giovedì, ottobre 31, 2013

Politica e trionfo dei cretini



Politica e cittadini sembrano vivere in mondi separati e distanti - Le proposte improbabili per combattere la piaga dell'evasione - Tante soluzioni sarebbero dietro l'angolo, ma stupidità e malafede le rendono impraticabili

Giovedì, 31 ottobre 2013
A sfogliare un compendio di aforismi si scopre che ce n'è per tutti e per tutti i gusti. Ma quello che a nostro modesto avviso meglio s'addice a tanti nostri politici è quello di Ennio Flaiano, che recita testuale: "il cretino è pieno d'idee". Non male quello di Franz Kafka, secondo cui   "un cretino è un cretino. Due cretini sono due cretini. Diecimila cretini sono un partito politico"
Non ci vuole chissà quale meditazione per individuare i tanti personaggi a cui l'aforisma s'addice a pennello e, attenzione, nell'individuare il soggetto meritevole, non lasciarsi mai prendere dal dubbio che, in fondo, se occupa un certo posto, se ha assunto una data responsabilità il marchio sia esagerato o frutto di livoroso malanimo. Il cretino è cretino, nonostante gli sforzi che prodighi per passare per persona di buon senso, magari schierandosi dietro ad una bandiera per confondere le idee; né la difesa di una posizione politica rende le sue prerogative più labili, non fosse perché il prototipo di politico, che tanti di noi hanno in mente e così raro da trovare nella realtà, vorrebbe solamente che, in fondo, nell'espressione delle sue idee e nelle battaglie che conduce, fosse in primo luogo onesto e trasparente. Se invece improvvisassimo un'amena passeggiata nei santuari della politica nostrana dovremmo prendere atto che questi requisiti sono pressoché inesistenti. Certo è che non serve qui fare nomi, non fosse per l'imbarazzo della scelta e la lungaggine della lista, oltre al fatto che è noto quanto sia difficile convincere un cretino d'essere tale e , pertanto, si rischierebbe solo di sollevare polveroni polemici senza risultato alcuno.
Fatta questa premessa, possiamo passare ad esaminare il campionario delle cretinerie delle ultime ore, che, come è normale in questi tempi di caos economico e politico, abbondano a dismisura.
La stupidaggine più simpatica e convincente c'è sembrata quella di proporre d'abbassare ulteriormente l'uso del contante, come giro di vite nella lotta all'evasione fiscale, dagli attuali 999 euro a cifra da precisare. In questo modo si aumenterebbe la tracciabilità dei movimenti di danaro e si creerebbero ulteriori barriere alla piaga dell'elusione e dell'evasione.
In sé la proposta potrebbe anche avere un senso, se non fosse che dietro all'impiego del cosiddetto danaro elettronico si nascondono insidie deprecabili e costi per i cittadini, come l'indebito arricchimento delle banche, i proventi della sottoscrizione di una credit card per le società emittenti, il lucro per lo stato dai bolli sugli estratti conto, la scarsa dimestichezza di tanti cittadini - particolarmente gli anziani - con la moneta di plastica e la ritrosia di tanti esercizi commerciali ad accettare questi metodi di pagamento, a causa delle elevate commissioni pretese sulle transazioni dai circuiti emittenti le carte. Inoltre e non è fatto di minore rilevanza, le nuove e cervellotiche procedure attivate dal fisco, con le quali si pretende di sindacare sulla quantità di calzini acquistati o sulle scelte del tutto personali di privilegiare certi acquisti in danno di quelli codificati arbitrariamente come "necessari" dalla premiata Befera&Co., s'arricchirebbero di macroscopici volumi di dati per giustificare azioni di vera e propria inquisizione nei confronti dei cittadini in questo modo schedati.
Chi sta spingendo per questa proterva soluzione, ovviamente, non s'è sognato minimamente d'intervenire sul sistema bancario affinché garantisse l'esenzione di addebiti nei confronti degli utilizzatori di metodi di pagamento elettronico, - misura che l'altro avrebbe potuto agevolare la decisioni di parecchi recalcitranti, ne tantomeno s'è opposto ai colpi di mano che l'Agenzia delle Entrate conta di realizzare con un redditometro molto discutibile. D'altra parte, essendo questo il Paese degli abusi perpetrati con la scusa di risolvere i problemi, lo stesso obbligo di dotarsi di un conto corrente per l'accredito di stipendi, pensioni e transazioni superiori ai 999 non è stato accompagnato da nessuna misura tesa ad obbligare gli istituti bancari ad aperture di conti a costo zero per quanti su quei conti facessero transitare esclusivamente i proventi di una pensione o gli stipendi. Nel "paese delle meraviglie", come direbbe Maurizio Crozza, i rapporti con le banche per i casi descritti funziona come un'altra delle fantastiche trovate della Società Autostrade di qualche anno fa, che per ridurre il costo derivante dall'impiego dei casellanti, avrebbe preteso il pagamento dei pedaggi solo con carta di credito o con i telepass: sprovvisto di questi mezzi di pagamento rischiavi di trovarti sequestrato alla sbarra di un casello per ore in attesa di un intervento liberatorio della Polstrada. La logica, dunque, rimane quella di fare soldi  facendo sponda su presunti piani d'efficienza o sullo sdegno della collettività per i mali che sembra impossibile estirpare.
Ma queste bravate frutto di decisioni sommarie e che puntano ottusamente a risolvere il problema che s'è rilevato, ma sprezzanti di ogni considerazione dei disagi indotti, non sono casi isolati. Anzi, si diffondono a macchia d'olio come le peggiori infezioni. Si provi ad acquistare un biglietto del tram o della metropolitana in tante città italiane dopo l'orario di chiusura delle edicole abilitate alla vendita dei titoli di viaggio, o un ticket di parcheggio nei numerosi parcometri sorti come i funghi nelle nostre strade cittadine. Molto spesso qui vale il criterio contrario: solo monetine da inserire nei dispenser o carta moneta di scarso valore, nessuna carta di credito o biglietti di grosso taglio e, in ogni caso, sovente i voraci fagocitatori elettronici di monetine recano pure a chiare lettere la scritta che l'apparecchio non dà resto, con tanto di sopravvenienze garantite e assoluta strafottenza dei pubblici amministratori consapevoli.
Ma quanto le proposte di limitare ulteriormente il contante allo scopo di ridurre l'evasione fiscale siano idiote e demagogiche lo si evince anche dall'insieme dei provvedimenti che si assumono in materia contributiva, provvedimenti apparentemente slegati dall'annosa lotta all'evasione, ma che contribuiscono di fatto a renderla sempre più diffusa  e ostinatamente tentata da un numero crescente di cittadini. Si pensi a questo proposito ai provvedimenti in cantiere che prevedono la riduzione della deducibilità degli imponibili, mentre aumentano gli oneri come l'IVA a carico dei consumatori e la tassazione ingenerale: qual è la convenienza di farsi rilasciare la fattura da un medico, con IVA al 22%, quando senza quel documento si ottiene uno sconto immediato sulla parcella? E così ci si rende conniventi dell'evasione di quel professionista? Bene!, cosa ci si guadagnerebbe nel fare i precisini?
Sono esempi di vita quotidiana, quella vita dalla quale i saccenti che ci governano e che si spremono le meningi per proporre improbabili toccasana ai mali che ci affliggono sembrano così lontani, incapaci d'esercitare il minimo buon senso. E in questo pauroso gap che separa il paese reale da quello legale godiamoci i cretini pieni di idee, illudendoci che si tratti di stupidità e non piuttosto di deliberata malafede.

 

mercoledì, ottobre 30, 2013

Renzinomics show



Uno spettro s'aggira per la Penisola: la Leopolda - Renzi e il suo guru Gutgeld sfornano l'ennesima ricetta per la ripresa economica - Per renderla più credibile pensano d'affidarsi al volto di Banderas, che di torte ormai se ne intende - La ricchezza non è peccato e Berlinguer si rivolta nella tomba

Mercoledì, 30 ottobre 2013
I ladri ce li abbiamo, gli imbroglioni pullulano come mosche intorno alla spazzatura, i maghetti capaci dei miracoli a parole sciamano a frotte come gli esperti di pallone, mancavano i guru....e  voilà, come per incanto, ecco comparire pure quelli.
Itzhak Yoram Gutgeld - segnarsi il nome - è l'ultimo aggregato alla poderosa macchina da guerra di Matteo Renzi, sindaco di Firenze, enfant prodige della politica italiana con la fissa della Leopolda e rottamatore bavard, in corsa per la segreteria del PD e futuro rinnovatore dell'Italia. Il compito di Gutgeld, israeliano di nascita e parlamentare del PD, è stato quello d'ispirare la cosiddetta renzinomics, cioè quella serie d'interventi coordinati sull'economia che dovrebbero traghettare il Paese fuori dalla spirale della crisi ed innescare una parabola virtuosa di crescita duratura nel tempo. Insomma, quello che gli inglesi definirebbero uno spin-doctor in grado di indicare quali siano i pulsanti giusti da pigiare per far ripartire la littorina nazionale oggi completamente ferma e a rischio arrugginimento su un binario morto.
L'uomo vanta  nel curriculum una laurea ed un paio di master, oltre ad una lunga esperienza in una delle società di consulenza più quotate a livello internazionale, la McKinsey, alla cui porta hanno bussato personaggi come Corrado Passera e Alessandro Profumo ed ha collaborato con il governo israeliano allo studio di un piano di rilancio dell'economia statale.
Entrato nelle file del PD ed eletto alla Camera nella circoscrizione abruzzese, è divenuto consulente di Renzi nell'ambito del progetto politico di ammodernamento del Partito Democratico e della proposizione di un piano generale di radicale riforma dei meccanismi di funzionamento dello stato e dell'economia.
In realtà, Gutgeld ci tiene a precisare che la sua non è una consulenza a Renzi, che invece avrebbe attinto idee e linee guida da una sua pubblicazione. Si tratterebbe dunque di una sovrapposizione di intenti progettuali ai quali s'è dichiarato disponibile di collaborare, senza che per queste ragioni si sia formalizzato un rapporto di collaborazione in senso stretto.
Secondo le tesi di Gutgeld e Renzi il Paese ha bisogno di politiche economiche radicalmente liberali per uscire dalla pluridecennale crisi in cui versa e che quella internazionale ha solo aggravato. Preso atto che ci si trova di fronte ad uno stato poco efficiente e spendaccione, un’imposizione fiscale molto meno gravosa, costosi servizi costosi e scarsa competitiva delle imprese, elevatissimo livello del debito pubblico e spesa per interessi, forte tasso di disoccupazione, carenze rilevanti sul piano delle infrastrutture e delle tecnologie, l’Italia avrebbe bisogno di una vera e propria rivoluzione copernicana, che mettesse al centro l’Individuo e le sue libertà, per ritornare ad essere una straordinaria nazione vivida di talenti. Questa rivoluzione non può che passare attraverso un vasto piano di liberalizzazioni  e privatizzazioni, una flessibilizzazione dei meccanismi d'entrata ed uscita dal mercato del lavoro, una riforma sostanziale dei meccanismi di tutela dei lavoratori nelle fasi di crisi aziendali, una revisione degli strumenti di lotta all'evasione fiscale ed un affrancamento del concetto di ricchezza, che non può più in uno stato moderno considerarsi un vulnus malefico contro il quale scatenare rivalse antistoriche e punitive. Anzi l'accesso alla ricchezza va incoraggiato, attivando i cosiddetti ascensori sociali e promuovendo le pari opportunità, in modo da consentire a tutti in base alle proprie capacità un'ascesa sociale basata sulla meritocrazia.
Se in linea di principio gli assunti, con qualche doverosa eccezione, non possono che condividersi, l'apparente semplicità delle ricette mette in luce non solo come Renzi nel PD appaia sempre più un inquilino di passaggio, ma che la confusione e il massimalismo sono la fede sostanziale su cui si muove il pensiero di Gutgeld.
Infatti, è di tutta evidenza come il nostro sia uno stato più che spendaccione scialacquatore e che l'imposizione fiscale per fruire di servizi terzomondisti sia intollerabile, così come è evidente il ritardo tecnologico e lo scarso livello di competitività delle imprese nazionali, oltre alle carenze del sistema infrastrutturale e l'inconsistenza dei meccanismi di lotta all'evasione. Ma quel che lascia perplessi è la terapia suggerita dal "duo della Leopolda" per vincere quelle che si palesano ormai delle vere e proprie cancrene per il nostro Paese, terapie già sperimentate in altre realtà e che hanno dimostrato la loro completa inadeguatezza.
Parlare di privatizzazioni e liberalizzazioni in una realtà come l'Italia, dove quel poco fatto sino ad oggi ha dato risultati a dir poco demenziali, ci pare francamente avulso da qualsiasi riferimento con l'esperienza. Il che fa ritenere che il signor Renzi, prima di sparare slogan e anatemi, dovrebbe forse informarsi a fondo sui vantaggi che sono conseguiti per l'utenza dalla liberalizzazione/privatizzazione di Telecom, Alitalia, Autostrade, energia elettrica e ferrovie: i prezzi di questi servizi, opportunamente deflazionati, non sono affatto diminuiti o, nella migliore delle ipotesi, sono rimasti invariati, mentre ciò che palesemente s'è ridotto all'osso è il potere d'acquisto dei cittadini a reddito fisso. Né per la rivitalizzazione del mercato del lavoro venga a proporre l'ennesima teoria idiota sui lacci e laccioli che frenerebbero la creazione di nuova occupazione. A meno che Renzi non abbia trascorso gli ultimi vent'anni della sua vita su un pianeta diverso dalla terra, non può non individuare nella crisi occupazionale i veri fattori di occlusione: elevati oneri su lavoro a carico delle aziende, crisi di redditi e consumi che hanno contratto la produzione, impiego selvaggio e spregiudicato di contratti di precariato.
Se così non fosse non si spiegherebbero le ragioni per le quali la Germania, economicamente florida e con trend di sviluppo utopici per l'Italia, riesce a piazzare non proprio a basso prezzo il frutto della sua industria in tutto il mondo: chi mai acquisterebbe una Mercedes o una BMW se il rapporto qualità/prezzo non offrisse sufficienti margini d'attrazione? Se la Fiat non vende e galleggia nel calderone della crisi lo si deve non al peso dei salari, ma al costo aggregato, -non ultimo quello degli oneri sociali, - ed alla completa assenza di innovazione nei modelli e miglioramento della qualità.
Rimane, in fine, la questione della ricchezza e dell'evasione. La prima non è certamente un peccato mortale quando discende da un processo onesto e trasparente d'accumulazione, sebbene questo non debba implicare il supporto di meccanismi incentivanti che vadano oltre la decenza: un paese serio non ricorre certo a scudi fiscali o altre porcherie clientelari per convincere i capitali a rientrare in patria, né cede al ricatto d'imposizioni di privilegio per evitare fughe truffaldine. Si avvale di strumenti fiscali che tutelano i redditi più bassi, possibilmente ridisegnando le curve impositive e chiede un sacrificio adeguato a chi ha maggiore capacità. La fuga dei capitali è molto spesso dovuta alla meschina contropartita in termini di servizi riservata a chi nel rapporto paga in modo spropositato.
Rimane la questione dell'evasione fiscale, che nel nostro Paese è fortemente agevolata dalla labilità delle procedure di controllo dei processi di creazione di ricchezza e dalle vessazioni inflitte a quanti per ragioni oggettive non riescono a sfuggire alla santa inquisizione di Befera e soci. Controlli serrati sull'origine delle materie prime, i processi di lavorazione e il passaggio dei prodotti finiti dalla fabbrica alla distribuzione e al dettaglio, facendo magari ricorso a fatture elettroniche e altri strumenti di verifica, non è escluso potrebbero fare emergere un sommerso lontanamente immaginabile. Se la lotta all'evasione si riduce al controllo delle mutande acquistate o al numero delle gite fuori porta, come sembra si delinei con gli ultimi efficacemente potenti strumenti antievasione, peraltro condotti nella maggioranza dei casi su quanti nel conto bancario fanno transitare stipendi e pensioni, allora la frutta è servita.
E se questo è l'illuminata rivoluzione copernicana propagandata da Renzi, allora Dio ci salvi dai tanti ciarlatani che infestano le stanze dei bottoni.

 

martedì, ottobre 29, 2013

Il potere dal buco della serratura



L'America e lo spionaggio sistematico di nemici e amici - Una rete fittissima per tenere sotto controllo telefoni, posta e conversazioni - La scusa della lotta al terrorismo dietro le macroscopiche violazioni della privacy - I servizi segreti dei Paesi spiati non sapevano - Anche Obama dichiara di non aver saputo - I leader dei Paesi alleati degli USA trattati come delinquenti 


Martedì, 29 ottobre 2013
Che quello americano sia un popolo con scarse radici nella cultura classica, - greca e latina, per intenderci, - è cosa risaputa, ma arrivare al punto da confondere la democrazia con la demoscopia ci sembra veramente un'esagerazione imperdonabile. Certo, tra la demoscopia e l'acquisizione fraudolenta di informazioni d'ogni sorta e genere ce ne corre, ma d'altra parte se non fosse per questa confusione etimologica - ridicola e improbabile, ma che potrebbe costituire l'unico atout per salvare un po' la faccia - non sarebbe possibile spiegare le ragioni per le quali i sedicenti paladini della libertà mondiale si siano lasciati andare per anni ed anni ad un vero e proprio programma di sistematico spionaggio planetario, nei confronti di nemici deliberati quanto di cosiddetti amici, dei quali sono stati rubati conversazioni, corrispondenza, confessioni intime, gemiti e sospiri. Tutto ciò, stando a quanto hanno ammesso con un certo imbarazzo per l'indecenza delle motivazioni stesse, con l'obiettivo di combattere la destabilizzazione internazionale e prevenire l'organizzazione e la commissione di azioni terroristiche in giro per il mondo a cura di invasati più o meno associati in movimenti eversivi.
Se da un lato questa dichiarata finalità potrebbe parzialmente giustificare una certa attività di intelligence, il ragionamento si rivela completamente privo di ogni logica se ad essere intercettati non sono solo il mullah Omar o Mohammed Ali Hamadei o Jamal Mohammad Al-Badawi, - giusto per citare i nomi di qualche delinquente internazionale conclamato, - ma personaggi come Angela Merkel o François Hollande o Enrico Letta, che nulla hanno a che vedere con il terrorismo internazionale, - salvo non avere il mostro in casa e non essercene accorti.
Quando nel mirino delle intercettazioni entrano personaggi come questi l'obiettivo non è più quello di prevenire azioni di destabilizzazione, ma è spionaggio a tutti gli effetti il cui precipuo scopo è quello d'acquisire informazioni riservata su piani e progetti di natura politica ed economica, che possano offrire un sorta di vantaggio competitivo all'industria o alla finanza nazionale americana. Queste attività d'intercettazione si rivelano ignobili éscamotage attraverso le quali l'imperialismo yankee tende a perpetuare la propria sovranità anche sul mondo occidentale, quello evoluto, che nei fatti dovrebbe collaborare con gli USA nel processo internazionale di mantenimento della pace e nel progetto di sviluppo socio-economico dei popoli.
Alla luce di quanto sta emergendo in queste settimane, la stessa vicenda di Edward Snowden,  l'informatico statunitense al soldo della CIA, fuggito dal suo Paese e che sta rivelando al mondo le gravi violazioni della privacy perpetrate dall'amministrazione Bush e Obama ai danni di amici e alleati con la regia dell'NSA e della CIA, acquisisce un significato profondamente diverso. Non ci troviamo di fronte ad un traditore di segreti di stato, meritevole per questo di persecutorie misure restrittive, ma al cospetto di chi ha deciso, con coraggio, di denunciare prevaricazioni senza precedenti in danno alla libertà di esprimere il proprio pensiero, di comunicare in assoluta riservatezza, di manifestare anche in privato il proprio dissenso, una libertà che non può per nessuna ragione lecita essere né limitata né messa in discussione. D'altra parte se si considera la mole strabiliante di dati acquisiti illecitamente dallo spionaggio USA - si parla di miliardi di dati acquisiti - ben si comprende che qualunque giustificazione connessa con la prevenzione di vere o presunte attività terroristiche non può che risultare inverosimile: chi mai potrebbe bersi la frottola di una Merkel o di un Mariano Rajoy nelle vesti di un terrorista con tanto di pistola celata nella biancheria intima o un candelotto di tritolo nella borsa con i documenti? Eppure le amministrazioni americane ci hanno abituato a questo genere di balle spaziali a cui idioti sparsi per il mondo sono disposti a credere, convinti dell'onestà delle intenzioni degli Stati Uniti, salvo dover prendere atto che questo Paese si è molto spesso macchiato di crimini gravissimi contro l'umanità e l'indipendenza e la libertà dei popoli, in nome di una "salvaguardia della democrazia" planetaria di facciata, ma malcelante inconfessabili interessi per il controllo strategico di mercati, territori e affari spregiudicati. Qualche esempio? Basterà rileggere qualche pagina a caso di storia sulle vicende del Cile di Allende o sugli arsenali chimici per le distruzioni di massa che nascondeva Saddam Hussein. Gli stessi movimenti di popolo registrati di recente nell'area araba del Mediterraneo, dalla Tunisia alla Libia e all'Egitto, portano una firma yankee e il terrorismo, in qualche caso, è stato solo il pretesto per giustificare un'ingerenza finalizzata a creare nei fatti capisaldi per il controllo di aree geografiche ritenute strategiche sul versante economico e militare.
Ma la cosa che più sconcerta non è certo questo risiko con armate ed armamenti veri, a cui nessuno di coloro che protestano per essersi scoperti spiati può dichiararsi estraneo, quanto il candore improbabile con il quale lo stesso Barack Obama s'è dichiarato ignaro delle operazioni di spionaggio a tappeto condotte dalle sue centrali di intelligence. Tra l'altro, preoccupato più delle reazioni interne che di quelle internazionali, il First Man d'America è corso a tranquillizzare i suoi connazionali, precisando che le attività d'intercettazione hanno riguardato prevalentemente i cittadini stranieri e non i cittadini a stelle e strisce, come dire che i non americani in fondo non sono che carne di porco. Che poi le intercettazioni in house siano qualche miliardo, poca roba rispetto agli incalcolabili centinaia di miliardi di intercettazioni all'estero, dovrebbe consentire ai cittadini USA di tirare un sospiro di sollievo. La battuta somiglia tanto a quella di un nostro eminente politico, che in tema d'evasione fiscale avrebbe preteso la comprensione e il perdono per aver frodato "appena" 7 milioni a fronte di versamenti di tasse miliardari effettuati negli anni.
Francamente ci sembra ci si trovi di fronte ad interessantissime evoluzioni del concetto di reato, che diviene una sorta di bonus a favore di chi sostiene d'aver rigato sempre dritto. A questa stregua, per esempio, per ogni dieci opere di carità che si faranno magari s'avrà diritto ad un omicidio o una rapina senza conseguenze.
Tornando ad Obama, quelle dichiarazioni, che appaiono del tutto spudorate, accendono una nuova luce sull'inquilino della Casa Bianca, mettendone a nudo tratti caratteriali che nessuno avrebbe mai sospettato potesse possedere. Sì, perché come si dice qui da noi con una sintesi esemplare, l'Obama che asserisce di non sapere o c'è o ci fa. E in entrambi i casi del Presidente della più significativa potenza mondiale emerge una figura assai ridimensionata: se non sapeva, allora è assai grave che si circondi di collaboratori inaffidabili e reticenti, che con le loro attività illecite minano l'immagine del Paese e rendono il suo ruolo semplicemente ridicolo; se invece sapeva e mente, - come è più probabile, - la sua immagine risulta fortemente offuscata e lo rende non solo un mentitore da strapazzo agli occhi del mondo, ma un servo di poteri occulti che lo manovrano a piacimento ed ai quali deve reggere bordone per vedere appagata la propria ambizione per occupare un ruolo nel quale è di fatto solo un fantoccio. E che sia per i suoi alleati un compagno di viaggio di cui sospettare anche quando, mano sul petto, giura fedeltà ai principi di lealtà scritti nella Costituzione americana è fatto assodato.
Alla stessa stregua, suscita sgomento che i servizi segreti dei paesi i cui cittadini e leader politici sono stati regolarmente spiati si dichiarino altrettanto ignari, insinuando il dilemma che gli 007 di mezzo mondo siano costituiti da tonti conclamati o lo spionaggio d'oltre oceano annoveri tra le sue file ineguagliabili superuomini.
In questa incredibile vicenda vengono alla mente le parole di una famosa canzone degli anni '70 di Eugenio Finardi, che recitava: "La CIA ci spia, sotto gli occhi della polizia, la Cia ci spia e non vuole più andare via". Chissà se già a quel tempo nel fare quella che sembrava una provocatoria predizione Finardi non avesse già qualche contatto con Edward Snowden.