Inganno elettorale e declino della politica
Venerdì, 6 luglio 2007
Mano a mano che passano le ore sempre più si delinea la frattura all’interno dell’attuale coalizione di governo e sempre più emerge il plateale inganno attraverso il quale alcuni settori di partiti di comprovata tradizione democratica, o almeno desunta tale sino ad oggi, hanno tentato di manipolare la fiducia dell’elettorato per il perseguimento di non meglio dichiarati obiettivi di semplice potere.
La cosa tragica è che a smentire se stessi non sono solo personaggi noti per la spregiudicatezza con la quale notoriamente si mettono al vento. Questa volta la lista si arricchisce di nomi di primo piano, come Rutelli, D’Alema, Dini, Bonino, Franceschini, sino ad arrivare a quel Pannella, che in tante occasioni ci ha abituato ai suoi ripetuti scioperi della fame e della seta per tener fede alla sua coerenza.
La cosa tragica è che a smentire se stessi non sono solo personaggi noti per la spregiudicatezza con la quale notoriamente si mettono al vento. Questa volta la lista si arricchisce di nomi di primo piano, come Rutelli, D’Alema, Dini, Bonino, Franceschini, sino ad arrivare a quel Pannella, che in tante occasioni ci ha abituato ai suoi ripetuti scioperi della fame e della seta per tener fede alla sua coerenza.
La questione della riforma previdenziale, definita in modo chiaro e netto nel programma elettorale dell’attuale Governo, è infatti divenuta terreno di scontro durissimo tra il partito dei legalisti, cioè di coloro che reclamano il rispetto degli impegni assunti con gli elettori, ed una sorta di nuovo politburo che si ostina a contrastare la traduzione in provvedimenti concreti del programma medesimo, adducendo a giustificazione di questo palese atteggiamento di tradimento della fiducia popolare argomenti di forte emozione, come quello del futuro delle pensioni dei giovani, ma che denota non solo la pochezza degli argomenti, ma quanto il senso e la capacità di far fede agli impegni assunti sia da loro ritenuto un semplice optional.
Costoro, - che non ostentano certo quel senso di dignità minima che invece esortano al comune cittadino, - a guisa delle grevi comparse che hanno appestato per decenni la scena politica sovietica, ritenendosi svincolati da qualunque mandato conferito loro dal Paese come quei tristi gerarchi e simulando tardivo pentimento, vengono a raccontare che il sistema economico non sarebbe in grado di reggere il ripristino di meccanismi previdenziali basati sul pensionamento a 57 anni e 35 di contributi, poiché ciò non permetterebbe ai giovani che si accingono ad entrare nel mercato del lavoro una dignitosa pensione, causa il sostanziale collassamento nel prossimo futuro dei conti dell’INPS. Peggio, per garantire l’erogazione delle pensioni già in essere, i giovani e le imprese sarebbero chiamati a contribuire in maniera molto più sostanziosa di quanto non sia previsto attualmente, senza che ciò comunque garantisca loro un livello di quiescieneza almeno pari a quello dei loro genitori .
Il ragionamento visto in prospettiva reca in sé certamente elementi di verità, poiché l’innalzamento delle aspettative di vita nell’ultimo ventennio si è decisamente elevato e, quindi, il sistema previdenziale richiede un intervento di adeguamento che tenga conto del positivo fenomeno.
Costoro, - che non ostentano certo quel senso di dignità minima che invece esortano al comune cittadino, - a guisa delle grevi comparse che hanno appestato per decenni la scena politica sovietica, ritenendosi svincolati da qualunque mandato conferito loro dal Paese come quei tristi gerarchi e simulando tardivo pentimento, vengono a raccontare che il sistema economico non sarebbe in grado di reggere il ripristino di meccanismi previdenziali basati sul pensionamento a 57 anni e 35 di contributi, poiché ciò non permetterebbe ai giovani che si accingono ad entrare nel mercato del lavoro una dignitosa pensione, causa il sostanziale collassamento nel prossimo futuro dei conti dell’INPS. Peggio, per garantire l’erogazione delle pensioni già in essere, i giovani e le imprese sarebbero chiamati a contribuire in maniera molto più sostanziosa di quanto non sia previsto attualmente, senza che ciò comunque garantisca loro un livello di quiescieneza almeno pari a quello dei loro genitori .
Il ragionamento visto in prospettiva reca in sé certamente elementi di verità, poiché l’innalzamento delle aspettative di vita nell’ultimo ventennio si è decisamente elevato e, quindi, il sistema previdenziale richiede un intervento di adeguamento che tenga conto del positivo fenomeno.
Tuttavia, questa necessità non è detto debba esser soddisfatta con i meccanismi previsti dalla Maroni, che cala come una mannaia collo di lavoratori in classi di età molto precise. La precedente riforma, la cosiddetta Dini, aveva adottato un sistema più equo, stabilendo non solo graduali e scaglionati innalzamenti di età, ma anche il consolidamento di un certo numero di anni di contribuzione per il passaggio dal metodo retributivo al contributivo per il calcolo della pensione medesima. Non è comprensibile, pertanto, il perché la contestata riforma in essere non sia stata attuata con la previsione di ricorso a strumenti meno traumatici.
La falla gravissima dell’approccio dei sedicenti tutori degli interessi delle nuove generazioni di lavoratori, in realtà, sta altrove, considerato che il fenomeno di cui si parla non si è certo manifestato nel corso di una notte; né questi avveduti politici possono negare che quando il precedente esecutivo del Paese si apprestava al varo della contestata riforma furono i primi a scendere in piazza per sostenere ed alimentare la protesta verso quello che, nella forma e nella sostanza, appariva come un ingiusto e penalizzante provvedimento a danno di coloro che avevano avuto la disgrazia di venire al mondo tra il 1951 ed il 1953.
Questa osservazione, non di poco conto, impone un quesito estremamente chiaro: o i cavalieri dello status quo erano irresponsabili allora, - ed hanno continuato in questa gravissima irresponsabilità sino all’apposizione della loro personale firma sul programma elettorale; - oppure incapaci di percepire le conseguenze nefaste che il loro gesto può produrre sulle sorti del governo attuale, oltre che sulla loro personale permanenza sulla scena politica, perseverano in irresponsabilità da far dubitare sul loro buon diritto a sedere in Parlamento.
E che la politica non sia un gioco, quantomeno al massacro, si deve evincere dall’inammisibilità di argomentazioni che muovano dal non aver fatto i conti sul costo del provvedimento di cui si parla al tempo della stesura del programma, - che equivarrebbe ad un’imbarazzante confessione di assoluta inadeguatezza ad assumere ruoli di peso alla guida del Paese.
Dall’altro lato c’è una sinistra, - che sorprende scoprire solo oggi radicale, - che a buon diritto reclama il rispetto dei patti. Una sinistra che numericamente conterà anche poco, ma senza la quale si torna al voto e si riconsegna l’Italia al centro-destra. Una sinistra che, grazie anche queste defezioni di coerenza di certi compagni d’avventura, sta dando di sé una grande prova di onestà e fedeltà al mandato ricevuto dalla gente. Una sinistra che un improvvisato quartierino di furbetti della politica svillaneggia con accuse di massimalismo e, - udite, udite!, - di irresponsabilità.
Nella fase in cui è lo scontro non è possibile prevedere chi saranno i vincitori, anche se è definitivamente chiaro chi siano i vinti: quei cittadini che a questa inqualificabile armata brancaleone ha dato fiducia. Quei cittadini che hanno riposto la speranza di maggiore equità, giustizia, lavoro, efficienza dei servizi pubblici, in una coalizione rissosa e infedele, incapace di trovare un punto di collimazione su tutto, dalla giustizia, alla TAV, al mercato del lavoro, alle politiche di sviluppo, alle tasse, al recupero del potere d’acquisto eroso giorno dopo giorno dal carovita fuori controllo sull’altare degli interessi di lobby speculative e pressioni di banche, assicurazioni, commercianti, artigiani, congregazioni di professionisti, gestori di comparti energetici essenziali e diktat di partener europei.
Certo, ciò che ormai viene liquidato con l’etichetta di prima repubblica non avrà dato un’esaltante prova di rettitudine e di probità, ma gli uomini che vi si sono sostituiti non stanno a loro volta brillando per coerenza ed etica.
Aprire un fronte conflittuale all’interno della stessa casa può anche rispondere all’esigenza di individuare nuovi equilibri, nuovi assetti che impongono di liberarsi di componenti considerate non più necessarie: la politica è fluida e le coalizioni cambiano. Ciò può richiedere l’attivazione di metodi di isolamento di una certa componente e di cooptazione di una nuova, ma questo legittimo gioco politico non può avvenire a danno dei cittadini né in barba agli impegni d’onore assunti con loro, ché questo sarebbe solo il declino della democrazia. Mai deve dimenticarsi che in democrazia la politica è al servizio del cittadino e non il contrario. Ciò che sta accadendo rimane un fatto di gravità senza precedenti nella storia delle democrazie occidentali, tanto da stimolare la riflessione sulla necessità di creare ulteriori strumenti di controllo a difesa della democrazia reale; strumenti introducibili con riforma costituzionale che, per esempio, prevedano la possibilità per i cittadini di promuovere una raccolta di firme per sfiduciare la compagine alla quale è stato dato il proprio voto, quando questa non abbia rispettato il mandato conferito, senza dover attendere la scadenza naturale della legislatura. La democrazia è un ideale da realizzare e da preservare con il rispetto di regole certe e condivise, ma da difendere quotidianamente con il loro aggiornamento, al fine di renderne i valori sempre più saldi e trasparenti.
La falla gravissima dell’approccio dei sedicenti tutori degli interessi delle nuove generazioni di lavoratori, in realtà, sta altrove, considerato che il fenomeno di cui si parla non si è certo manifestato nel corso di una notte; né questi avveduti politici possono negare che quando il precedente esecutivo del Paese si apprestava al varo della contestata riforma furono i primi a scendere in piazza per sostenere ed alimentare la protesta verso quello che, nella forma e nella sostanza, appariva come un ingiusto e penalizzante provvedimento a danno di coloro che avevano avuto la disgrazia di venire al mondo tra il 1951 ed il 1953.
Questa osservazione, non di poco conto, impone un quesito estremamente chiaro: o i cavalieri dello status quo erano irresponsabili allora, - ed hanno continuato in questa gravissima irresponsabilità sino all’apposizione della loro personale firma sul programma elettorale; - oppure incapaci di percepire le conseguenze nefaste che il loro gesto può produrre sulle sorti del governo attuale, oltre che sulla loro personale permanenza sulla scena politica, perseverano in irresponsabilità da far dubitare sul loro buon diritto a sedere in Parlamento.
E che la politica non sia un gioco, quantomeno al massacro, si deve evincere dall’inammisibilità di argomentazioni che muovano dal non aver fatto i conti sul costo del provvedimento di cui si parla al tempo della stesura del programma, - che equivarrebbe ad un’imbarazzante confessione di assoluta inadeguatezza ad assumere ruoli di peso alla guida del Paese.
Dall’altro lato c’è una sinistra, - che sorprende scoprire solo oggi radicale, - che a buon diritto reclama il rispetto dei patti. Una sinistra che numericamente conterà anche poco, ma senza la quale si torna al voto e si riconsegna l’Italia al centro-destra. Una sinistra che, grazie anche queste defezioni di coerenza di certi compagni d’avventura, sta dando di sé una grande prova di onestà e fedeltà al mandato ricevuto dalla gente. Una sinistra che un improvvisato quartierino di furbetti della politica svillaneggia con accuse di massimalismo e, - udite, udite!, - di irresponsabilità.
Nella fase in cui è lo scontro non è possibile prevedere chi saranno i vincitori, anche se è definitivamente chiaro chi siano i vinti: quei cittadini che a questa inqualificabile armata brancaleone ha dato fiducia. Quei cittadini che hanno riposto la speranza di maggiore equità, giustizia, lavoro, efficienza dei servizi pubblici, in una coalizione rissosa e infedele, incapace di trovare un punto di collimazione su tutto, dalla giustizia, alla TAV, al mercato del lavoro, alle politiche di sviluppo, alle tasse, al recupero del potere d’acquisto eroso giorno dopo giorno dal carovita fuori controllo sull’altare degli interessi di lobby speculative e pressioni di banche, assicurazioni, commercianti, artigiani, congregazioni di professionisti, gestori di comparti energetici essenziali e diktat di partener europei.
Certo, ciò che ormai viene liquidato con l’etichetta di prima repubblica non avrà dato un’esaltante prova di rettitudine e di probità, ma gli uomini che vi si sono sostituiti non stanno a loro volta brillando per coerenza ed etica.
Aprire un fronte conflittuale all’interno della stessa casa può anche rispondere all’esigenza di individuare nuovi equilibri, nuovi assetti che impongono di liberarsi di componenti considerate non più necessarie: la politica è fluida e le coalizioni cambiano. Ciò può richiedere l’attivazione di metodi di isolamento di una certa componente e di cooptazione di una nuova, ma questo legittimo gioco politico non può avvenire a danno dei cittadini né in barba agli impegni d’onore assunti con loro, ché questo sarebbe solo il declino della democrazia. Mai deve dimenticarsi che in democrazia la politica è al servizio del cittadino e non il contrario. Ciò che sta accadendo rimane un fatto di gravità senza precedenti nella storia delle democrazie occidentali, tanto da stimolare la riflessione sulla necessità di creare ulteriori strumenti di controllo a difesa della democrazia reale; strumenti introducibili con riforma costituzionale che, per esempio, prevedano la possibilità per i cittadini di promuovere una raccolta di firme per sfiduciare la compagine alla quale è stato dato il proprio voto, quando questa non abbia rispettato il mandato conferito, senza dover attendere la scadenza naturale della legislatura. La democrazia è un ideale da realizzare e da preservare con il rispetto di regole certe e condivise, ma da difendere quotidianamente con il loro aggiornamento, al fine di renderne i valori sempre più saldi e trasparenti.
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