Sinistri giochi di un governo di sinistra
Venerdì, 27 luglio 2007
E’ ormai trascorsa una settimana dalla firma dell’accordo sulla riforma della previdenza, ma le polemiche sia politiche che sindacali non sembrano placarsi. La CGIL, infatti, che già aveva apposto la sua firma per presa d’atto, alla luce dei successivi provvedimenti assunti dal Governo in tema di interventi atti a favorire l’occupazione giovanile, rientranti nel capitolo complessivo di riforma del welfare, ha già fatto sapere che difficilmente darà la sua approvazione alle misure predette, dato che nessun confronto vi è stato sul tema, né intesa di massima è stata raggiunta prima del varo dei provvedimenti medesimi. Peraltro, i provvedimenti, al di là delle altisonanti dichiarazioni di Prodi, sono solo una goccia in mezzo al mare rispetto al complesso dei problemi che ormai affligge strutturalmente il mercato del lavoro giovanile, restando irrisolte le questioni più gravi, come la stabilità del rapporto di lavoro e la cancellazione delle norme che consentono un precariato praticamente indefinito.
Sul fronte politico il confronto all’interno della maggioranza diviene giorno dopo giorno più aspro, dato che PRC, Comunisti Italiani e Verdi hanno già manifestato dissenso e disappunto profondo sull’intesa raggiunta con le organizzazioni sindacali in materia di scalone pensionistico, che non corrisponderebbe affatto agli accordi di programma ed avrebbe persino stravolto il senso della mediazione successivamente raggiunta faticosamente in sede di Consiglio dei ministri.
Su queste posizioni della sinistra radicale, - com’è ormai moda definire il fronte della sinistra estrema e legalista, - non si può non essere d’accordo, essendo stato a lungo sottolineato che proprio sugli impegni in ordine alla questione pensionistica questa coalizione ha vinto il confronto elettorale ingaggiato con la coalizione uscente.
Abbiamo avuto già modo di sottolineare come le proposte che andavano delineandosi ancora a poche ore da questo accordo rappresentassero un gravissimo tradimento del mandato che l’elettorato aveva conferito alla coalizione attualmente al governo del Paese, ma il risultato realizzato al tavolo del negoziato nella notte del 23 luglio scorso ha largamente superato ogni limite, avendo, nei fatti, consuntivato meccanismi di modifica della Maroni ampiamente peggiorativi delle norme precedenti. Il sistema delle quote, in vigore a partire dal luglio del 2009 è, infatti, un micidiale grimaldello con il quale si è fatto saltare il binomio età minima per la quiescenza e minima contribuzione, avendo introdotto un ascensore sia per il primo che per il secondo parametro.
In buona sostanza a far data dal luglio 2009 potrà andare in pensione di anzianità solo chi con l’età anagrafica di 59 anni potrà vantare anche 36 anni di contributi, – la cosiddetta quota 95, - alla faccia di chi si era illuso che questa sinistra avrebbe inciso effettivamente per correggere le macroscopiche storture della Maroni. Per onor di verità occorre riconoscere che un contentino nella farsa di palazzo Chigi comunque è stato concesso, visto che dal prossimo gennaio e sino al 30 giugno del 2009 qualcuno ha vinto la piccola lotteria delle pensioni potendo andare in quiescenza a 58 anni rispetto ai 60 già in vigore con l’odiosa Maroni, che deve aver giocato un effetto inebriante nell’immaginario dei sindacalisti al tavolo, tanto da indurli a chiudere la trattativa senza indugio. Il risultato dell'accordo, comunque, evidenzia quanto poco siano stati valutati gli effetti del nuovo meccanismo delle quote, che sicuramente peggiorano il quadro generale di accesso alla pensione, soddisfacendo probabilmente le forti pressioni che l'intera trattativa ha subito da quanti, nell'ambito dello stesso governo, in realtà o non volevano si riformasse la Maroni o puntavano ad inasprire il sistema profittando dell'apertura della trattativa stessa.
E degli incentivi per coloro che avessero rinunciato alla pensione e fossero rimasti al lavoro, cosa ne è stato? E del rifiuto delle cosiddette quote, che già avevano fatto impantanare il confronto appena 15 giorni prima e che adesso sono a tutti gli effetti il nuovo meccanismo di sbarramento? E delle roventi dichiarazioni sulla necessità di revisionare i lavori usuranti di cui tanto si era riempita la bocca il Segretario generale della UIL?
L’intesa raggiunta non è solo il frutto della protervia di Prodi e compagni d’avventura, i quali pagheranno a prezzo per loro non ancora immaginabile ciò che hanno fatto, ma se mai ce ne fosse stato bisogno è anche il chiaro sintomo del declino irreversibile in cui il processo di confronto politico-sindacale è scivolato negli anni, toccando il fondo proprio nella circostanza. Un processo di arrogante scollamento tra rappresentati e rappresentanti, in cui agenti sindacali e politici, nel più profondo disprezzo rispettivamente dei propri tesserati e degli elettori, hanno concluso un confronto con un risultato che scontenta tutti, dando più l’impressione di volersi liberare più di un fardello che non rispondere ad alla richiesta di equità sociale proveniente dal mondo del lavoro.
E così per ben 11 mesi, dal settembre dello scorso anno al fatidico 23 luglio 2007, abbiamo assistito a questa squallida farsa di promesse, impegni, minacce, distinguo, colpi di scena, suggerimenti con annessa sfilata di nomi altisonanti, come D’Alema, Fassino, Finocchiaro, Franceschini, Rutelli, Prodi, Padoa Schioppa, Diliberto, Giordano, Russo Spena, Angeletti, Epifani, Bonanni – e qui ci fermiamo, ché la lista sarebbe troppo lunga, - a dichiarare miserabili bugie a coloro che in fondo non chiedevano che solo una cosa: che si cancellasse lo scalone, così come da impegno assunto da molti dei suddetti in campagna elettorale.
Al contrario, le attese sono andate più che deluse ed il vulnus è tale da non ammettere né prove d’appello né da consentire un diritto di replica a questi figuri, che abusando dell’etichetta di sinistra, cui si dichiarano appartenenti, hanno solo perpetrato un gioco sinistro ai danni dei cittadini. Che se ci fosse una giustizia seria in questo Paese, - che di serio non ha più nulla, -bisognerebbe spedire questi personaggi immediatamente sotto processo per il reato di circonvenzione della fede pubblica e condannarli alla perdita di ogni diritto elettorale per il resto della loro esistenza.
Hanno a che ben protestare adesso i Giordano e i Diliberto, i Ferrero ed i Pecoraro Scanio, gridando all'inganno ed al tradimento dei patti. Davanti a cosa fatta che tacciano, piuttosto, e riservino le loro energie per i le azioni concrete, mandando a casa questo teatrino di speculatori e d’arrivisti al momento in cui la maledetta intesa dovrà essere trasformata in legge dello Stato. Mostrino loro d’avere ancora quel pizzico di dignità e devozione agli obblighi morali verso gli elettori compiendo il gesto estremo di giustizia, impossibile per il comune cittadino, votando contro lo scippo dei diritti perpetrato da questo Governo, che dimostra di governare solo per la salvaguardia delle poltrone dei suoi componenti. Abbiano il coraggio di tornare davanti agli elettori e di sottomettersi al loro giudizio, ché il messaggio questa volta e per i prossimi vent’anni arriverà loro forte e chiaro. Il popolo sovrano, per quanto si cerchi di farlo passare per stupido e irresponsabile, sa bene a chi deve questa vergogna e a chi dovrà riconoscenza per aver evitato che la stessa divenisse legge dello Stato.
Sul fronte politico il confronto all’interno della maggioranza diviene giorno dopo giorno più aspro, dato che PRC, Comunisti Italiani e Verdi hanno già manifestato dissenso e disappunto profondo sull’intesa raggiunta con le organizzazioni sindacali in materia di scalone pensionistico, che non corrisponderebbe affatto agli accordi di programma ed avrebbe persino stravolto il senso della mediazione successivamente raggiunta faticosamente in sede di Consiglio dei ministri.
Su queste posizioni della sinistra radicale, - com’è ormai moda definire il fronte della sinistra estrema e legalista, - non si può non essere d’accordo, essendo stato a lungo sottolineato che proprio sugli impegni in ordine alla questione pensionistica questa coalizione ha vinto il confronto elettorale ingaggiato con la coalizione uscente.
Abbiamo avuto già modo di sottolineare come le proposte che andavano delineandosi ancora a poche ore da questo accordo rappresentassero un gravissimo tradimento del mandato che l’elettorato aveva conferito alla coalizione attualmente al governo del Paese, ma il risultato realizzato al tavolo del negoziato nella notte del 23 luglio scorso ha largamente superato ogni limite, avendo, nei fatti, consuntivato meccanismi di modifica della Maroni ampiamente peggiorativi delle norme precedenti. Il sistema delle quote, in vigore a partire dal luglio del 2009 è, infatti, un micidiale grimaldello con il quale si è fatto saltare il binomio età minima per la quiescenza e minima contribuzione, avendo introdotto un ascensore sia per il primo che per il secondo parametro.
In buona sostanza a far data dal luglio 2009 potrà andare in pensione di anzianità solo chi con l’età anagrafica di 59 anni potrà vantare anche 36 anni di contributi, – la cosiddetta quota 95, - alla faccia di chi si era illuso che questa sinistra avrebbe inciso effettivamente per correggere le macroscopiche storture della Maroni. Per onor di verità occorre riconoscere che un contentino nella farsa di palazzo Chigi comunque è stato concesso, visto che dal prossimo gennaio e sino al 30 giugno del 2009 qualcuno ha vinto la piccola lotteria delle pensioni potendo andare in quiescenza a 58 anni rispetto ai 60 già in vigore con l’odiosa Maroni, che deve aver giocato un effetto inebriante nell’immaginario dei sindacalisti al tavolo, tanto da indurli a chiudere la trattativa senza indugio. Il risultato dell'accordo, comunque, evidenzia quanto poco siano stati valutati gli effetti del nuovo meccanismo delle quote, che sicuramente peggiorano il quadro generale di accesso alla pensione, soddisfacendo probabilmente le forti pressioni che l'intera trattativa ha subito da quanti, nell'ambito dello stesso governo, in realtà o non volevano si riformasse la Maroni o puntavano ad inasprire il sistema profittando dell'apertura della trattativa stessa.
E degli incentivi per coloro che avessero rinunciato alla pensione e fossero rimasti al lavoro, cosa ne è stato? E del rifiuto delle cosiddette quote, che già avevano fatto impantanare il confronto appena 15 giorni prima e che adesso sono a tutti gli effetti il nuovo meccanismo di sbarramento? E delle roventi dichiarazioni sulla necessità di revisionare i lavori usuranti di cui tanto si era riempita la bocca il Segretario generale della UIL?
L’intesa raggiunta non è solo il frutto della protervia di Prodi e compagni d’avventura, i quali pagheranno a prezzo per loro non ancora immaginabile ciò che hanno fatto, ma se mai ce ne fosse stato bisogno è anche il chiaro sintomo del declino irreversibile in cui il processo di confronto politico-sindacale è scivolato negli anni, toccando il fondo proprio nella circostanza. Un processo di arrogante scollamento tra rappresentati e rappresentanti, in cui agenti sindacali e politici, nel più profondo disprezzo rispettivamente dei propri tesserati e degli elettori, hanno concluso un confronto con un risultato che scontenta tutti, dando più l’impressione di volersi liberare più di un fardello che non rispondere ad alla richiesta di equità sociale proveniente dal mondo del lavoro.
E così per ben 11 mesi, dal settembre dello scorso anno al fatidico 23 luglio 2007, abbiamo assistito a questa squallida farsa di promesse, impegni, minacce, distinguo, colpi di scena, suggerimenti con annessa sfilata di nomi altisonanti, come D’Alema, Fassino, Finocchiaro, Franceschini, Rutelli, Prodi, Padoa Schioppa, Diliberto, Giordano, Russo Spena, Angeletti, Epifani, Bonanni – e qui ci fermiamo, ché la lista sarebbe troppo lunga, - a dichiarare miserabili bugie a coloro che in fondo non chiedevano che solo una cosa: che si cancellasse lo scalone, così come da impegno assunto da molti dei suddetti in campagna elettorale.
Al contrario, le attese sono andate più che deluse ed il vulnus è tale da non ammettere né prove d’appello né da consentire un diritto di replica a questi figuri, che abusando dell’etichetta di sinistra, cui si dichiarano appartenenti, hanno solo perpetrato un gioco sinistro ai danni dei cittadini. Che se ci fosse una giustizia seria in questo Paese, - che di serio non ha più nulla, -bisognerebbe spedire questi personaggi immediatamente sotto processo per il reato di circonvenzione della fede pubblica e condannarli alla perdita di ogni diritto elettorale per il resto della loro esistenza.
Hanno a che ben protestare adesso i Giordano e i Diliberto, i Ferrero ed i Pecoraro Scanio, gridando all'inganno ed al tradimento dei patti. Davanti a cosa fatta che tacciano, piuttosto, e riservino le loro energie per i le azioni concrete, mandando a casa questo teatrino di speculatori e d’arrivisti al momento in cui la maledetta intesa dovrà essere trasformata in legge dello Stato. Mostrino loro d’avere ancora quel pizzico di dignità e devozione agli obblighi morali verso gli elettori compiendo il gesto estremo di giustizia, impossibile per il comune cittadino, votando contro lo scippo dei diritti perpetrato da questo Governo, che dimostra di governare solo per la salvaguardia delle poltrone dei suoi componenti. Abbiano il coraggio di tornare davanti agli elettori e di sottomettersi al loro giudizio, ché il messaggio questa volta e per i prossimi vent’anni arriverà loro forte e chiaro. Il popolo sovrano, per quanto si cerchi di farlo passare per stupido e irresponsabile, sa bene a chi deve questa vergogna e a chi dovrà riconoscenza per aver evitato che la stessa divenisse legge dello Stato.
(nella foto, Cesare Damiano, Ministro del Lavoro)
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