volta la scure sulle pensioni e ne procrastina il blocco – L’idea di democrazia del premier si palesa sempre più infetta dal virus dell’autoritarismo



Sabato, 31 ottobre 2015
Immaginiamo che un cittadino qualunque non condivida una legge dello stato e, conseguentemente, decida d’ignorarla e di agire come se quella legge non esistesse. Le conseguenze sono facilmente intuibili: una multa, un’ammenda o, nei casi più gravi, un provvedimento restrittivo della libertà applicato per una deliberata violazione di una disposizione imperativa.
Si immagini adesso che a contravvenire ad una disposizione di legge non sia un comune cittadino, ma un uomo politico, un esponente di quella vera e propria fauna d’intoccabili che se ne fregano delle regole, delle norme e delle leggi perché vivono in un effettivo stato di impunità totale. In questo caso non ci sarebbero né multe, né ammende, né provvedimenti restrittivi. Neanche nel caso in cui la violazione dovesse costituire un illecito penalmente rilevante, perché la fauna politica gode dell’impunità, - ipocritamente definita immunità, - che impone al tutore della legge di seguire un iter, invero assai aleatorio, per poter perseguire le violazioni di legge commesse dai componenti di quella che si rappresenta sempre più come una casta d’intoccabili.
Con queste premesse e risparmiandoci le tiritere e la canea che verrebbero montate dai sodali del membro della casta perseguito per violazione di legge – si griderebbe alla persecuzione per mano di avversari politici, di giustizia ad orologeria, di inquirenti al soldo di questo o quel partito avverso e di altre nefandezze degne del prontuario dell’arroganza – sfugge ad ogni considerazione di logica e buon senso la ragione per la quale non tanto rimanga impunito quanto passi del tutto privo di critiche il comportamento del nostro  - ma saremmo lieti di poter dire il vostro – presidente del Consiglio in carica, che sprezzante di una sentenza della Corte Costituzionale, la 70/2015, non solo ha negato la corresponsione della perequazione ai pensionati, ma si appresta ad estorcere loro questo diritto anche per il biennio 2016/2017.
Si badi, qui non s’intende aprire un dibattito sulla vexata quaestio  delle pensioni elevate, definite ad arte “pensioni d’oro”. A parte i casi, purtroppo numerosi, dei tanti politici che godono di pensioni frutto di norme previdenziali autoreferenziali, gli assegni pensionistici di certe entità sono il frutto di una legislazione, oggi soggetta a revisione con il sistema contributivo, che in ogni caso ha visto versare alle casse degli istituti previdenziali cifre contributive significative, comunque rapportate alle retribuzioni percepite. Penalizzare questi assegni, per i quali è già prevista una tassazione decisamente elevata, con l’azzeramento della rivalutazione per l’incremento del costo della vita è solo un’operazione vigliacca e amorale oltre che di alto e palese violazione delle leggi dello stato.
In uno stato effettivamente democratico, dove il dovere per il rispetto delle leggi grava indistintamente su tutti i cittadini, qualunque sia il loro ruolo, una misura come quella decisa da Renzi dovrebbe essere punita come atto di gravissima disobbedienza, come oltraggio alle norme fondamentali della democrazia e, pertanto, dovrebbe implicare l’immediato rinvio al tribunale dei ministri.  In uno stato che meriti l’appellativo democratico non può consentirsi ad alcuno deridere le disposizioni di un organo supremo come la Corte Costituzionale, vilipenderne il prestigio e la credibilità, se non a rischio di trasformare quella democrazia in una farsa indegna in cui uno spaccone privo di dignità e senso delle istituzioni si arroga il diritto di sovvertire lo stesso ordine democratico, piegando ai propri interessi di bottega disposizioni ineludibili.
Stupisce che d’innanzi a questo stupro della legalità persino il Capo dello Stato, Sergio Mattarella sia rimasto silente, anzi abbia apposto la propria firma sul decreto che ha sancito la sovversione della sentenza della Consulta; quel Mattarella che di quell’organo costituzionale era stato membro sino alla nomina alla Presidenza della repubblica.
Dura lex sed lex recitavano gli antichi romani e tale brocardo era e rimane imperativo per tutti i cittadini della Repubblica, siano essi ministri o autisti di taxi, parlamentari o camerieri, politici o comuni cittadini. E quando questo principio viene meno o è piegato al volere di un cialtrone o di un’oligarchia cialtrona non c’è più democrazia, pugnalata alle spalle come nella peggiore delle congiure.
Né a motivare i provvedimenti punitivi sulle pensioni basta dichiarare che in tempi di crisi sono necessarie misure di redistribuzione dei sacrifici. Queste dichiarazioni sono del tutto false e manipolatorie di ogni evidenza: viviamo in uno stato che della progressività dell’imposizione fiscale ha fatto la sua religione e, in base a questo credo, non risulta che sul piano della tassazione i redditi da pensione siano privilegiati con aliquote ridotte come avviene peraltro in tanti paese più civili  del nostro. Dunque, una ripartizione dei sacrifici è già prevista attraverso la progressività impositiva, mentre il taglio ulteriore rappresentato dal blocco o dall’azzeramento della rivalutazione al costo della vita non può considerarsi un meccanismo di solidarietà sociale, ma si traduce in tassazione aggiuntiva ad personam, come un ladrocinio di stato, un vile atto d’arroganza degno di stili di governo dittatoriali.
Stupisce che il signor Renzi e la sua schiera di yuppies non si siano posti l’interrogativo sulle gravissime conseguenza che discenderanno dalle mille azioni di sabotaggio delle regole democratiche che sono state perpetrate nei quasi due anni dell’esercizio della loro egemonia, in cui sono state varate una legge elettorale truffaldina, una riforma del Senato a rischio di bocciatura referendaria, una riforma del mercato del lavoro ridicola, una riforma demenziale non ancora compiuta degli enti locali, tagli alla sanità ed al welfare senza precedenti, l’ennesima riforma della scuola spacciata per epocale e contestata da più parti. E potremmo continuare l’elenco delle corbellerie vendute ai cittadini come simboli di progresso e modernismo, ma che nei fatti si stanno rivelando solo come maldestri tentativi d’imporre un regime personalistico, basato sull’autoritarismo e l’autocelebrazione.
E per quanti ancora serbassero dubbi sugli intenti tesi ad addomesticare il sistema democratico a disegni devianti da parte di Renzi ed il suo drappello di avanguardisti si guardi al caso Campania, nel quale s’è tentato in ogni modo di liberarsi di un sindaco scomodo come quello di Napoli, Luigi de Magistris, condannato in primo grado e poi definitivamente assolto, con ricorso alle norme sulla ineleggibilità previste dalla legge Severino, mentre si è permesso al pregiudicato Vincenzo De Luca, condannato per abuso d’ufficio, di candidarsi alla presidenza della Regione: non risulta che nei suoi confronti siano stati assunti i previsti provvedimenti di decadenza in forza delle medesime norme di legge.
 

domenica, ottobre 18, 2015

Almeno ad halloween Renzi poteva mascherarsi da sinistra….



Colpo di mano del neopiddino Boccadutri, che fa votare in senato lo sblocco dei finanziamenti ai partiti 2013/2014 in spregio alla legge – Segue la finanziaria 2016 di Renzi, che tra sgravi ai soliti noti e provvedimenti demenziali, strizza l’occhietto ad una destra in cerca di una guida



Domenica, 18 ottobre 2015
Son bastati poco più di un paio d’ore per votare un provvedimento che consente ai partiti d’intascare oltre 45 milioni di finanziamento per il biennio 2013/2014. Un incasso a sbafo, privo di ogni parvenza di legalità, visto che la prevista certificazione del bilancio, sancita per legge dopo le arcinote vicende giudiziarie di utilizzo spregiudicato dei finanziamenti precedenti che ha coinvolto tutte le fazioni politiche.
Ma così è in quest’Italia del renzismo arrogante e sbruffone. Nel frattempo al prode fiorentino non è stato sufficiente quasi un biennio per risolvere i problemi degli oltre 50 mila esodati senza reddito da lavoro e senza pensione, vittime di una legge infame di riforma delle pensioni che li ha lasciati in un ghetto di disperazione senza fine.
Naturalmente se il grande Renzi fosse interrogato sulla questione risponderebbe che è giusto che la politica debba essere finanziata dal popolo, ma che il suo governo sulla questione non può che prendere atto di una decisione del senato, quel senato ormai moribondo ma che comunque fin che c’è fa comodo utilizzare da paravento, che ha calendarizzato la discussione e la votazione. Peccato che si dimentichi di evidenziare che questo provvedimento da provetti golpisti è frutto della proposta di un transfugo del SEL, tale Sergio Boccadutri, approdato nelle falangi renziane del PD insieme con Gennaro Migliore, già di Rifondazione Comunista e successivamente ex capo gruppo del partito di Vendola, poi folgorato sulla via di Damasco dai bagliori di una candidatura alle primarie della Campania.
Sarà l’effetto del magico progetto del Partito della Nazione, strimpellato a suon di tweet da Renzi e soci ad aver trasformato quello che il fu partito degli operai di Berlinguer e compagni in un caravanserraglio nel quale trovano graditissima ospitalità i nomi più impensabili, alcuni della defunta “lotta dura senza paura” e qualcuno, come Verdini e il suo Doblò zeppo di discutibili figuri, proveniente dalla destra più immorale  e arruffona.
In buona sostanza con un colpo di mano magistrale adesso i partiti passeranno alla cassa per intascare il grisbi, con buona pace di coloro che, cittadini comuni, che hanno la disgrazia di interagire con la pubblica amministrazione devono aspettare le calende greche per essere pagati dei servizi che hanno reso all’apparato pubblico, nelle more producendo bilanci certificati, copie di organigrammi stilati a norma della legge 231/2001, certificazioni antimafia e altre cianfrusaglie cartacee di cui il potere politico, come al tempo di Luigi XIV, si ritiene esente. Certo è che se un qualsiasi imprenditore si presentasse in banca per chiedere denaro e risultasse incongruo in base alla normativa di Basilea 3, non porterebbe a casa un centesimo, Dunque, ancora una volta si assiste allo spettacolo delle leggi fatte per i poveri cristi, da cui la politica si ritiene esente.   
Ma la parata della sbruffoneria renziana non si ferma di certo a queste “piccoli” colpi mano da Banda Bassotti.
E’ di queste ore il varo della cosiddetta legge di stabilità, cioè a dire la finanziaria che contiene la manovra economica e finanziaria per il prossimo anno. E a leggere i provvedimenti messi in cantiere c’è, a dir poco, da restare allibiti per la sconsideratezza con la quale alcuni di questi sono stati partoriti.
In primo luogo e per restare nell’area dei provvedimenti per le pensioni, sarebbe prevista la possibilità di un’uscita anticipata per le donne con 63 anni e 35 di contributi, a condizione che accedano ad un part-time (stipendio proporzionalmente ridotto), ma con contribuzione versata per intero dalle aziende. Inoltre sarebbe previsto l’innalzamento del reddito esente, ma, attenzione, il trucco sta nell’incertezza del reperimento delle risorse, che qualora non fossero trovate implicherà una proroga della perequazione-farsa per un ulteriore anno per le pensioni in essere.
Per certi versi non ci sarebbe nulla da eccepire se, a fronte di questa redistribuzione di oneri tra categorie già di per sé sostanzialmente disagiate, nella finanziaria non fosse previsto un intervento di cancellazione definitiva della TASI e dell’IMU sulla prima casa, che come ben si comprende agevolerà certamente i proprietari di abitazione, ma allo stesso tempo consentirà elevatissimi risparmi fiscali a chi possiede un attico in centro piuttosto che un maniero di centinaia di metri quadri. E in questo caso non vale certo l’idiota considerazione del capo del governo che, a chi contesta la misura, ha risposto ineffabile: «Tagliare le tasse non è né di destra né di sinistra. E solo corretto», che rappresenta non una risposta politica, ma una motivazione mossa da basso qualunquismo, incapace di voler incidere sulla forbice economico-sociale che divarica sempre più il Paese.
Non mancano poi le misure demenziali, come quella di aumentare la disponibilità del contante per i pagamenti, con buona pace della lotta all’evasione, e quella di obbligare al pagamento del canone del carrozzone pubblico RAI nella bolletta elettrica, che mette sullo stesso piano chi non possiede un televisore o non guarda comunque i programmi della tv di stato per idiosincrasia e chi, invece di apparecchi televisivi ne possiede una per ogni stanza della propria abitazione.
Non potevano, infine, mancare le manovre tese a compiacere la casta degli industriali, per i quali sono state previste regalie in termini di sgravi fiscali del 40% superiori ad al valore di ogni investimento, sgravi  IRAP agricola, taglio IRES (una prima riduzione per le imprese nel 2016 ed un secondo sgravio nel 2017), rinnovo (a budget dimezzato) assunzioni agevolate a tempo indeterminato (decontribuzione per i datori di lavoro), sconti fiscali legati al salario di produttività, misure che hanno ottenuto l’immediato plauso del presidente Squinzi che s’è augurato che il provvedimento non subisca variazioni in fase di conversione in legge.
Ma la chicca sublime il governo l’ha riservata ai pubblici dipendenti, sui quali è recentemente intervenuta la Consulta per sentenziare che il blocco del rinnovo dei loro contratti di lavoro è palesemente illegittimo. Rispettoso come di consueto delle deliberazioni della Corte Costituzionale, il dittatorello di Firenze, così come aveva fatto per l’altra sentenza sull’illegittimità del blocco della perequazione sulle pensioni, ha gettato un pezzo di pane raffermo per zittire la canea degli statali sotto forma di 350 milioni da impiegare per i rinnovi dei contratti: superfluo sottolineare che secondo il calcolo stimato delle organizzazioni sindacali ciò significherebbe circa 8 euro pro-capite di incremento retributivo.
In questo quadro se si pensa che persino Silvio Berlusconi non ha potuto esimersi dal riconoscere che la finanziaria Renzi non è che una sostanziale scopiazzatura dei tanti provvedimenti proposti durante il suo governo ventennale, non sapremmo quale altro indizio ricercare per confermare l’imprinting di destra di questa legge di sedicente stabilità.
Non siamo in grado di valutare quanto a lungo durerà ancora il governo Renzi e ciò non perché manchino mille ragioni per poterne motivare la scomparsa già da tempo, quanto perché i fattori che lo tengono in vita esulano dai meccanismi di controllo democratico popolare, – senza voler bestemmiare in chiesa nell’utilizzare questi termini, - e la deriva della politica, particolarmente di quella che finge d’agitarsi ma sguazza nell’acquario PD, appare pervicacemente e volontariamente incapace di scelte decise che rendano minoritario il circo Barnum di Renzi. A questo dato di fatto si somma l’ignavia crescente di un popolo sempre più confinato nel recinto del sordido vittimismo e, dunque, incapace di reagire.
Scriveva il grande Geoge Orwell già negli anni trenta: “Un popolo che elegge corrotti, impostori, ladri e traditori non è vittima! E’ complice”.