sabato, luglio 28, 2007

Sinistri giochi di un governo di sinistra


Venerdì, 27 luglio 2007
E’ ormai trascorsa una settimana dalla firma dell’accordo sulla riforma della previdenza, ma le polemiche sia politiche che sindacali non sembrano placarsi. La CGIL, infatti, che già aveva apposto la sua firma per presa d’atto, alla luce dei successivi provvedimenti assunti dal Governo in tema di interventi atti a favorire l’occupazione giovanile, rientranti nel capitolo complessivo di riforma del welfare, ha già fatto sapere che difficilmente darà la sua approvazione alle misure predette, dato che nessun confronto vi è stato sul tema, né intesa di massima è stata raggiunta prima del varo dei provvedimenti medesimi. Peraltro, i provvedimenti, al di là delle altisonanti dichiarazioni di Prodi, sono solo una goccia in mezzo al mare rispetto al complesso dei problemi che ormai affligge strutturalmente il mercato del lavoro giovanile, restando irrisolte le questioni più gravi, come la stabilità del rapporto di lavoro e la cancellazione delle norme che consentono un precariato praticamente indefinito.
Sul fronte politico il confronto all’interno della maggioranza diviene giorno dopo giorno più aspro, dato che PRC, Comunisti Italiani e Verdi hanno già manifestato dissenso e disappunto profondo sull’intesa raggiunta con le organizzazioni sindacali in materia di scalone pensionistico, che non corrisponderebbe affatto agli accordi di programma ed avrebbe persino stravolto il senso della mediazione successivamente raggiunta faticosamente in sede di Consiglio dei ministri.
Su queste posizioni della sinistra radicale, - com’è ormai moda definire il fronte della sinistra estrema e legalista, - non si può non essere d’accordo, essendo stato a lungo sottolineato che proprio sugli impegni in ordine alla questione pensionistica questa coalizione ha vinto il confronto elettorale ingaggiato con la coalizione uscente.
Abbiamo avuto già modo di sottolineare come le proposte che andavano delineandosi ancora a poche ore da questo accordo rappresentassero un gravissimo tradimento del mandato che l’elettorato aveva conferito alla coalizione attualmente al governo del Paese, ma il risultato realizzato al tavolo del negoziato nella notte del 23 luglio scorso ha largamente superato ogni limite, avendo, nei fatti, consuntivato meccanismi di modifica della Maroni ampiamente peggiorativi delle norme precedenti. Il sistema delle quote, in vigore a partire dal luglio del 2009 è, infatti, un micidiale grimaldello con il quale si è fatto saltare il binomio età minima per la quiescenza e minima contribuzione, avendo introdotto un ascensore sia per il primo che per il secondo parametro.
In buona sostanza a far data dal luglio 2009 potrà andare in pensione di anzianità solo chi con l’età anagrafica di 59 anni potrà vantare anche 36 anni di contributi, – la cosiddetta quota 95, - alla faccia di chi si era illuso che questa sinistra avrebbe inciso effettivamente per correggere le macroscopiche storture della Maroni. Per onor di verità occorre riconoscere che un contentino nella farsa di palazzo Chigi comunque è stato concesso, visto che dal prossimo gennaio e sino al 30 giugno del 2009 qualcuno ha vinto la piccola lotteria delle pensioni potendo andare in quiescenza a 58 anni rispetto ai 60 già in vigore con l’odiosa Maroni, che deve aver giocato un effetto inebriante nell’immaginario dei sindacalisti al tavolo, tanto da indurli a chiudere la trattativa senza indugio. Il risultato dell'accordo, comunque, evidenzia quanto poco siano stati valutati gli effetti del nuovo meccanismo delle quote, che sicuramente peggiorano il quadro generale di accesso alla pensione, soddisfacendo probabilmente le forti pressioni che l'intera trattativa ha subito da quanti, nell'ambito dello stesso governo, in realtà o non volevano si riformasse la Maroni o puntavano ad inasprire il sistema profittando dell'apertura della trattativa stessa.
E degli incentivi per coloro che avessero rinunciato alla pensione e fossero rimasti al lavoro, cosa ne è stato? E del rifiuto delle cosiddette quote, che già avevano fatto impantanare il confronto appena 15 giorni prima e che adesso sono a tutti gli effetti il nuovo meccanismo di sbarramento? E delle roventi dichiarazioni sulla necessità di revisionare i lavori usuranti di cui tanto si era riempita la bocca il Segretario generale della UIL?
L’intesa raggiunta non è solo il frutto della protervia di Prodi e compagni d’avventura, i quali pagheranno a prezzo per loro non ancora immaginabile ciò che hanno fatto, ma se mai ce ne fosse stato bisogno è anche il chiaro sintomo del declino irreversibile in cui il processo di confronto politico-sindacale è scivolato negli anni, toccando il fondo proprio nella circostanza. Un processo di arrogante scollamento tra rappresentati e rappresentanti, in cui agenti sindacali e politici, nel più profondo disprezzo rispettivamente dei propri tesserati e degli elettori, hanno concluso un confronto con un risultato che scontenta tutti, dando più l’impressione di volersi liberare più di un fardello che non rispondere ad alla richiesta di equità sociale proveniente dal mondo del lavoro.
E così per ben 11 mesi, dal settembre dello scorso anno al fatidico 23 luglio 2007, abbiamo assistito a questa squallida farsa di promesse, impegni, minacce, distinguo, colpi di scena, suggerimenti con annessa sfilata di nomi altisonanti, come D’Alema, Fassino, Finocchiaro, Franceschini, Rutelli, Prodi, Padoa Schioppa, Diliberto, Giordano, Russo Spena, Angeletti, Epifani, Bonanni – e qui ci fermiamo, ché la lista sarebbe troppo lunga, - a dichiarare miserabili bugie a coloro che in fondo non chiedevano che solo una cosa: che si cancellasse lo scalone, così come da impegno assunto da molti dei suddetti in campagna elettorale.
Al contrario, le attese sono andate più che deluse ed il vulnus è tale da non ammettere né prove d’appello né da consentire un diritto di replica a questi figuri, che abusando dell’etichetta di sinistra, cui si dichiarano appartenenti, hanno solo perpetrato un gioco sinistro ai danni dei cittadini. Che se ci fosse una giustizia seria in questo Paese, - che di serio non ha più nulla, -bisognerebbe spedire questi personaggi immediatamente sotto processo per il reato di circonvenzione della fede pubblica e condannarli alla perdita di ogni diritto elettorale per il resto della loro esistenza.
Hanno a che ben protestare adesso i Giordano e i Diliberto, i Ferrero ed i Pecoraro Scanio, gridando all'inganno ed al tradimento dei patti. Davanti a cosa fatta che tacciano, piuttosto, e riservino le loro energie per i le azioni concrete, mandando a casa questo teatrino di speculatori e d’arrivisti al momento in cui la maledetta intesa dovrà essere trasformata in legge dello Stato. Mostrino loro d’avere ancora quel pizzico di dignità e devozione agli obblighi morali verso gli elettori compiendo il gesto estremo di giustizia, impossibile per il comune cittadino, votando contro lo scippo dei diritti perpetrato da questo Governo, che dimostra di governare solo per la salvaguardia delle poltrone dei suoi componenti. Abbiano il coraggio di tornare davanti agli elettori e di sottomettersi al loro giudizio, ché il messaggio questa volta e per i prossimi vent’anni arriverà loro forte e chiaro. Il popolo sovrano, per quanto si cerchi di farlo passare per stupido e irresponsabile, sa bene a chi deve questa vergogna e a chi dovrà riconoscenza per aver evitato che la stessa divenisse legge dello Stato.
(nella foto, Cesare Damiano, Ministro del Lavoro)

sabato, luglio 14, 2007

Le riforme e l’oppio del popolo



Venerdì, 13 luglio 2007

Karl Marx ormai due secoli or sono aveva attribuito alla religione il potere di obnubilare la mente umana ed è forse per questa ragione che al grande pensatore fu attribuita un’animosità mai documentata contro tutto ciò che aveva a che vedere con il clero e con tutto ciò che intorno a questo gravitava, qualunque fosse la natura della religione.
In realtà e quantunque Marx non potesse certo definirsi in alcun modo un uomo di fede nel soprannaturale, le sue affermazioni intendevano travalicare il confine strettamente letterale e sottintendere piuttosto che l’oppio dei popoli era rappresentato da tutto ciò che si poneva come dogmaticamente vero, assumendo per l’individuo una valenza immanente di vera e propria fede.
Sebbene i tempi cambino e cambino pure gli uomini e gli strumenti con cui si esercita il potere, rimangono i metodi concettuali di manipolazione degli individui ed ai giorni nostri l’oppio si palesa sotto le false spoglie di un riformismo di gattopardiana memoria, che pare mutare le cose per lasciarle in realtà assolutamente come erano prima se non peggiorarle.
E’ di stamani, per esempio, la notizia che il Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di legge cosiddetto taglia-costi, dando così una risposta concreta al coro delle proteste sul costo della politica, acuitosi particolarmente dopo l’ormai best seller di Stella, La casta, che degli sprechi e delle demenzialità delle spese dei politici ha fatto un quadro allucinante quanto veritiero.
Il provvedimento, che secondo le stime dell’Esecutivo dovrebbe consentire a regime un risparmio di circa 1,3 miliardi di euro annui, ruota su quattro punti cardine:
1) la razionalizzazione della pubblica amministrazione "con la previsione di una delega per il riordino e l'accorpamento di enti, organismi e strutture pubbliche, nonché il taglio automatico di enti inutili non riordinati entro una determinata data";
2) la riforma della rappresentanza politica a livello locale per razionalizzazione i costi;
3) trasparenza e riduzione dei costi delle società in mano pubblica con relativa riduzione dei membri degli organi di tutte le società controllate dall'amministrazione pubblica non quotate in mercati regolamentati e di meccanismi di selezione pubblica per tutte le assunzioni;
4) promozione dell'etica pubblica, e cioè trasparenza degli stipendi dei vertici amministrativi; misure che permettano di scegliere tramite offerta al pubblico i candidati per le nomine di competenza delle amministrazioni pubbliche; limiti al cumulo di incarichi pubblici da parte dei titolari di cariche elettive.Il risultato dovrebbe spaziare dalla riduzione e l'accorpamento degli enti locali (dimezzamento del numero dei ministeri), ai limiti per il finanziamento pubblico dei partiti, dai tagli poderosi alle auto blu a norme "rigorosissime" sulla trasparenza nell'affidamento degli incarichi pubblici. E poi un limite dell'accumulo degli incarichi pubblici, l'abolizione cioè di quelle figure iper-attive che riescono ad essere contemporaneamente sindaci, consiglieri, amministratori e altro. Meno rami morti, quindi; peccato che gli enti inutili, in Italia, non esistano. L’agenzia per i giochi olimpici, tenutisi a Torino l’anno scorso, è classificata come indispensabile dal ministero degli affari Esteri. E, purtroppo, non si tratta di un caso isolato, dato che, ad esempio, dal tempo dei mondiali di calcio sopravvive un ente che risponde al nome di Italia 90.
Non v’è dubbio che così visto il provvedimento sembra rispondere alla richiesta di maggiore trasparenza e sostenibilità degli oneri pubblici per la politica, per quanto le stime formulate dal Governo sui risparmi derivati non coincidano con le valutazioni effettuate in altre sedi, che ridurrebbero a 500 milioni i minori costi. Probabilmente la differenza è da imputare ai meccanismi di graduale introduzione dei tagli, che non andranno in onda tutti nella presente legislatura, ed alle prevedibili limature che il provvedimento subirà nel corso del suo iter di approvazione parlamentare.
Iniziative come questa, che virtualmente dovrebbero rappresentare un primo scalino nel lunghissimo processo di riconciliazione con la politica, accorpano però sorprese che quello scalino fanno immediatamente franare al primo sfioramento di scarpa. Sì, perché insieme ai tagli, tanto pubblicizzati con fanfare di dichiarazioni e volti contriti, nessuno ha avuto il coraggio di comunicare ai cittadini che il provvedimento contiene anche l’adeguamento immediato delle già pingui retribuzioni degli inquilini del palazzo, che hanno incrementato il loro appannaggio di ben 300 euro mensili (3600 annui). Come dire, questi poveri servitori della Repubblica in un mese porteranno a casa quanto, tra risse, duelli verbali e minacce di crisi di governo, hanno concesso in un anno ai pensionati indigenti qualche giorno fa. Se provate ad interrogarli ad uno ad uno magari vi diranno che non avrebbero voluto, ma disgraziatamente il loro stipendio è equiparato a quello dei magistrati presidenti di sezione della Corte di Cassazione, ed essendo aumentati quelli, guarda caso l’automatismo ha voluto aumentassero anche i loro. Naturalmente, essendo a questi signori notoriamente sconosciuti sia la dignità che il senso del ridicolo, non sono stati neanche sfiorati dall’idea che, non essendo tale aumento imposto da prescrizione medica, avrebbero potuto rinunciarvi giusto per dare un minimo esempio di correttezza etica.
Né migliore sorte, oltre che pubblicità, ha avuto la notizia circa il rifiuto dei signori parlamentari, in larga parte sfruttatori di giovani assunti in nero, – quei giovani verso i quali i lavoratori ribaldi devono fare i sacrifici con le proprie pensioni, – di consentire alla regolamentazione degli accessi agli uffici parlamentari riservandolo solo a coloro accreditati come da regolare contratto di lavoro.
Ecco allora che l’oppio per il popolo assume il suo significato: la fede nella politica, la convinzione che ci sia a palazzo ancora qualcuno mosso da un alto senso di dedizione alla propria missione da poter fare gli interessi di chi lo ha eletto. Un’illusione che ci viene somministrata in dosi sempre più massicce, che non ci consente più di distinguere la bufala, lo specchietto per le allodole dal vero raggio di luce.
E così ci eravamo illusi che il ministro Bersani, con il suo ormai famoso decreto sulle liberalizzazioni, avesse effettivamente messo in campo un meccanismo che potesse tutelare i cittadini dallo strapotere di alcune lobby. Peccato che il ministro abbia sottovalutato come i prevedibili rigurgiti d’arroganza dei suoi interlocutori andassero presidiati, dato che la liberalizzazione del commercio dei carburanti ha visto solo incrementare il prezzo di benzina e gasolio (il dollaro scende rispetto all’euro, ma il prezzo del carburante stranamente sale, tra l’indifferenza di chi dovrebbe controllare); l’abolizione dell’assurdo costo di ricarica dei cellulari è stato cancellato, ma Wind, prima, ed H3G, a breve, hanno rimodulato i prezzi dei loro servizi con incrementi anche del 100%; le assicurazioni hanno subito l’imposizione di rimborsi in tempi più rapidi, ma se subisci il furto dell’auto, come è capitato allo scrivente, non solo ti chiedono di produrre documentazione che prima non era prevista, consci della paralisi in cui ormai versa il sistema giudiziario, ma, se solo protesti, ti denunciano per tentata truffa, che con i tempi dei processi per calunnia vedrai i soldi del rimborso fra qualche anno, oltre l’onere di dimostrare che sei incapace di rubare anche una caramella.
Ecco l’oppio moderno, questa fiducia in una politica che ben che vada è approssimazione, è lustrini e pagliette, è una donna rigogliosa e piena di curve, ma che quando si spoglia trabocca cellulite e silicone.
(nella foto, Giulio Santagata, autore del ddl taglia-costi,ndr)

venerdì, luglio 06, 2007

Inganno elettorale e declino della politica


Venerdì, 6 luglio 2007

Mano a mano che passano le ore sempre più si delinea la frattura all’interno dell’attuale coalizione di governo e sempre più emerge il plateale inganno attraverso il quale alcuni settori di partiti di comprovata tradizione democratica, o almeno desunta tale sino ad oggi, hanno tentato di manipolare la fiducia dell’elettorato per il perseguimento di non meglio dichiarati obiettivi di semplice potere.
La cosa tragica è che a smentire se stessi non sono solo personaggi noti per la spregiudicatezza con la quale notoriamente si mettono al vento. Questa volta la lista si arricchisce di nomi di primo piano, come Rutelli, D’Alema, Dini, Bonino, Franceschini, sino ad arrivare a quel Pannella, che in tante occasioni ci ha abituato ai suoi ripetuti scioperi della fame e della seta per tener fede alla sua coerenza.
La questione della riforma previdenziale, definita in modo chiaro e netto nel programma elettorale dell’attuale Governo, è infatti divenuta terreno di scontro durissimo tra il partito dei legalisti, cioè di coloro che reclamano il rispetto degli impegni assunti con gli elettori, ed una sorta di nuovo politburo che si ostina a contrastare la traduzione in provvedimenti concreti del programma medesimo, adducendo a giustificazione di questo palese atteggiamento di tradimento della fiducia popolare argomenti di forte emozione, come quello del futuro delle pensioni dei giovani, ma che denota non solo la pochezza degli argomenti, ma quanto il senso e la capacità di far fede agli impegni assunti sia da loro ritenuto un semplice optional.
Costoro, - che non ostentano certo quel senso di dignità minima che invece esortano al comune cittadino, - a guisa delle grevi comparse che hanno appestato per decenni la scena politica sovietica, ritenendosi svincolati da qualunque mandato conferito loro dal Paese come quei tristi gerarchi e simulando tardivo pentimento, vengono a raccontare che il sistema economico non sarebbe in grado di reggere il ripristino di meccanismi previdenziali basati sul pensionamento a 57 anni e 35 di contributi, poiché ciò non permetterebbe ai giovani che si accingono ad entrare nel mercato del lavoro una dignitosa pensione, causa il sostanziale collassamento nel prossimo futuro dei conti dell’INPS. Peggio, per garantire l’erogazione delle pensioni già in essere, i giovani e le imprese sarebbero chiamati a contribuire in maniera molto più sostanziosa di quanto non sia previsto attualmente, senza che ciò comunque garantisca loro un livello di quiescieneza almeno pari a quello dei loro genitori .
Il ragionamento visto in prospettiva reca in sé certamente elementi di verità, poiché l’innalzamento delle aspettative di vita nell’ultimo ventennio si è decisamente elevato e, quindi, il sistema previdenziale richiede un intervento di adeguamento che tenga conto del positivo fenomeno.
Tuttavia, questa necessità non è detto debba esser soddisfatta con i meccanismi previsti dalla Maroni, che cala come una mannaia collo di lavoratori in classi di età molto precise. La precedente riforma, la cosiddetta Dini, aveva adottato un sistema più equo, stabilendo non solo graduali e scaglionati innalzamenti di età, ma anche il consolidamento di un certo numero di anni di contribuzione per il passaggio dal metodo retributivo al contributivo per il calcolo della pensione medesima. Non è comprensibile, pertanto, il perché la contestata riforma in essere non sia stata attuata con la previsione di ricorso a strumenti meno traumatici.
La falla gravissima dell’approccio dei sedicenti tutori degli interessi delle nuove generazioni di lavoratori, in realtà, sta altrove, considerato che il fenomeno di cui si parla non si è certo manifestato nel corso di una notte; né questi avveduti politici possono negare che quando il precedente esecutivo del Paese si apprestava al varo della contestata riforma furono i primi a scendere in piazza per sostenere ed alimentare la protesta verso quello che, nella forma e nella sostanza, appariva come un ingiusto e penalizzante provvedimento a danno di coloro che avevano avuto la disgrazia di venire al mondo tra il 1951 ed il 1953.
Questa osservazione, non di poco conto, impone un quesito estremamente chiaro: o i cavalieri dello status quo erano irresponsabili allora, - ed hanno continuato in questa gravissima irresponsabilità sino all’apposizione della loro personale firma sul programma elettorale; - oppure incapaci di percepire le conseguenze nefaste che il loro gesto può produrre sulle sorti del governo attuale, oltre che sulla loro personale permanenza sulla scena politica, perseverano in irresponsabilità da far dubitare sul loro buon diritto a sedere in Parlamento.
E che la politica non sia un gioco, quantomeno al massacro, si deve evincere dall’inammisibilità di argomentazioni che muovano dal non aver fatto i conti sul costo del provvedimento di cui si parla al tempo della stesura del programma, - che equivarrebbe ad un’imbarazzante confessione di assoluta inadeguatezza ad assumere ruoli di peso alla guida del Paese.
Dall’altro lato c’è una sinistra, - che sorprende scoprire solo oggi radicale, - che a buon diritto reclama il rispetto dei patti. Una sinistra che numericamente conterà anche poco, ma senza la quale si torna al voto e si riconsegna l’Italia al centro-destra. Una sinistra che, grazie anche queste defezioni di coerenza di certi compagni d’avventura, sta dando di sé una grande prova di onestà e fedeltà al mandato ricevuto dalla gente. Una sinistra che un improvvisato quartierino di furbetti della politica svillaneggia con accuse di massimalismo e, - udite, udite!, - di irresponsabilità.
Nella fase in cui è lo scontro non è possibile prevedere chi saranno i vincitori, anche se è definitivamente chiaro chi siano i vinti: quei cittadini che a questa inqualificabile armata brancaleone ha dato fiducia. Quei cittadini che hanno riposto la speranza di maggiore equità, giustizia, lavoro, efficienza dei servizi pubblici, in una coalizione rissosa e infedele, incapace di trovare un punto di collimazione su tutto, dalla giustizia, alla TAV, al mercato del lavoro, alle politiche di sviluppo, alle tasse, al recupero del potere d’acquisto eroso giorno dopo giorno dal carovita fuori controllo sull’altare degli interessi di lobby speculative e pressioni di banche, assicurazioni, commercianti, artigiani, congregazioni di professionisti, gestori di comparti energetici essenziali e diktat di partener europei.
Certo, ciò che ormai viene liquidato con l’etichetta di prima repubblica non avrà dato un’esaltante prova di rettitudine e di probità, ma gli uomini che vi si sono sostituiti non stanno a loro volta brillando per coerenza ed etica.
Aprire un fronte conflittuale all’interno della stessa casa può anche rispondere all’esigenza di individuare nuovi equilibri, nuovi assetti che impongono di liberarsi di componenti considerate non più necessarie: la politica è fluida e le coalizioni cambiano. Ciò può richiedere l’attivazione di metodi di isolamento di una certa componente e di cooptazione di una nuova, ma questo legittimo gioco politico non può avvenire a danno dei cittadini né in barba agli impegni d’onore assunti con loro, ché questo sarebbe solo il declino della democrazia. Mai deve dimenticarsi che in democrazia la politica è al servizio del cittadino e non il contrario. Ciò che sta accadendo rimane un fatto di gravità senza precedenti nella storia delle democrazie occidentali, tanto da stimolare la riflessione sulla necessità di creare ulteriori strumenti di controllo a difesa della democrazia reale; strumenti introducibili con riforma costituzionale che, per esempio, prevedano la possibilità per i cittadini di promuovere una raccolta di firme per sfiduciare la compagine alla quale è stato dato il proprio voto, quando questa non abbia rispettato il mandato conferito, senza dover attendere la scadenza naturale della legislatura. La democrazia è un ideale da realizzare e da preservare con il rispetto di regole certe e condivise, ma da difendere quotidianamente con il loro aggiornamento, al fine di renderne i valori sempre più saldi e trasparenti.