domenica, maggio 04, 2008

Campana a morto anche per la sinistra britannica



Domenica, 4 maggio 2008
Anche in Gran Bretagna la sinistra ha perso: parafrasando si potrebbe dire che, se Roma piange, Londra di certo non ride. Il partito laburista di Gordon Brown, succedutosi a Tony Blair, nella tornata per le comunali è crollato al 24%, perdendo ben 331 seggi e divenendo improvvisamente il terzo partito del regno, dietro i liberali. La sconfitta è andata a tutto vantaggio dei conservatori Tories, che con il 44% dei suffragi assurgono a primo partito ed ipotecano il ritorno alla guida del Paese alle prossime elezioni politiche.
Sebbene per il Labour sia la peggiore sconfitta da 40 anni, il crollo della sinistra britannica non va letto come la conferma di una tendenza restauratrice in atto in Europa, iniziata con la caduta di Schroeder in Germania prima, seguita dalla sconfitta di Segolen Royal in Francia e la recente disfatta della sinistra italiana. Le radici di quella che è appare più una clamorosa azione di protesta sono piuttosto da ricercare nell’incapacità dimostrata dalla sinistra di interpretare in maniera coerente con le attese le istanze degli elettori e di governare i complessi processi di trasformazione sociale senza condizionamenti e collusioni con i poteri delle lobby di pressione, capaci di tenere costantemente sotto scacco le classi politiche di governo al punto da condizionarne le scelte.
V’è inoltre in corso in Europa un processo di integrazione sociale dell’immigrazione dai Paesi del terzo mondo, che ormai da decenni sta determinando profondi squilibri economici all’interno degli stati membri dell’Unione e preoccupanti problemi di sicurezza dei cittadini, aggrediti da una recrudescenza di criminalità messa in atto da orde di diseredati, che non sono stati in grado di inserirsi nel mondo del lavoro e, per sopravvivere, si dedicano ad ogni sorta di attività malavitosa che rende insicura la convivenza. La problematica, affrontata in modo disomogeneo in ambito Comunitario, rappresenta un’emergenza differenziata, poiché Gran Bretagna, Francia e Germania, diversamente dall’Italia, hanno da sempre subito il fenomeno dell’immigrazione o dell’attrazione di manodopera straniera da ex colonie o protettorati e, dunque, sono state in grado di ammortizzare l’impatto del fenomeno, pur se impreparate ad accogliere i massicci flussi registratisi negli ultimi anni.
Nel nostro Paese, l’impatto è stato decisamente più grave e generatore di seri problemi, poiché l’impiego di questa manodopera, specialmente nelle attività più umili e deprofessionalizzate, in quelle più rischiose e faticose o in quelle nelle quali la rarefazione della domanda interna stava determinando una rivalutazione dei salari, ha prodotto profonde tensioni sociali ed un imbarbarimento delle condizioni di lavoro dei giovani in cerca di prima occupazione e delle donne, - tradizionalmente le categorie più deboli nel mercato del lavoro. Contemporaneamente, l’ingresso, forse prematuro, nell’area Euro e la forte accelerazione della globalizzazione dei consumi emulativi, in una situazione di incancrenita ed irrisolta questione meridionale, ha indotto ad un incremento della condizione di povertà di migliaia di cittadini, schiacciati dal peso di una tassazione crescente, da prezzi dei beni in costante lievitazione, da tariffe per servizi ed energia (carburanti, luce, gas) legate alle bizzarrie dei prezzi internazionali, in una situazione di sostanziale riduzione di reddito non solo reale, ma anche nominale come effetto della disoccupazione crescente. A completare il quadro, è infine intervenuto un massiccio degrado politico, istituzionale e morale, che ha giocato da moltiplicatore nella percezione dei cittadini e da forte freno a quell’ottimismo necessario allo slancio verso nuove iniziative imprenditoriali.
Le sinistre in Europa, messe alla prova delle rispettive capacità di governo, non sono state in grado di affrontare queste emergenze. E così se in Germania il peso dell’unificazione del suo territorio con l’ex DDR è di fondo ricaduto sulle spalle delle classi medie, i cui redditi hanno sopportato l’onere maggiore dell’integrazione, in Francia la rivolta delle banlieue è stata la scintilla che ha portato all’elezione di Sarkozy in un Paese con ancora viva la memoria di un ’68 e dei suoi disordini. In Gran Bretagna la sinistra deve probabilmente la sua sconfitta alla profonda delusione radicatasi nei cittadini durante il quindicennio di governo laburista, che ha continuato a mantenere il Regno in un isolazionismo snob, ma che, nei fatti, ha fortemente peggiorato le condizioni di vita generali, già deteriorate dall’era Tatcher in assoluta soluzione di continuità. In più, questo Paese deve alle ambizioni di Blair il catastrofico coinvolgimento nella guerra irakena al fianco degli USA, dalla quale non ha tratto alcun tangibile vantaggio se non un’esposizione alla vendetta del terrorismo internazionale, che ha avuto la capacita di colpire tragicamente sin nel cuore di Londra. Non va dimenticato, d’altra parte, che analoga punizione era costata alla Spagna di Aznar, durante il periodo in cui questo Paese aveva ingrossato le file delle truppe impegnate nel conflitto.
Per l’Italia si tratta di argomenti noti ed ormai ritriti nell’analisi della sconfitta di una sinistra composita ed intenta a consumarsi in risse vergognose sull’alta velocità ed improbabili provvedimenti per l’occupazione, rimaste senza esito, mentre i Padoa Schioppa e i Dini pensavano a spremere come limoni i cittadini attoniti, in nome delle perverse vanità di un Prodi che, ancora oggi, incapace di cogliere il senso della sua nefasta politica, si vanta di aver risanato i conti italiani per il plauso dei Quintino Sella di Bruxelles. Che nel frattempo il re restasse senza regno, che la disperazione ingrossasse il malaffare e la delinquenza, che bande di Albanesi o Sudamericani mettessero a rischio la vita nelle tranquille ville dei sobborghi e le grandi città, per il miope Professore di Bologna ed i suoi sciocchi sodali non aveva importanza, tutto intento a dimostrare le sue altissime capacità di ragioniere e a prostrarsi ai diktat del governo dell’Unione.E’ chiaro che la partita si è giocata sul tema della sicurezza, sulla capacità di garantire un’esistenza normale al riparo dalla piccola criminalità, dalle rapine, dagli stupri sempre più frequenti, ma soprattutto dal terrorismo internazionale, di cui l’immigrazione è spesso divenuta centrale di reclutamento o base logistica remota per perpetrare gravi attentati all’incolumità di intere collettività inermi. In tutto ciò il permissivismo delle sinistre, talora mascherato da umanitarismo esasperato, l’assenza di regole di controllo degli ingressi o la disapplicazione delle poche norme esistenti sui permessi di soggiorno o sui visti, su cui ha trovato facile terreno la propaganda delle opposizioni, hanno costituito il cocktail velenoso sul quale le destre hanno potuto costruire il loro successo. Naturalmente la destra uscita vincente dai confronti elettorali non trova una cittadinanza convinta che il passaggio delle consegne cambierà radicalmente le cose, ma una collettività stremata ed allo stesso tempo speranzosa che la dura lezione inflitta ai governi che l’hanno preceduta serva da monito per una rifondazione dei principi di convivenza e l’osservanza delle regole. Certo è che un ulteriore fallimento delle aspettative non è dato prevedere quali conseguenze potrà produrre, anche se la sfiducia diffusa e la caduta generale del senso dello stato e del vivere civile non lasciano presagire un processo di eventuale e semplice alternanza, come nel perpetuo movimento di un pendolo.

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