giovedì, aprile 21, 2011

Contro ad ogni costo

Giovedì, 21 aprile 2011
Che Alessandro Sallusti sia una macchietta è fuor di dubbio, almeno per chi apprezza il tragicomico modo che ha di porsi all’interlocutore quando deve , in nome di un giornalismo che francamente non riusciamo ad apprezzare per tale, contestargli presunte verità con lo scopo di metterlo a disagio. E’ altrettanto indiscutibile che il direttore di ciò che si ostina lui per primo a ritenere giornale quotidiano non risulti affatto simpatico al grande pubblico, probabilmente a causa di una costituzionale supponenza e atteggiamento di disprezzo che manifesta nei confronti di tuto ciò che non rientra nella sua personale sfera di verità. A questo basta aggiungere il ruolo di “cronista contro” che s’è ritagliato per delineare un quadro di personaggio ai confini di un giornalismo scoopista e sprezzante.
E’ nota la vicenda di un certo Roberto Lassini, ex sindaco di Turbigo e attivista di secondo piano del PdL milanese, che alcuni giorni or sono ha messo la sua firma su alcuni manifesti apparsi per la città meneghina nei quali si paragonavano alcuni magistrati a cellule delle Brigate Rosse. A causa di questi manifesti s’è sollevato un nugolo di proteste che hanno visto persino Giorgio Napolitano lanciare un durissimo monito ad abbassare i toni e la stessa magistratura ad avviare un inchiesta per vilipendio alle istituzioni.
Buon senso avrebbe voluto, pertanto, che sulla questione fosse steso un velo di pietoso silenzio, dato che pur nel pieno rispetto della libertà di opinione e di parola non può consentirsi anche ad un eventuale malato di mente grave di apostrofare con epiteti di questa natura un corpo dello stato che nella lotta alla criminalità politica organizzata ha pagato un tributo di sangue non indifferente.
Ma evidentemente queste considerazioni di buon senso non sono in grado di far breccia nella piccolissima materia grigia del direttore de il Giornale, che oggi s’è sentito in dovere di pubblicare in prima pagina del suo quotidiano un editoriale dal titolo emblematico Io voto Lassini e Moratti, convinto che questa confessione possa contribuire a portare acqua elettorale al mulino del PdL alle prossime elezioni per il rinnovo del sindaco e del consiglio comunale di Milano.
Premesso che cosa voterà Alessandro Sallusti alle elezioni, - ancorché costituisse un dubbio attanagliante da svelare, - riteniamo interessi a pochi, è ancor meno interessante che comunichi le ragioni con le quali motiva il suo voto. «Alle urne voterò Moratti sindaco e Lassini consigliere», afferma Sallusti, «Mi sembra che i due possano tranquillamente convivere nel più grande partito popolare della Seconda Repubblica. Letizia Moratti ben rappresenta la testa del PdL, e merita senza dubbi una riconferma. Lassini invece è il portavoce della pancia del popolo berlusconiano, che non ha meno titoli e diritti di altre componenti».
La diagnosi è del tutto azzeccata. La Moratti in effetti incarna la prassi politica di un partito evanescente, basato sulla propaganda vuota, incapace di tradurre in iniziative concrete una progettualità fatta di slogan e di promesse non seguite da fatti. Basti pensare agli impegni derivanti dall’Expo, che non hanno visto alcuna realizzazione nonostante il 2015 sia molto vicino e siano trascorsi ben cinque anni dalla prima elezione della signora Moratti. Dunque, che la signora Letizia sia definita la testa del Pdl è cosa esatta, detto che nella testa di quel partito c'è solo aria fritta e voglia sfrenata di invadere le istituzioni al solo fine di gestire il potere fine a se stesso
In quanto a Lassini, non fosse per la qualità dei concetti sui quali ha imbastito la sua personale campagna elettorale, il dubbio è che non rappresenti la pancia del popolo berlusconiano, ma ben altro apparato anatomico, dal quale notoriamente vengono espulsi materiali poco pregiati e non certo idee nobili. Ma probabilmente per il pavoneggiante direttore de il Giornale la natura di questi materiali e la loro provenienza è secondaria rispetto all’obiettivo di irrompere nella campagna elettorale con una dichiarazione di servile fideismo nei confronti di chi lo tiene al guinzaglio e gli somministra la dose quotidiana di succulenti croccantini.
Ma il buon Sallusti è fortunato. Richiamando una vecchia battuta in voga al tempo del terrorismo brigatista gli si potrebbe rammentare che le BR hanno una mira buona: colpiscono alle gambe e non ai coglioni e, pertanto, lui non ha nulla da temere.

(nella foto, Alessandro Sallusti)

mercoledì, aprile 20, 2011

Criminal Mind

Mercoledì, 20 aprile 2011
«Questo è un Paese a dir poco bizzarro» affermava alcuni giorni or sono Roberto Scarpinato, Procuratore della Repubblica di Caltanissetta, intervistato da RAI News 24. «Con un movimento di tangenti di ben 60 miliardi di euro ed un’evasione fiscale di oltre 120 miliardi, concentrata particolarmente nel Nord, rappresenta un’anomalia non solo in Europa, ma in tutto il mondo occidentale. Eppure è in corso in queste ore in Parlamento un dibattito per l’approvazione del processo breve e della prescrizione ridotta, che si pone in assoluta controtendenza con l’esigenza di sferrare una lotta serrata contro reati che incidono in maniera determinante nel processo di stabilizzazione dell’economia italiana. La prescrizione breve, qualora fosse approvata», puntualizzava Scarpinato, «cancellerebbe di colpo migliaia di processi in corso per reati connessi a tangenti ed evasione e costringerebbe il sistema ad attingere alla tassazione o al taglio della spesa sociale per far fronte ai minori introiti rappresentati da queste pratiche criminali».
E che il quadro sinteticamente descritto dal Procuratore di Caltanissetta sia inoppugnabile è del tutto evidente, così come è evidente che a Berlusconi e alle sue truppe non importa assolutamente nulla che lo stravolgimento delle attuali regole sulla prescrizione abbia posto una pietra tombale su processi nei quali la richiesta di giustizia è fortissima: il crollo della casa dello studente a l’Aquila o la truffa Parmalat, - giusto per citarne alcuni.
Un esempio di questa sfacciata strafottenza? Angelino Alfano, ministro della giustizia e fedele baciapile di Berlusconi al punto da essere stato da lui indicato come il suo successore, non ha avvertito alcun senso di vergogna nel raccontare agli italiani fandonie miserabili sugli effetti che il processo breve avrebbe avuto sui processi in corso: ricadute su appena lo 0,2% dei giudizi in atto. Naturalmente s’è ben guardato dal precisare che quella “risibile” percentuale rappresenta oltre 15 mila disgraziati in attesa di giustizia.
Ormai e almeno sino a quando ci sarà questa maschera equivoca di presidente del consiglio a palazzo Chigi ci si deve rassegnare ad un sistema che procede a strappi e solo in funzione della soddisfazione degli interessi del suo inquilino.
Dei gravissimi guasti che si sarebbero creati alla democrazia abbiamo detto innumerevoli volte e persino in tempi non sospetti, al punto da meritarci l’accusa di esser prevenuti nei confronti di Silvio Berlusconi. Ma che oggi ne abbia dovuto prendere atto persino il presidente della Repubblica, costretto ad intervenire davanti alle agghiaccianti demenzialità che vorrebbero le procure quale base logistica delle brigate rosse, francamente non appaga la nostra soddisfazione per lungimiranza dimostrata. Avremmo preferito cadere in errore, magari per apodittica faziosità, piuttosto che assistere a questo scempio delle istituzioni ad opera di un disperato palesemente disposto ad ogni follia pur di garantirsi l’impunità.
Gli attacchi alla magistratura sono stati tali e tanti da non ammettere neanche il minimo dubbio che dietro al “fuori le br dalle procure” ci sia una condensazione del pensiero di Silvio Berlusconi. Il suo silenzio nell’indignazione generale suscitata da questi ignobili cartelli apparsi a Milano è la prova provata che parlare di “brigatismo giudiziario”, come lui ha fatto, non può che condurre a scellerati sillogismi ad uso e consumo di propaganda sovversiva.
Ma sebbene questi ultimi avvenimenti siano il risultato delle azioni disperate di un uomo disperato, non ci si inganni sull’assenza di un disegno preciso che lega ciascuna iniziativa ad un'altra. L’uomo, infatti, si muove con una logica molto precisa, degna del serial televisivo criminal minds: innescare un’escalation di iniziative continue e ininterrotte in modo da tenere costantemente alta la tensione e consolidare l'idea di essere un soggetto senza macchia perseguitato da una giustizia in combutta strettissima con la politica avversaria.
L’ultimissima mossa in questa direzione è stata la ritrattazione delle norme sul ripristino del nucleare, soggette a referendum nel prossimo mese di giugno. Pochi hanno collegato l’annullamento delle iniziative sul nucleare ai problemi personali di Berlusconi, poiché hanno forse dimenticato che il referendum prossimo non si limita al solo nucleare, ma riguarda la privatizzazione dell’acqua e, che più importa, il castello delle norme sul legittimo impedimento messe in atto qualche mese fa dal parlamento sempre per permettere al premier di esimersi a piacimento dalla conseguenze della legge penale. Bene, è bastato acquisire i dati dell’eventuale partecipazione al referendum, - probabilmente negativo per il governo sull’onda delle vicende giapponesi, - per consigliare a Berlusconi di sacrificare le norme sul ripristino del nucleare pur di consentire l’annullamento del referendum, da ritenersi del tuto inutile per il venir meno delle norme contestate. Ovviamente i residui quesiti referendari che dovessero restare in piedi con ogni probabilità non raggiungerebbero il quorum necessario per validare la prevista consultazione popolare.
Mai nella storia d’Italia s’era assistito ad uno scempio della morale e dei principi della legge come da quando ha fatto esordio in politica Berlusconi, imprenditore d’assalto assai compromesso con la politica della cosiddetta prima repubblica, che, alla scomparsa degli uomini politici con i quali aveva intessuto strettissime relazioni tese ad avvantaggiare i suoi affari, non potuto fare a meno di esporsi nell’arena della politica per tutelare i frutti equivoci dell’impero che negli anni aveva costruito.
C’è da chiedersi, dunque, se non sia giunta l’ora di ridare agli elettori il diritto di esprimersi su tre anni e mezzo di (non) governo berlusconiano, contraddistinto solo per gli atti vandalici che ha compiuto contro le istituzioni piuttosto che per qualche decisione assunta in favore dell’economia e del sociale del Paese. Ma anche qui c’è l’altrettanto fondato sospetto che questa volta la consapevolezza di essere sconfitto suggerisca di evitare il responso delle urne.
Qualche dubbio su come potrebbe finire? Godiamoci i risultati delle prossime amministrative per rimuoverci ogni dubbio.

venerdì, aprile 01, 2011

Anche la rissa ormai è istituzionale

Venerdì, 1 aprile 2011
“Sono uomini o caporali?”, ci si potrebbe chiedere parafrasando una celebre battuta del mitico Totò. Certamente sono uomini, anche se il mandato che esercitano in parlamento, il tempio delle istituzioni repubblicane, dovrebbe imporre loro un contegno e un decoro al di sopra del comune. Invece negli anni abbiamo assistito a scene indecorose, a dichiarazioni e comportamenti che poco, se non nulla, hanno di rispettoso verso le istituzioni e che hanno messo a nudo lo squallore e la bassezza di chi ci rappresenta.
Risse verbali e fisiche, insulti e bivacchi con tanto di panini alla mortadella hanno dato il segno di come la politica, specialmente dopo l’avvento del berlusconismo, si sia trasformata in uno scontro volgare tra gnomi, un’umanità di terz’ordine, che ha anteposto l’interesse personale, spesso inconfessabile nel contenuto, a quello della collettività che, al contrario, avrebbe dovuto rappresentare.
Duole dover ribadire che tale degrado, inimmaginabile in altri tempi, ha subito una rapida escalation da quando, finita la cosiddetta prima repubblica, ha fatto la comparsa in parlamento Silvio Berlusconi e la banda dei suoi interessatissimi sostenitori, falangi di nullità sul piano politico e morale, imposte al parlamento grazie ad una legge elettorale che consente all’uomo di Arcore di piazzare a proprio capriccio guitti e saltimbanco con il compito di sfornare e votare leggi e provvedimenti che gli evitino processi, condanne ed annessa galera. Questo ribadire, frutto di un’osservazione obiettiva, è inevitabile e viene il dubbio che il Cavaliere e le sue truppe alimentino il clima al di là d’ogni inconfutabile colpevolezza, al solo scopo di poter sostenere che l’insistenza nell’essere additati come un cancro maligno della convivenza democratica conferma la litania sempre recitata d’essere al centro di un attacco scomposto delle sinistre e delle opposizioni, che vorrebbero ribaltare l’esito del voto popolare. E allora si rincara la dose, si dà spago alla protesta, ai detrattori, pur di poter passare per martiri e perseguitati.
L’ultima puntata di questo miserabile show s’è consumata ieri, con la discussione sul processo breve, che ha visto non solo lanci di oggetti vari da parte della maggioranza, messa in difficoltà dalle decisioni del Presidente della Camera, contro le opposizioni e lo stesso presidente, ma un Ignazio La Russa, ministro della Difesa, - ribattezzato ministro dell’offesa, con l’occasione, - sfanculare come un carrettiere alla volta di Fini.
Anche se la discussione sul processo breve è stata rinviata a martedì per placare gli animi, la gazzarra di questi giorni alla Camera può lasciare dietro di sé pesanti strascichi, tanto da indurre il presidente della Repubblica Napolitano a convocare i capigruppo di Camera e Senato per richiamarli all'ordine. Un richiamo dai toni duri, che ha messo in allarme Palazzo Chigi, preoccupato che si possa andare a elezioni anticipate. Un'ipotesi di cui non si è fatto cenno tra il Capo dello Stato e i capigruppo, ma che aleggia nell'aria. C'è anche un'ipotesi di data: il 12 giugno insieme al referendum.
Napolitano aveva espresso la sua preoccupazione per la situazione politica anche l'altro ieri in una lunga intervista pubblica nel corso della sua visita ufficiale negli USA. «Così non si può più andare avanti. Quello che sta accadendo da due giorni alla Camera è uno spettacolo intollerabile, che mette a rischio la credibilità delle istituzioni e sconcerta i cittadini. È il momento in cui ognuno, ogni forza politica, si deve assumere tutte le proprie responsabilità. Io non faccio commenti su nessuna personalità politica italiana. Parlo più in generale e dico» - aveva affermato il Capo dello Stato - «che il più grande problema della politica italiana è l'iper partigianeria che produce una guerriglia quotidiana e rende impossibile il dialogo ed il confronto, che determina una delegittimazione reciproca dei competitori politici». Da qui la preoccupazione ed alcuni richiami e consigli, formulati oggi, ad abbassare i toni ed al rispetto delle regole. Ieri sono saliti al Colle i presidenti dei gruppi di Pdl, Pd e Udc. Per domani sono previsti incontri, si rende noto sempre in ambienti parlamentari, con altre forze politiche. Il ministro Ignazio La Russa intanto dovrà aspettare martedì per sapere se il suo «vaffa» gli impedirà, come chiede il centrosinistra, di votare in Aula togliendo un voto alla maggioranza ogni giorno alle prese con i numeri. Il coordinatore Pdl conferma la sua versione, ma il collegio dei questori di Montecitorio ”deplora” il gesto del ministro dopo aver visionato i filmati della bagarre. D'altra parte è lo stesso senatur Umberto Bossi a riprendere La Russa che, a suo giudizio, «Ieri avrebbe dovuto star zitto».
Tocca al presidente della Camera Gianfranco Fini comunicare all'Aula che «quanto avvenuto ieri è senza precedenti». Proprio l'inesistenza di un precedente di un ministro che insulta spiega la difficoltà dell'ufficio di presidenza di decidere una sanzione. Per il centrosinistra, il ministro, in ragione dell’incarico di governo, potrebbe partecipare ai lavori dell'aula, ma, in quanto deputato sanzionato, gli dovrebbe essere impedito dell’esercizio del voto. La maggioranza, invece, vorrebbe solo una censura. La Russa, dal canto suo, si dice «dispiaciuto» ma ribadisce di non aver offeso Fini e comunque di essere stato ieri, quando è uscito a piazza Montecitorio, «vittima di un'incredibile aggressione organizzata». Ma, al di là delle sanzioni, la condanna politica per il coordinatore del Pdl va oltre i rilievi del centrosinistra. Bossi non gli risparmia ironia: «Doveva stare zitto, così si fa il gioco delle opposizioni. E poi se aveva paura, non doveva andare in piazza... ». Una stoccata che si unisce ai mal di pancia dentro il Pdl. Oggi l'ex ministro Claudio Scajola, che comunque ha bloccato la raccolta di firme promossa dai suoi per chiedere le dimissioni da coordinatore e da ministro di Ignazio La Russa, torna alla carica sostenendo: «Ieri alla Camera abbiamo visto uno spettacolo non degno». E se lo dice persino uno che con la storia della casa romana di spettacoli indegni sicuramente se ne intende…….
Ma qui la questione non è certo solo quella di reprimere comportamenti impropri e ricondurre nell’alveo della dignità e del decoro istituzionale l’esercizio della politica. Il problema è quello di rifondare la politica, affrancandola definitivamente da un conflitto d’interessi senza precedenti impersonato da Silvio Berlusconi: non si può approfittare di terremoti, discutibili alienazioni d’immobili da parte di avversari politici, invasioni di clandestini e profughi di guerre ai confini per sviare l’attenzione del Paese con illusioni di ricostruzioni rapide, case da gioco e campi da golf nel deserto, per tentare colpi di mano sotto forma di processi brevi, prescrizioni accelerate e altre indecenze simili. I trucchetti da magliaro con i quali s’intenderebbe trasformare una sgualdrina minorenne nella nipote di un capo di stato estero con tanto di decisione del parlamento, per evitare un processo per sfruttamento della prostituzione minorile, servono a far diventare l’Italia lo zimbello del mondo, ...... più di quanto non lo sia già.