giovedì, febbraio 27, 2014

Grillo il kapò zittisce il dissenso



Com'era prevedibile nel M5S si scatena il dissenso - Immediate le purghe e le espulsioni -  Un Movimento che non sa cosa sia la democrazia e il confronto - Grillo: «così saremo più compatti»


Giovedì, 27 febbraio 2014
Le piene, come è noto, sono il frutto di un'abbondanza d'acqua piovana che gli argini di un fiume non riescono più a contenere nel percorso verso il mare. Così quell'eccesso improvvisamente straripa là dove le sponde sono più basse o più fragili e travolge allagando case e campagne, provocando danni immensi per il cui riparo saranno necessari tempo e sacrifici.
La metafora non è fuori luogo se la s'immagina riferita a Beppe Grillo ed al suo M5S. Nella gestione del Movimento, infatti, l'ex comico rappresenta la pioggia torrenziale che ingrossa il fiume, le cui esondazioni generano costantemente disastri notevoli, sebbene l'origine delle perturbazioni sia da attribuire al non secondario ruolo di Roberto Casaleggio, maitre à penser e forza oscura del patron Grillo e delle improvvide iniziative dei pentastellati.
Ma fuor di metafora, ciò che sconcerta e allarma è la concezione che Grillo e Casaleggio hanno del loro movimento politico, una concezione spudoratamente padronale e arcaica, che nulla ha a che vedere con i principi minimali di un qualunque concetto di democrazia, per quanto autoritaria e centralizzata.
«Dovevano rinnovare stile, rispetto per le Istituzioni, linguaggio. Hanno imbastardito il clima invece. Questo è il vero fallimento del M5S», ha scritto con acutezza su Twitter qualcuno e quel giudizio ci sembra più che azzeccato, considerato che fin dal loro esordio sia Grillo che i suoi seguaci non hanno fatto che insultare gli avversari, vilipendere le istituzioni, aggredire i critici, giungendo al punto di proferire oscure minacce anche nei confronti dei media, considerati servi di non meglio precisati poteri forti. Dunque, uno zibaldone di infami idiozie e insolenze, che spesso ha travalicato i limiti del codice penale e che ha visto la magistratura, talora così attenta a perseguitare i comuni cittadini, benevolmente sdraiata ad osservare incurante le violenze verbali di un branco di cialtroni, scudati da un immunità ridicola, e la villana protesta che portano avanti.
Ma il senso della misura Grillo e la sua corte dei miracoli (mancati) lo ha certamente travalicato allorquando ha iniziato una vera e propria persecuzione al suo interno, una meschina caccia alle streghe del dissenso che ha visto nelle ultime ore ben quattro senatori subire l'onta dall'espulsione dal Movimento, per il solo fatto d'aver espresso critici dubbi sulla modalità con la quale l'ex comico aveva gestito l'incontro con Matteo Renzi in fase di consultazione delle forse politiche parlamentari per la formazione del nuovo governo.
In quell'occasione s'era visto un Grillo, a dir poco maleducato e protervo, sbattere la porta in faccia al presidente del Consiglio incaricato, e nel compiere quel gesto scadere nella solita litania di sciocche invettive. Ovviamente il leader dei 5 stelle, confessatosi nella circostanza antidemocratico, avrebbe meritato lui un processo dalla base e l'espulsione dal suo stesso Movimento, per esser venuto meno al mandato che gli era stato conferito ad aprire una trattativa con i rappresentanti del governo in fieri. Ma purtroppo chi s'è drogato di potere difficilmente riesce a far perno sulla razionalità e non esita a scivolare nel grottesco pur di mantenere le proprie folli posizioni. Né, tantomeno, alla luce delle sceneggiate che periodicamente si ripetono nella gabbia dei grillini c'è da sperare che la base, - di cui è legittimo iniziare ad avere qualche sospetto circa la reale forza condizionante delle decisioni del padrone, - prenda posizione ed esterni sincero disgusto per le modalità nostalgiche con le quali appare sempre più gestito il Movimento.
Nello stesso tempo, si palesano sempre più probabili all'interno dell'M5S i sintomi di una dolorosissima scissione, - altri 6 senatori hanno già preannunciato di voler lasciare per passare al Gruppo Misto, - facendo perno sul forte malumore creatosi con l'ostracismo dei presunti dissidenti e in ragione del comprensibile voltastomaco provocato dai metodi da tribunale nazista imposti da Beppe Grillo.
«Siete peggio dei fascisti», ha urlato una senatrice infuriata lasciando l’assemblea grillina chiamata votare per l'espulsione dei reprobi Campanella, Orellana, Bocchino e Battista. E nello scontro tra ortodossi e dissidenti qualcun'altro ha deciso di lasciare la "caserma" 5 Stelle anticipando iniziative ai propri danni, come Romani, Mussini, Casaletto, Bencini e Bignami, oramai a ferri corti con l'ottusa intransigenza dei colleghi ed il cinismo fine a se stesso di Beppe Grillo. E la situazione non è migliore alla Camera, dove nel frattempo, Alessio Tacconi e Ivan Catalano hanno fatto sapere di voler lasciare il gruppo M5S alla Camera. Posizione che la pasionaria di borgata Roberta Lombardi ha commentato così su Facebook:«I miei ormai ex colleghi Catalano e Tacconi hanno deciso ufficialmente di passare al gruppo misto. Per loro non e' mai stata una questione di principio. Per loro e' stata fin dall'inizio una questione di soldi ed ora finalmente potranno tenerseli senza discutere con noi altri». Com'è consuetudine, per chi difetta di argomenti e, soprattutto, di lungimiranza, il dissenso va banalizzato con una punta di disprezzo.
Adesso, dopo la grande purga, che minaccia di non restare isolata, vedremo se Grillo deciderà di cambiare rotta o se vorrà perseverare in un atteggiamento intransigente che, al momento, si sta rivelando solo autolesionista. Forse non del tutto cosciente del pericolo, lui col solito piglio strafottente ha appena dichiarato: «Meglio, così saremo più compatti!»
 

venerdì, febbraio 21, 2014

Quel che non ha capito l'ayatollah Grillo



Costretto da un sondaggio tra i suoi elettori, Grillo partecipa alle consultazioni per la formazione del nuovo governo Renzi - L'incontro si rivela un'occasione persa per il leader M5S di accreditarsi come un portatore di progettualità - Il confronto subito trasformato in un palcoscenico per l'ennesimo show di insulti e invettive 

Venerdì, 21 febbraio 2014
Accanto alla politica ragionata ce n'è sempre stata una in costante conflitto con il buon senso. E' il caso della politica fatta con la pancia, con la fede, quella che sposa le tesi del suo leader o del suo profeta  e le propaganda e difende senza mai porsi un interrogativo sulla valenza e la capacità che hanno quelle tesi di tradursi in prassi e di realizzarsi nel contesto sociale in cui dovrebbero trovare attuazione.
La questione è tutt'affatto accademica, poiché la mancanza di capacità critica dei seguaci di questi profeti è spesso origine di gravissime conseguenze, di un disagio sociale talora molto pericoloso, che non di rado induce i "paladini della fede" all'assunzione di comportamenti devianti o di vero e proprio illecito, nell'intima convinzione che il verbo di cui son latori costituisca una sorta di verità assiomatica impossibile da scalfire. Nelle aree del mondo in cui il livello d'istruzione è modesto ed il fanatismo è patologia assai diffusa quest'approccio è il motore propulsivo di deviazioni comportamentali assai gravi, di cui il terrorismo, le jihad, non sono che la paradossale ed aberrante risposta di difesa ad ogni costo di quel che costituisce l'indottrinamento, raramente sottoposto all'esercizio del  libero senso critico.
Quest'approccio, lungi dall'esserci lontano, appare sempre più essersi impadronito degli adepti del Movimento di Beppe Grillo, - di per sé profondamente contagiato dalla virulenza delle sue stesse tesi e di quelle del suo socio Roberto Casaleggio, - che nello spazio di pochi mesi si sono avviluppati in una sorta di credo autoreferenziale, che ha coinvolto legioni di cittadini disgustati dalla politica tradizionale, vessati da un sistema stato incapace d'amministrare l'equità sociale, disperati senza lavoro e senza reddito, un'umanità numerosissima costretta ai margini della società dall'evidente sordità e cecità di un ceto politico corrotto, sprezzante dei bisogni, arrogante, truffaldino e attento esclusivamente alla salvaguardia dei propri privilegi di casta.
Ciò non vuol dire che il nerbo dell'M5S sia costituito da fanatici divenuti tali senza una plausibile ragione, ché il cosiddetto popolo grillino di ragioni vere del disagio denunciato ne ha da vendere. Ma è il nichilismo che accompagna la sua azione di protesta che sgomenta, poiché dal suo modo di contestare emerge sempre più drammatica la mancanza di lungimiranza e l'incapacità di traguardare obiettivi concretamente  realizzabili. Se è comprensibile che il movimento si sia formato sull'idea di poter trasformare profondamente il Paese generando il consenso con la denuncia dei "misfatti" perpetrati dalla politica tradizionale, è incomprensibile come sia possibile teorizzare il conseguimento di un successo assumendo comportamenti d'Aventino, insultando e sbeffeggiando avversari  e critici, inscenando manifestazioni circensi e chiudendo ogni spiraglio al dialogo con il "nemico" da abbattere. Sfugge agli ideologi del movimento che l'ostruzionismo tout court. non accompagnato da tangibili "danni collaterali" al sistema, non serve assolutamente a nulla. Se la scelta, come è nei fatti, è della guerra senza sparare un colpo allora è evidente che in surroga occorre attaccare il sistema dal suo interno, partecipandone alla vita ed imponendo con le leggi della democrazia provvedimenti che vanno effettivamente verso il cambiamento agognato. Un esercito che ritenesse di vincere le battaglie solo vomitando contumelie contro al nemico, pretendendo così di fiaccarne la resistenza e la volontà, non sarebbe che la parodia di Don Chisciotte e del fido Sancho Panza contro i mostruosi mulini a vento, che continueranno a girare ad ogni alito, incuranti delle offese e del dileggio di chi non ne sopporta il moto.
Nella giornata di mercoledì scorso Grillo in persona ha avuto un'opportunità straordinaria per dare un senso compiuto al suo movimento. Matteo Renzi lo aveva invitato ad esprimere il suo parere nell'ambito delle consultazioni per la formazione del nuovo governo. Grillo, vittima delle sue stesse trovate pseudo democratiche, aveva dovuto vincere la riluttanza sotto la spinta di una consultazione via web, che gli aveva chiesto di sedere al tavolo del presidente del consiglio incaricato, ma anziché approfittare dell'occasione per irretire l'interlocutore con dichiarazioni di disponibilità all'apertura di un confronto o con la presentazione di un programma a marchio pentastellato, s'è avventurato ancora una volta sull'insidioso e sterile terreno dell'offesa e dello scontro ed ha negato qualunque possibilità di dialogo con il "nemico": uno fragoroso scivolone che denota la modestia politica del personaggio ed il sostanziale fanatismo che gli oscura la mente.
A nostro giudizio l'errore è stato esiziale, poiché con la diretta streaming di quell'incontro ha dato in pasto ai suoi elettori ed ai suoi detrattori un'inequivoca dimostrazione della pochezza politica che incarna e del cieco livore che ispira la sua azione. Non meno suicida è sembrata l'ammissione di non essere un democratico, - in ogni caso del tutto genuina, visti metodi da rozza caserma che vigono nel movimento, - dettata forse più dall'indole dispettosa che non da una reale volontà confessoria, ma che certamente è stata colta come la conferma che lui ed il suo movimento sono in fondo una sgangherata armata di altezzosi arroganti dalle idee confuse. Con buona pace dei milioni di voti conquistati e buttati nella spazzatura.
Invano qualche invasato fedayn, improvvisato pennaiolo sul web, ha tentato ieri di dare una spiegazione plausibile a quel che ai più è apparso solo un comportamento cialtronesco, teso a declinare ogni responsabilità nelle scelte che investono un Paese sull'orlo del collasso sociale. Secondo gli ermeneuti del Grillo pensiero, bene avrebbe fatto l'ex comico a svillaneggiare Matteo Renzi, poiché l'impegno assunto con i suoi elettori di non accettare mai il dialogo con i "nemici", servi dei misteriosi santuari che hanno impoverito il popolo, non poteva esser messo in discussione, neppure in forza di un sondaggio della propria base che chiedeva una volta tanto di fare il contrario. Dunque, quel comportamento sarebbe stato un atto di esemplare coerenza con i valori fondamentali dell'M5S (sic!).
Francamente la politica ci ha reso avvezzi ad ogni sorta di stupidaggine, ma questa interpretazione, rispondesse al vero, rappresenterebbe l'apoteosi dell'idiozia pura, se non addirittura il sintomo sconfortante di un dilettantismo inguaribile e pernicioso, figlio della magmatica supponenza che appesta la nostra epoca, di cui i grillini sono tra i più efficaci interpreti.
Ma come è possibile poter pensare di dare a bere al proprio elettorato che è con questa sedicente coerenza che si può contribuire a risolvere i mali del Paese? Pensa Grillo che basti dare del venduto o dello zombie ad un avversario per far nascere improvvisamente i posti di lavoro necessari per un rilancio di redditi e consumi? Pensa Grillo che l'insulto o l'invettiva siano il movente per calmierare una fiscalità vorace ormai giunta a livelli intollerabili? Non crede piuttosto che una proposta articolata su come uscire dal tunnel, per quanto non condivisa da chi ha le redini del governo, sia piuttosto l'arma più efficace per accreditare la giustezza delle proprie tesi presso la gente? Crede Grillo e la sua processione di fanatici che il consenso si costruisca con l'espulsione dalle fila del movimento dei dissidenti? Solo i grigi dittatori hanno bisogno di consenzienti cortigiani disposti a seguirlo anche nelle avventure più scriteriate.
L'impressione è che nell'occasione il M5S e il suo leader non abbiano bruciato solo un'opportunità, ma abbiano messo altresì a nudo ed in via definitiva la livorosa sciatteria che avvince quel che si qualifica sempre più come un gruppo di sciamannati, incapaci persino di portare rispetto verso se stessi prim'ancora che nei confronti di coloro che improvvidamente hanno dato loro speranzoso mandato.  
 

giovedì, febbraio 13, 2014

Henry & Renzie e l'apologo della balena bianca



Rissa continua nel PD per la leadership del governo - Un Letta indolente, tardivamente propositivo, subisce l'attacco di Renzi - Una guerra incerta sulla testa dei cittadini avviliti e stanchi 


Giovedì, 13 febbraio 2014
A stare alle premesse nessuno si sarebbe mai atteso l'epilogo della battaglia per occupy palazzo Chigi in corso tra Matteo Renzi e il presidente del Consiglio in carica, Enrico Letta. Il primo, trionfatore delle primarie e vulcanico affabulatore, aveva detto in tutte le salse che la premiership è il frutto di un voto popolare che legittima e che è la condizione essenziale per poter gestire un programma di governo. Il secondo, - ruota di scorta di Napolitano quando il pneumatico Bersani si afflosciò irrimediabilmente, - che ha dato vita ad un esecutivo rivelatosi di profilo assai modesto e con una maggioranza ispirata alle cosiddette larghe intese così care al Capo dello Stato.
Negli scorsi giorni abbiamo avuto modo di soffermarci sugli sviluppi di una battaglia tutta interna al PD, che vede sì i due personaggi in contrapposizione sul metodo di realizzazione di un programma, ma che in realtà investe tutto il partito della sinistra, dove si sta consumando uno scontro ideologico tra i residui di un'anima di sinistra e un "nuovo" fatto di incomprensibili ecumenismi spacciati per realistico modernismo.
La scintilla da cui ha preso vita l'incendio è scoccata quando un Renzi, palesemente privo di scrupoli, ha invitato Silvio Berlusconi - il giaguaro con le unghie spuntate, ma tutt'altro che smacchiato - a sedere ad un tavolo di trattativa per varare un progetto di nuova legge elettorale, iniziativa criticata a gran voce da una buona parte del partito e invisa alla base del PD. Il prodotto di quell'incontro è stato un progetto di legge tutto da verificare in parlamento, il cui tallone d'Achille è la presenza delle famigerate liste bloccate, così invise ai cittadini, e che sono state l'oggetto della bocciatura del Porcellum da parte della Consulta. La contestazione di questo punto è costata la presidenza del partito a Gianni Cuperlo, sebbene ai più quella sortita dell'ex presidente dei democratici sia apparsa tutt'altro che genuina, visto che nella tazza delle liste bloccate anche il PD ci ha inzuppato il biscotto e leccato le dita per lungo tempo.
In ogni caso, da quel momento è stata un'escalation di scontri sotterranei, di accuse d'immobilismo e di pretestuose esortazioni all'accelerazione, che sono sfociate prima in un incontro separato con Giorgio Napolitano di Renzi e Letta, e nella giornata di ieri, in un faccia a faccia tra i due contendenti, durante il quale sembrerebbe che Renzi, venendo meno ai suoi proclami solenni, abbia richiesto a Letta di dimettersi per sostituirsi a lui alla guida dell'esecutivo.
Il contenuto di quel colloquio è rimasto al momento segreto e lo stesso Renzi, intervistato affinché fornisse anticipazioni, ha dichiarato che oggi si terrà una direzione del PD in cui saranno forniti chiarimenti e sarà anche esplicitata la posizione del partito sul governo in essere.  
In molti sono concordi nell'aver interpretato in queste dichiarazioni un'anticipazione della sfiducia a Letta; interpretazione corroborata dal contenuto di una conferenza stampa che il premier ha indetto dopo l'incontro con il suo segretario di partito, nel corso della quale ha inaspettatamente presentato Impegno Italia, proposta di patto di coalizione tra i partiti che sostengono l'esecutivo. Il presidente del Consiglio, in sostanza, dice ai partiti che sostengono il governo che lui va avanti. «Questo patto lo offro ai partiti, al Parlamento, ai cittadini che ci stanno seguendo in questo momento. Qui dentro ci sono molte idee, c'è una visione di cambiamento dell'Europa» è una «visione di Italia che riparte», ha detto il premier, che non ha risparmiato frecciate al segretario Pd: «Dica se vuole il mio posto». E rilancia il suo impegno: «Nel mio metodo poco personalismo e tanta concretezza».
Che questa sia la mossa di un uomo disperato, che tenta il tutto per tutto mettendo in crisi con un fatto compiuto il suo avversario, è abbastanza evidente. I tentennamenti sono stati d'altra parte eccessivamente protratti nel tempo e che all'improvviso, dopo il confronto con Renzi, Letta tiri fuori come dal cilindro del prestigiatore un il tanto atteso e reclamato piano di rilancio del Paese appare assai sospetto.
Sull'altro versante, la mossa di Renzi di proporsi alla guida del governo defenestrando Letta suona alquanto contraddittoria e, nello stesso tempo, avventata, poiché non può escludersi che sia stato sottovalutato come il cambio di premiership sia congeniale ai progetti di chi non aspetta che un suo coinvolgimento diretto per farlo cadere con ignominia alla prima occasione, tarpandogli così le ali e mettendo a nudo quelle che in tanti ritengono le sue spavalde e ambiziose dichiarazioni in buona parte irrealizzabili. Già i segnali di quella che si delinea come una fronda sono emersi con l'iter della legge elettorale, ancora ferma in parlamento e col rischio incombente del fuoco di sbarramento dei franchi tiratori.
Se questo è lo scenario politico, non di meno lo scenario sociale in cui si sviluppano gli avvenimenti è quantomeno allarmante. Il PD sta dando, infatti, un'immagine di sé e dei suoi travagli interni non dissimili da quelli che hanno portato alla morte del capodoglio democristiano, in cui le mille correnti e le guerre fratricide hanno finito per cancellare un partito di massa che dal dopoguerra alla metà degli anni novanta era stato al centro della politica italiana.
Nello stesso tempo non può passare inosservato il costante e progressivo processo di imborghesimento del PD, che ha perso definitivamente la sua storica collocazione operaia ed è divenuto già dai tempi della segreteria Veltroni un soggetto amerikano del tutto stravolto dalle sue radici. Il fattore non è di secondaria importanza: la classe operaia, quantunque profondamente trasformata dall'evoluzione tecnologica, è lungi dall'essere scomparsa ed oggi s'identifica con i milioni di disoccupati e di sfruttati con il precariato che non hanno più chi ne tuteli le istanze e gli interessi. E chi  per stupidità o incosciente superficialità sostiene nel PD che la classe operai è morta e che sarebbe anacronistico proporsi alla moderna società senza una connotazione trasversale, se non a rischio di occupare spazi rappresentativi ormai asfittici, pare del tutto incapace di cogliere il grido di dolore di un neoproletariato massicciamente presente ed in continua crescita.
Queste schiere di diseredati, che esprimono il loro dissenso con l'astensionismo o con la protesta sterile nel movimento di Grillo non sono da sottovalutare, poiché costituiscono l'humus in cui presto o tardi germoglierà il virus di sommovimenti dagli esiti imprevedibili: quando le distanze tra l'élite e la massa di povera  della società diverranno incolmabili non potranno che avvenire stravolgimenti globali cui nessuno resterà indenne. E che la gente, - quella che lavora per un salario che non consente d'arrivare a fine mese, quella che vorrebbe lavorare e non trova occupazione, quella che ha sgobbato per darsi una preparazione per un lavoro dignitoso ed è costretta ad accettare lavoretti di bassa lega e umilianti pur di sbarcare il lunario, quella che è indotta a togliersi la vita pur di salvare la propria dignità, - sia ormai disgustata d'assistere a questi squallidi minuetti per il potere fine a se stesso è ormai fuori da ogni dubbio.
Ci sentiremmo in questo quadro di suggerire alla politica il monito del grande poeta rumeno Butulescu: il fango infastidisce soltanto quando imbratta le nostre scarpe e questo fango è ormai talmente dilagante che presto potrebbe arrivare nei giardini d'inverno del potere con un impeto tale da seppellire tutto.