Henry & Renzie e l'apologo della balena bianca
Rissa continua nel PD per la
leadership del governo - Un Letta indolente, tardivamente propositivo, subisce
l'attacco di Renzi - Una guerra incerta sulla testa dei cittadini avviliti e
stanchi
Giovedì, 13 febbraio
2014
A stare alle premesse nessuno si
sarebbe mai atteso l'epilogo della battaglia per occupy palazzo Chigi in corso tra Matteo Renzi e il presidente del
Consiglio in carica, Enrico Letta. Il primo, trionfatore delle primarie e
vulcanico affabulatore, aveva detto in tutte le salse che la premiership è il
frutto di un voto popolare che legittima e che è la condizione essenziale per
poter gestire un programma di governo. Il secondo, - ruota di scorta di
Napolitano quando il pneumatico Bersani si afflosciò irrimediabilmente, - che
ha dato vita ad un esecutivo rivelatosi di profilo assai modesto e con una
maggioranza ispirata alle cosiddette larghe intese così care al Capo dello
Stato.
Negli scorsi giorni abbiamo avuto
modo di soffermarci sugli sviluppi di una battaglia tutta interna al PD, che
vede sì i due personaggi in contrapposizione sul metodo di realizzazione di un
programma, ma che in realtà investe tutto il partito della sinistra, dove si sta
consumando uno scontro ideologico tra i residui di un'anima di sinistra e un
"nuovo" fatto di incomprensibili ecumenismi spacciati per realistico
modernismo.
La scintilla da cui ha preso vita
l'incendio è scoccata quando un Renzi, palesemente privo di scrupoli, ha
invitato Silvio Berlusconi - il giaguaro con le unghie spuntate, ma tutt'altro
che smacchiato - a sedere ad un tavolo di trattativa per varare un progetto di
nuova legge elettorale, iniziativa criticata a gran voce da una buona parte del
partito e invisa alla base del PD. Il prodotto di quell'incontro è stato un
progetto di legge tutto da verificare in parlamento, il cui tallone d'Achille è
la presenza delle famigerate liste bloccate, così invise ai cittadini, e che
sono state l'oggetto della bocciatura del Porcellum da parte della Consulta. La
contestazione di questo punto è costata la presidenza del partito a Gianni
Cuperlo, sebbene ai più quella sortita dell'ex presidente dei democratici sia
apparsa tutt'altro che genuina, visto che nella tazza delle liste bloccate
anche il PD ci ha inzuppato il biscotto e leccato le dita per lungo tempo.
In ogni caso, da quel momento è
stata un'escalation di scontri sotterranei, di accuse d'immobilismo e di
pretestuose esortazioni all'accelerazione, che sono sfociate prima in un
incontro separato con Giorgio Napolitano di Renzi e Letta, e nella giornata di
ieri, in un faccia a faccia tra i due contendenti, durante il quale sembrerebbe
che Renzi, venendo meno ai suoi proclami solenni, abbia richiesto a Letta di
dimettersi per sostituirsi a lui alla guida dell'esecutivo.
Il contenuto di quel colloquio è
rimasto al momento segreto e lo stesso Renzi, intervistato affinché fornisse
anticipazioni, ha dichiarato che oggi si terrà una direzione del PD in cui saranno
forniti chiarimenti e sarà anche esplicitata la posizione del partito sul
governo in essere.
In molti sono concordi nell'aver interpretato
in queste dichiarazioni un'anticipazione della sfiducia a Letta; interpretazione
corroborata dal contenuto di una conferenza stampa che il premier ha indetto
dopo l'incontro con il suo segretario di partito, nel corso della quale ha
inaspettatamente presentato Impegno
Italia, proposta di patto di coalizione tra i
partiti che sostengono l'esecutivo. Il presidente del Consiglio, in
sostanza, dice ai partiti che sostengono il governo che lui va avanti. «Questo patto lo offro
ai partiti, al Parlamento, ai cittadini che ci stanno seguendo in questo
momento. Qui dentro ci sono molte idee, c'è una visione di cambiamento
dell'Europa» è una «visione di Italia che riparte», ha
detto il premier, che non ha risparmiato frecciate al segretario Pd: «Dica se vuole il mio posto». E rilancia
il suo impegno: «Nel mio metodo poco
personalismo e tanta concretezza».
Che
questa sia la mossa di un uomo disperato, che tenta il tutto per tutto mettendo
in crisi con un fatto compiuto il suo avversario, è abbastanza evidente. I tentennamenti
sono stati d'altra parte eccessivamente protratti nel tempo e che
all'improvviso, dopo il confronto con Renzi, Letta tiri fuori come dal cilindro
del prestigiatore un il tanto atteso e reclamato piano di rilancio del Paese
appare assai sospetto.
Sull'altro
versante, la mossa di Renzi di proporsi alla guida del governo defenestrando
Letta suona alquanto contraddittoria e, nello stesso tempo, avventata, poiché
non può escludersi che sia stato sottovalutato come il cambio di premiership
sia congeniale ai progetti di chi non aspetta che un suo coinvolgimento diretto
per farlo cadere con ignominia alla prima occasione, tarpandogli così le ali e
mettendo a nudo quelle che in tanti ritengono le sue spavalde e ambiziose
dichiarazioni in buona parte irrealizzabili. Già i segnali di quella che si
delinea come una fronda sono emersi con l'iter della legge elettorale, ancora
ferma in parlamento e col rischio incombente del fuoco di sbarramento dei
franchi tiratori.
Se
questo è lo scenario politico, non di meno lo scenario sociale in cui si
sviluppano gli avvenimenti è quantomeno allarmante. Il PD sta dando, infatti,
un'immagine di sé e dei suoi travagli interni non dissimili da quelli che hanno
portato alla morte del capodoglio democristiano, in cui le mille correnti e le
guerre fratricide hanno finito per cancellare un partito di massa che dal
dopoguerra alla metà degli anni novanta era stato al centro della politica
italiana.
Nello stesso
tempo non può passare inosservato il costante e progressivo processo di
imborghesimento del PD, che ha perso definitivamente la sua storica
collocazione operaia ed è divenuto già dai tempi della segreteria Veltroni un
soggetto amerikano del tutto stravolto
dalle sue radici. Il fattore non è di secondaria importanza: la classe operaia,
quantunque profondamente trasformata dall'evoluzione tecnologica, è lungi
dall'essere scomparsa ed oggi s'identifica con i milioni di disoccupati e di
sfruttati con il precariato che non hanno più chi ne tuteli le istanze e gli
interessi. E chi per stupidità o incosciente
superficialità sostiene nel PD che la classe operai è morta e che sarebbe
anacronistico proporsi alla moderna società senza una connotazione trasversale,
se non a rischio di occupare spazi rappresentativi ormai asfittici, pare del
tutto incapace di cogliere il grido di dolore di un neoproletariato
massicciamente presente ed in continua crescita.
Queste
schiere di diseredati, che esprimono il loro dissenso con l'astensionismo o con
la protesta sterile nel movimento di Grillo non sono da sottovalutare, poiché
costituiscono l'humus in cui presto o tardi germoglierà il virus di
sommovimenti dagli esiti imprevedibili: quando le distanze tra l'élite e la
massa di povera della società diverranno
incolmabili non potranno che avvenire stravolgimenti globali cui nessuno
resterà indenne. E che la gente, - quella che lavora per un salario che non
consente d'arrivare a fine mese, quella che vorrebbe lavorare e non trova
occupazione, quella che ha sgobbato per darsi una preparazione per un lavoro
dignitoso ed è costretta ad accettare lavoretti di bassa lega e umilianti pur
di sbarcare il lunario, quella che è indotta a togliersi la vita pur di salvare
la propria dignità, - sia ormai disgustata d'assistere a questi squallidi
minuetti per il potere fine a se stesso è ormai fuori da ogni dubbio.
Ci
sentiremmo in questo quadro di suggerire alla politica il monito del grande
poeta rumeno Butulescu: il fango infastidisce soltanto quando
imbratta le nostre scarpe e questo fango è ormai talmente dilagante che presto
potrebbe arrivare nei giardini d'inverno del potere con un impeto tale da
seppellire tutto.
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