domenica, maggio 11, 2008

Del politico non far sapere…………..

Domenica, 11 maggio 2008
Adesso è la volta di Marco Travaglio, il valente giornalista collaboratore di Anno Zero di Michele Santoro, che come il suo mentore non gode di simpatie diffuse, a causa del vezzo di sparare a zero sui potenti che gli capitano a tiro con crude chiarezza e, per altro, in modo minuziosamente documentato.
Nel caso di Travaglio comunque non ci troviamo davanti al comunista di turno, che non perde occasione per attaccare gli avversari politici, con stizza ed allo stesso tempo compiacimento di Berlusconi, che trae profittevole spunto da questi attacchi per tirar fuori dalla naftalina immaginarie congiure sinistrorse e livori mai sopiti a suo danno ed ai danni dei suoi amici di schieramento, visto che non ha mai militato in alcuno dei partiti o movimenti di sinistra. Il Nostro, - ma, dopo i fatti accaduti, sarebbe più adeguato forse definirlo il “mostro”, dato che è stato sbattuto in prima pagina questa volta a causa delle sue presunte gravi colpe e non per aver scritto un articolo prestigioso, - sarebbe colpevole di aver espresso maligne insinuazioni sulla cristallinità del Presidente del Senato, Renato Schifani, reo di aver avuto in passato frequentazioni con inquisiti per mafia. Tutto questo su RAI3 nella trasmissione di Fabio Fazio Che tempo che fa. Poco ha rilevato che le stesse maligne insinuazioni Travaglio le avesse già vergate documentalmente su un libro a sua firma di qualche tempo fa, libro probabilmente noto al’interessato, che non risulta abbia a quel tempo promosso alcuna azione giudiziaria a tutela della propria onorabilità ritenuta lesa o, quanto meno, messa in discussione.
Della questione, com’era prevedibile, si sta occupando il CdA della RAI; mentre il suo direttore generale Cappon, nell’esprimere il suo disappunto per l’accaduto, ha già intimato a Fazio di leggere una nota ufficiale dell’ente di viale Mazzini, con il quale si intende prendere le distanze dalle dichiarazioni di Travaglio, verso il quale non possono escludersi provvedimenti, essendo egli stesso un collaboratore della TV di stato. Naturalmente la politica non ha perso tempo per scatenare un infuocato confronto sulle affermazioni incriminate, che per bocca di Mattioli, neo ministro delle Infrastrutture e Trasporti in quota ad AN, sono divenute “una vergognosa imboscata”, mentre il Capogruppo alla Camera del PdL, Maurizio Gasparri, non esita a parlare di “mandanti” dietro la sortita di Travaglio ed invoca "conseguenze politiche” per la trasmissione di Fazio e per la RAI.
Di tutt’altro avviso il commento di Antonio Di Pietro, che ritiene le affermazioni di Travaglio del tutto legittime, dato che il tempo non può cancellare come un colpo di spugna fatti comprovati e noti a tutti, con ciò entrando in palese rotta di collisione con la collega Anna Finocchiaro che dichiara di trovare “inaccettabile che possano essere lanciate accuse così gravi, come quella di collusione mafiosa, nei confronti del presidente del Senato, in diretta tv su una rete pubblica, senza possibilità di contraddittorio”. Italo Bocchino, vice capogruppo vicario del PdL alla Camera, che fa del caso una questione di rapporti tra maggioranza ed opposizione, sostiene che "Di Pietro difende Travaglio e dice a sua volta parole in libertà perché non gradisce che fra le forze politiche di maggioranza e di opposizione si è stabilito un clima normale, nel quale ci si confronta e anche si dissente senza insulti e senza demonizzazioni”.
Sin qui la cronaca. Tuttavia come è facile constatare, il dibattito non è incentrato sulla veridicità delle affermazioni di Travaglio, ma sul fatto che le stesse siano state proferite in assenza dell’interessato e, dunque, non abbiano lasciato a Schifani alcuna possibilità di controbattere e da cui discendono considerazioni che in tutta franchezza non possono che lasciare allibiti.
Come ha aggiunto Di Pietro a margine della polemica ancora in corso a proposito dell’assenza di contradditorio: “Non ha senso. Vorrebbe dire che ogni qualvolta si scrive di una rapina, si dovrebbe ascoltare anche la versione del rapinatore". E che questa reclamata a gran voce esigenza di contradditorio suoni come uno stantio tentativo di invocare una par condicio ad ogni piè sospinto, specialmente quando si parla di politici, è cosa ormai divenuta insopportabile, visto che nella migliore delle ipotesi non servirebbe di certo a cancellare ciò che effettivamente è stato, ma ad ottundere la percezione dell’ascoltatore con mille bla-bla che nulla tolgono alla responsabilità di chi a qualche scheletro nell’armadio. Non si comprende poi, se non nella concezione del privilegio di casta, - che come si vede affascina anche la brava Anna Finocchiaro, - perché tale possibilità dovrebbe essere concessa a Schifani o al presunto politico offeso di turno, quando al comune cittadino un pari diritto è del tutto negato, se non a costo di ingenti esborsi di quattrini nelle sedi giudiziarie preposte.
Ancora una volta da questi episodi emerge come riformare la politica non significhi semplicemente ricorrere alle urne per cambiare gli orchestrali nella speranza che cambi anche la musica, ma significhi piuttosto modificare le radici culturali che stanno alla base del sistema di potere, che debbono rendere più vicini governanti e governati anche sul piano dei trattamenti complessivi, nella vita quotidiana, davanti alla legge, nell’accesso alle opportunità e così via. D’altra parte, qualora la politica voglia evitare incresciose ed imbarazzanti situazioni, inutili polemiche ed accuse di difesa corporativa dei propri privilegi, sia la prima a rifondarsi, evitando di cooptare nel suo corpo delinquenti accertati ma a piede libero per mancanza di sentenza definitiva, inquisiti e sospettati gravi, sui quali sino a quando presenti è sempre possibile speculare a ragione. Il non verificarsi di queste nuove condizioni costringe a condividere le preoccupazioni di Travaglio, che in proposito sostiene: “E poi a Fazio ho spiegato che se dopo De Nicola, Pertini e Fanfani, ci ritroviamo con Schifani sono terrorizzato dal dopo: le uniche forme residue di vita sono il lombrico e la muffa. Anzi, la muffa no, perché è molto utile”.

giovedì, maggio 08, 2008

Successo della destra e declino della sinistra

Giovedì, 8 maggio 2008
Mentre continua il dibattito sulle ragioni dei risultati delle recenti elezioni politiche, Giancarlo Bosetti su la Repubblica di ieri, con un’analisi dotta e puntuale, ci offre un’interessante chiave di lettura del fenomeno di migrazione del voto verso destra, che costituisce un eccellente base di ulteriore approfondimento dell’esito storico del sorprendente responso delle urne.
La tesi da cui muove Bosetti si basa sull’assunto che la propensione al progressismo sia più insita nell’indole delle classi più abbienti che nella struttura psicologica dei poveri e, a conforto di questo assunto, cita le grandi opere di Karl Marx sul socialismo scientifico o comunismo. Negli USA, - sostiene Bosetti, - dove la sinistra democratica ha già collezionato due sconfitte alle presidenziali dell’ultimo decennio, l’abilità dei conservatori si è manifestata proprio nella capacità di far apparire il liberismo progressista dei Democratici come l’approccio di un’élite intellettuale “mangiatrice di tartine al caviale, frequentatori di cocktail party nei quartieri esclusivi di Manhattan, amanti dei gay e lettori del New York Times.” In questo senso, dunque, la sinistra, incapace di tradurre in azioni concrete e tangibili la sua azione riformatrice e progressista di governo, sarebbe ed è stata facile preda della propaganda reazionaria, che ha fatto perno sul diffuso malcontento di chi ha subito lo sradicamento di posizioni di rendita in nome di un progressismo i cui frutti maturano nel tempo, ma che, nel breve, hanno evidenziano solo lo svellimento di nicchie di profitto e di potere.
A scopo esemplificativo, Bosetti paventa l’ipotesi che i tassisti potranno in fine convenire sul fatto che l’aumento delle licenze migliori il servizio di pubblico trasporto, pur se questo determina un deterioramento del valore della sua licenza acquistata a caro prezzo; così come è probabile che il vantaggio derivante dall’importazione di manodopera a basso costo come affetto del processo d’immigrazione possa rendere tollerabile un’erosione del valore degli immobili siti nelle aree urbane in cui tale immigrazione si concentra. Questi processi di razionalizzazione, tuttavia, non sono immediati. Anzi nel breve termine è probabile divengano elementi di fortissima tensione sociale tra categorie di cittadini, categorie che, di fondo, vivono il proprio rapporto con la comunità in un processo di costante competizione e di difesa di ciò che in questi frangenti diviene il loro privilegio di sopravvivenza. In altri termini, le liberalizzazioni alla base del progressismo sono fenomeni che tutti si augurano e vorrebbero realizzati a spese della rimozione del percepito privilegio altrui.
In pratica, ciò che sarebbe venuto meno alla sinistra sarebbe quel che il pensatore liberale inglese Michael Oakshott ha definito come razionalismo in politica, del quale Bosetti avverte “non si può immaginare, se non in una prospettiva da avanguardia giacobina e rivoluzionaria, che il razionalismo in politica vinca per virtù propria, a forza di calcoli economici, specialmente in tempi di paura. Piacere a Barroso e Almunia non vuol dire sfondare tra gli elettori,” anzi è probabile il contrario, che la difesa di principi, che ledono lo stato delle cose in vista di traguardi distanti dalla percezione dell’esistenza quotidiana o le cui problematiche origini sono nel sentimento comune da attribuire ad altri, produca la sedimentazione di sordido rancore nei confronti di chi le attua con cieco fideismo.
E che il vanesio professore di Bologna, Romano Prodi, ancora oggi a fronte di una disfatta politica senza precedenti, santifichi l’azione del suo governo per le cose fatte in questa direzione con argomentazioni tanto ragionieristiche quanto prive del senso più elementare della razionalità in politica, dimostra come la sconfitta della sua coalizione fosse già scritta nel grande libro del tempo come certa e inevitabile. Aver pensato che un faticoso programma di rientro dal deficit, con inflazione e salari in sofferenza, potesse produrre da solo consensi è stato un errore serio. Pensare che “le riforme liberali, necessarissime in Italia, dalle farmacie ai tassisti, dall’Alitalia ai contratti flessibili, per il fatto di essere utili al Paese fossero anche popolari” è stato un errore esiziale, - conclude Bosetti.
In questa prospettiva, se si vogliono identificare le ragioni dell’affermazioni della destra nelle recenti elezioni non è difficile trovare la risposta. E tali ragioni non risiedono solo nella capacità di Berlusconi di comunicare con immediatezza e senza fronzoli, facendosi interprete pubblicitario degli istinti meno nobili delle masse; né nella efficace rozzezza di Bossi e della Lega, capace di far perno sugli egoismi di chi certamente deve parte del proprio benessere al sangue dei terroni , una volta, ed oggi allo sfruttamento spregiudicato di masse di extracomunitari fuggiti dai loro paesi d’origine attratti dall’eldorado padano, ma comunque in grado di garantire una certa vivibilità nei comuni in cui governa; né, infine, nell’attrazione della destra sociale di AN, il cui valore ideologico si è ormai sgretolato. Ciò che più pesantemente ha fatto differenza ed ha posto una seria ipoteca sulle possibilità future della sinistra di tornare al potere risiede nel suo collasso ideologico, nel suo deserto simbolico, nell’aridità della sua retorica. Come evidenzia con eleganza Bosetti, “una prospettiva riformista vincente non può presentare il proprio progetto come un protocollo d’appalto: la competizione con la destra riguarda la chiarezza delle politiche proposte, ma anche la qualità, coerenza, bellezza del rifugio ideologico, del guscio simbolico che offre in tempi di difficoltà. Il razionalista in politica pensa che non serva altro che la conoscenza tecnica necessaria per risolvere un problema, non vede tutto il contorno fatto di tradizioni, contesto sociale, cultura, paura. Il riformismo in Italia, forse perché reduce da una storia sovraccarica d’ideologia, è privo di un racconto compiuto sul progetto che ha in mente. Crede di sapere perché vuole vincere, ma non lo sa spiegare e questo vuol dire che forse in realtà non lo sa neppure lui.” Per quanto posa apparire sconsolante e poco dignitoso per la tradizione di una sinistra fatta di Nenni, Berlinguer, Lama, Pajetta, Togliatti, Jotti, Pertini, giusto per citare nomi che sono nella memoria di tanti, sino a quando questa non sarà in grado di generare personaggi alla Cuffaro o alla Lombardo, capaci di quella razionalità in politica che consente di discernere progettualità e tatticismi, le speranze di giocare un nuovo ruolo protagonista nella vita politica del Paese rimarranno solo malinconici desideri.

domenica, maggio 04, 2008

Campana a morto anche per la sinistra britannica



Domenica, 4 maggio 2008
Anche in Gran Bretagna la sinistra ha perso: parafrasando si potrebbe dire che, se Roma piange, Londra di certo non ride. Il partito laburista di Gordon Brown, succedutosi a Tony Blair, nella tornata per le comunali è crollato al 24%, perdendo ben 331 seggi e divenendo improvvisamente il terzo partito del regno, dietro i liberali. La sconfitta è andata a tutto vantaggio dei conservatori Tories, che con il 44% dei suffragi assurgono a primo partito ed ipotecano il ritorno alla guida del Paese alle prossime elezioni politiche.
Sebbene per il Labour sia la peggiore sconfitta da 40 anni, il crollo della sinistra britannica non va letto come la conferma di una tendenza restauratrice in atto in Europa, iniziata con la caduta di Schroeder in Germania prima, seguita dalla sconfitta di Segolen Royal in Francia e la recente disfatta della sinistra italiana. Le radici di quella che è appare più una clamorosa azione di protesta sono piuttosto da ricercare nell’incapacità dimostrata dalla sinistra di interpretare in maniera coerente con le attese le istanze degli elettori e di governare i complessi processi di trasformazione sociale senza condizionamenti e collusioni con i poteri delle lobby di pressione, capaci di tenere costantemente sotto scacco le classi politiche di governo al punto da condizionarne le scelte.
V’è inoltre in corso in Europa un processo di integrazione sociale dell’immigrazione dai Paesi del terzo mondo, che ormai da decenni sta determinando profondi squilibri economici all’interno degli stati membri dell’Unione e preoccupanti problemi di sicurezza dei cittadini, aggrediti da una recrudescenza di criminalità messa in atto da orde di diseredati, che non sono stati in grado di inserirsi nel mondo del lavoro e, per sopravvivere, si dedicano ad ogni sorta di attività malavitosa che rende insicura la convivenza. La problematica, affrontata in modo disomogeneo in ambito Comunitario, rappresenta un’emergenza differenziata, poiché Gran Bretagna, Francia e Germania, diversamente dall’Italia, hanno da sempre subito il fenomeno dell’immigrazione o dell’attrazione di manodopera straniera da ex colonie o protettorati e, dunque, sono state in grado di ammortizzare l’impatto del fenomeno, pur se impreparate ad accogliere i massicci flussi registratisi negli ultimi anni.
Nel nostro Paese, l’impatto è stato decisamente più grave e generatore di seri problemi, poiché l’impiego di questa manodopera, specialmente nelle attività più umili e deprofessionalizzate, in quelle più rischiose e faticose o in quelle nelle quali la rarefazione della domanda interna stava determinando una rivalutazione dei salari, ha prodotto profonde tensioni sociali ed un imbarbarimento delle condizioni di lavoro dei giovani in cerca di prima occupazione e delle donne, - tradizionalmente le categorie più deboli nel mercato del lavoro. Contemporaneamente, l’ingresso, forse prematuro, nell’area Euro e la forte accelerazione della globalizzazione dei consumi emulativi, in una situazione di incancrenita ed irrisolta questione meridionale, ha indotto ad un incremento della condizione di povertà di migliaia di cittadini, schiacciati dal peso di una tassazione crescente, da prezzi dei beni in costante lievitazione, da tariffe per servizi ed energia (carburanti, luce, gas) legate alle bizzarrie dei prezzi internazionali, in una situazione di sostanziale riduzione di reddito non solo reale, ma anche nominale come effetto della disoccupazione crescente. A completare il quadro, è infine intervenuto un massiccio degrado politico, istituzionale e morale, che ha giocato da moltiplicatore nella percezione dei cittadini e da forte freno a quell’ottimismo necessario allo slancio verso nuove iniziative imprenditoriali.
Le sinistre in Europa, messe alla prova delle rispettive capacità di governo, non sono state in grado di affrontare queste emergenze. E così se in Germania il peso dell’unificazione del suo territorio con l’ex DDR è di fondo ricaduto sulle spalle delle classi medie, i cui redditi hanno sopportato l’onere maggiore dell’integrazione, in Francia la rivolta delle banlieue è stata la scintilla che ha portato all’elezione di Sarkozy in un Paese con ancora viva la memoria di un ’68 e dei suoi disordini. In Gran Bretagna la sinistra deve probabilmente la sua sconfitta alla profonda delusione radicatasi nei cittadini durante il quindicennio di governo laburista, che ha continuato a mantenere il Regno in un isolazionismo snob, ma che, nei fatti, ha fortemente peggiorato le condizioni di vita generali, già deteriorate dall’era Tatcher in assoluta soluzione di continuità. In più, questo Paese deve alle ambizioni di Blair il catastrofico coinvolgimento nella guerra irakena al fianco degli USA, dalla quale non ha tratto alcun tangibile vantaggio se non un’esposizione alla vendetta del terrorismo internazionale, che ha avuto la capacita di colpire tragicamente sin nel cuore di Londra. Non va dimenticato, d’altra parte, che analoga punizione era costata alla Spagna di Aznar, durante il periodo in cui questo Paese aveva ingrossato le file delle truppe impegnate nel conflitto.
Per l’Italia si tratta di argomenti noti ed ormai ritriti nell’analisi della sconfitta di una sinistra composita ed intenta a consumarsi in risse vergognose sull’alta velocità ed improbabili provvedimenti per l’occupazione, rimaste senza esito, mentre i Padoa Schioppa e i Dini pensavano a spremere come limoni i cittadini attoniti, in nome delle perverse vanità di un Prodi che, ancora oggi, incapace di cogliere il senso della sua nefasta politica, si vanta di aver risanato i conti italiani per il plauso dei Quintino Sella di Bruxelles. Che nel frattempo il re restasse senza regno, che la disperazione ingrossasse il malaffare e la delinquenza, che bande di Albanesi o Sudamericani mettessero a rischio la vita nelle tranquille ville dei sobborghi e le grandi città, per il miope Professore di Bologna ed i suoi sciocchi sodali non aveva importanza, tutto intento a dimostrare le sue altissime capacità di ragioniere e a prostrarsi ai diktat del governo dell’Unione.E’ chiaro che la partita si è giocata sul tema della sicurezza, sulla capacità di garantire un’esistenza normale al riparo dalla piccola criminalità, dalle rapine, dagli stupri sempre più frequenti, ma soprattutto dal terrorismo internazionale, di cui l’immigrazione è spesso divenuta centrale di reclutamento o base logistica remota per perpetrare gravi attentati all’incolumità di intere collettività inermi. In tutto ciò il permissivismo delle sinistre, talora mascherato da umanitarismo esasperato, l’assenza di regole di controllo degli ingressi o la disapplicazione delle poche norme esistenti sui permessi di soggiorno o sui visti, su cui ha trovato facile terreno la propaganda delle opposizioni, hanno costituito il cocktail velenoso sul quale le destre hanno potuto costruire il loro successo. Naturalmente la destra uscita vincente dai confronti elettorali non trova una cittadinanza convinta che il passaggio delle consegne cambierà radicalmente le cose, ma una collettività stremata ed allo stesso tempo speranzosa che la dura lezione inflitta ai governi che l’hanno preceduta serva da monito per una rifondazione dei principi di convivenza e l’osservanza delle regole. Certo è che un ulteriore fallimento delle aspettative non è dato prevedere quali conseguenze potrà produrre, anche se la sfiducia diffusa e la caduta generale del senso dello stato e del vivere civile non lasciano presagire un processo di eventuale e semplice alternanza, come nel perpetuo movimento di un pendolo.

sabato, maggio 03, 2008

Telecom: come ti frego a 7 mega

Sabato, 3 maggio 2008
Che l’Italia sia un paese buffo e cosa ormai cosa nota in tutto il mondo. Questa qualità è tale e talmente esasperata da travalicare in qualche caso il senso del ridicolo, peraltro con la sospetta accondiscendenza delle nostre istituzioni e del gotha della politica che quelle istituzioni presidia e governa, quasi nel trionfo del malefico assunto che ridano pure basta che di noi parlino!
Sì, siamo il Paese che con solerzia invidiabile ha scimmiottato le authority, ponendoci così à la page con quelli più seri ed avanzati, ma dove, – prodigio dell’italica moltiplicazione dei pani e dei pesci, - queste strutture sono servite esclusivamente a creare nuove poltrone e succulente prebende per i loro occupanti, dato che, nei fatti, in quanto al presidio delle aree per le quali le autorità medesime sono state create i risultati sono stati meno che modesti. Questi sconfortanti risultati sono venuti dall’Autorità per la Privacy, che ancora oggi non è riuscita ad imporre il rispetto della tutela dei dati dei cittadini dagli abusi più disparati di aziende, associazioni ed organizzazioni varie. Persino un Ministro della Repubblica, quel Visco responsabile dell’Economia, in questi giorni è oggetto delle feroci contestazioni dei cittadini, per aver consentito la pubblicazione su internet dei redditi degli Italiani per il 2005, violando le più elementari regole della riservatezza e con la preposta Autorità rimasta a guardare.
Non si parli poi dell’Autorità Garante per le Telecomunicazioni, che da sempre si distingue per l’incomprensibile latitanza nell’evadere spinosi problemi di abuso di società esercenti attività radiofonica o radiotelevisiva ai danni di altre società (esemplare è il caso di Europa 7, che dopo un decennio buono di cause contro gli abusi Mediaset e forte di una sentenza definitiva della Corte Europea di Giustizia non è ancora riuscita a mandare in onda un solo minuto di trasmissioni) o di dare la minima risposta alle valanghe di proteste contro le arroganti iniziative di Telecom, H3G, Wind, Fastweb ed altri membri della consorteria telefonica. Un esempio? Dov’era il Garante quando la H3G nello scorso mese di settembre con un colpo di mano corsaro azzerava milioni di contratti con tariffe a suo tempo garantite con la formula “per sempre” ed introduceva nuove e più penalizzanti listini? Le denunce degli utenti sono rimaste non solo inevase, ma vi fosse stata una letterina con la quale si fosse comunicato il rammarico di considerare la denuncia inammissibile. Qualche tempo fa, occupandoci proprio di questa istituzione rivelatasi ad oggi inutile, avanzammo il sospetto che i suoi responsabili dedicassero il loro tempo più al riposo che al monitoraggio del mercato. Dato l’Autorità in argomento ha sede a Napoli, è probabile che le sue sospirate azioni siano rimaste soffocate dalla spazzatura a causa dell’irrisolta questione rifiuti.
In questa cornice di garanzie che il Garante sembra porre solo a beneficio di colui dal quale dovrebbe garantire, la Telecom si è inventa la formula dell’internet sempre più veloce e, da qualche mese, promette improbabili connessione a 7MB, - se non addirittura a 20MB per i servizi comprensivi di home TV, - per tutti i suoi clienti titolari di un contratto ADSL a 4MB, ad un prezzo d’abbonamento pressoché dimezzato. La formula, inventata probabilmente al solo scopo di evitare un’emorragia di abbonati verso compagnie in grado di offrire velocità di navigazione più elevate ad una tariffa inferiore a quella sino ad allora proposta da Telecom, si è rivelata in breve una bufala galattica, dato che il 7MB non solo è solo nominale, ma la velocità di connessione effettiva è ben al di sotto del precedente 4MB e quando tocca 1,5MB è già un miracolo.
Naturalmente la protesta dell’utenza non ha tardato a farsi sentire, ma, a parte le allucinanti cretinate proferite dagli sventurati di turno al 187, che si arrampicano sugli specchi per giustificare l’ingiustificabile disservizio, sul piano concreto non accade nulla, in quanto il servizio di connessione langue in squallida lentezza e l’Autorità tace. Per contro, la campagna promozionale si è fatta ancora più aggressiva ed accattivante, grazie alla simpatica facciona di Diego Abatantuono, ed ha mietuto messi di allocchi pronti ad abboccare alle false promesse di Telecom o che, già clienti per i servizi vocali della ex SIP, si sono lasciati convincere ad estendere l’abbonamento anche all’ADSL, adesso persino più veloce ed economica.
Ad onor del vero è opportuno rilevare che il contratto di fornitura Telecom parla di ADSL “sino a 7MB”, con ciò escludendo a priori ogni garanzia di velocità di connessione effettiva e continua. Tuttavia, tra un “sino a 7mega” potenziale ed una connessione che sistematicamente e nel migliore dei casi non supera i 2 mega vi è una tale discrepanza che il sospetto di pubblicità ingannevole puzza in modo insopportabile.
Ma qual è la causa di quest’inganno che va oltre la banale disfunzione e, implicitamente, della caduta verticale della credibilità della società telefonica di Piazza Affari? La risposta è semplice ed si origina nell’obsolescenza del materiale di centrale, nelle quali non si fanno più investimenti o, peggio, ormai da anni si disinveste con certosina sistematicità; nelle manutenzioni ridotte all’osso; nell’esternalizzazione dei servizi di assistenza sulla rete, affidati al ribasso ad una miriade di cosiddetti cantinari, che si avvalgono a tutto spiano di giovani precari sottopagati e non professionali; nel mettere a disposizione della concorrenza sull’esercizio impianti di pessima qualità, in grado di disincentivare l’eventuale liberalizzazione anche delle centrali, ormai ultima frontiera del monopolio Telecom.
E il Garante? I tutto questo rimane a guardare. Anzi, per scrollarsi di dosso il fastidioso rimbrotto dell’utenza inviperita, ha pensato bene di dotarsi di tanto di modulistica prestampata, da utilizzare per l’inoltro di qualunque reclamo, pena il rigetto dello stesso, ed ha delegato ai CORECOM, cellule regionali del suo ufficio, il disbrigo dei ricorsi su base locale. Naturalmente in tempi esasperatamente lunghi, che magari sono un ulteriore incentivo a lascia perdere, perché tanto non si cava il ragno dal buco.
Nel frattempo, tra parlamentari inquisiti o già condannati e collusi, tra magistrati talora troppo distratti e talora eccessivamente zelanti ma con un senso della giustizia assai discutibile; tra politici improbabilmente buonisti e politici spacconi o arroganti, tra autorità che poco hanno d’autorevole, tra qualche sit-in per bloccare la TAV e qualche cumulo di spazzatura che no si sa dove smaltire, siamo diventati lo zimbello del mondo, che ci deride per l’assuefazione ad ogni tipo di angheria ci propini chi è investito di un qualche potere e per l’incredibile coerenza che dimostriamo ad ogni tornate elettorale nel mandare a rappresentarci quegli uomini che magari, poco prima del voto, avevamo ritenuto autori dello sfascio dell’Italia.
E mentre facciamo queste riflessioni il Garante continua la sua latitanza e la Telecom continua ad curare i propri interessi calpestando quelli dell’utenza.