giovedì, maggio 08, 2008

Successo della destra e declino della sinistra

Giovedì, 8 maggio 2008
Mentre continua il dibattito sulle ragioni dei risultati delle recenti elezioni politiche, Giancarlo Bosetti su la Repubblica di ieri, con un’analisi dotta e puntuale, ci offre un’interessante chiave di lettura del fenomeno di migrazione del voto verso destra, che costituisce un eccellente base di ulteriore approfondimento dell’esito storico del sorprendente responso delle urne.
La tesi da cui muove Bosetti si basa sull’assunto che la propensione al progressismo sia più insita nell’indole delle classi più abbienti che nella struttura psicologica dei poveri e, a conforto di questo assunto, cita le grandi opere di Karl Marx sul socialismo scientifico o comunismo. Negli USA, - sostiene Bosetti, - dove la sinistra democratica ha già collezionato due sconfitte alle presidenziali dell’ultimo decennio, l’abilità dei conservatori si è manifestata proprio nella capacità di far apparire il liberismo progressista dei Democratici come l’approccio di un’élite intellettuale “mangiatrice di tartine al caviale, frequentatori di cocktail party nei quartieri esclusivi di Manhattan, amanti dei gay e lettori del New York Times.” In questo senso, dunque, la sinistra, incapace di tradurre in azioni concrete e tangibili la sua azione riformatrice e progressista di governo, sarebbe ed è stata facile preda della propaganda reazionaria, che ha fatto perno sul diffuso malcontento di chi ha subito lo sradicamento di posizioni di rendita in nome di un progressismo i cui frutti maturano nel tempo, ma che, nel breve, hanno evidenziano solo lo svellimento di nicchie di profitto e di potere.
A scopo esemplificativo, Bosetti paventa l’ipotesi che i tassisti potranno in fine convenire sul fatto che l’aumento delle licenze migliori il servizio di pubblico trasporto, pur se questo determina un deterioramento del valore della sua licenza acquistata a caro prezzo; così come è probabile che il vantaggio derivante dall’importazione di manodopera a basso costo come affetto del processo d’immigrazione possa rendere tollerabile un’erosione del valore degli immobili siti nelle aree urbane in cui tale immigrazione si concentra. Questi processi di razionalizzazione, tuttavia, non sono immediati. Anzi nel breve termine è probabile divengano elementi di fortissima tensione sociale tra categorie di cittadini, categorie che, di fondo, vivono il proprio rapporto con la comunità in un processo di costante competizione e di difesa di ciò che in questi frangenti diviene il loro privilegio di sopravvivenza. In altri termini, le liberalizzazioni alla base del progressismo sono fenomeni che tutti si augurano e vorrebbero realizzati a spese della rimozione del percepito privilegio altrui.
In pratica, ciò che sarebbe venuto meno alla sinistra sarebbe quel che il pensatore liberale inglese Michael Oakshott ha definito come razionalismo in politica, del quale Bosetti avverte “non si può immaginare, se non in una prospettiva da avanguardia giacobina e rivoluzionaria, che il razionalismo in politica vinca per virtù propria, a forza di calcoli economici, specialmente in tempi di paura. Piacere a Barroso e Almunia non vuol dire sfondare tra gli elettori,” anzi è probabile il contrario, che la difesa di principi, che ledono lo stato delle cose in vista di traguardi distanti dalla percezione dell’esistenza quotidiana o le cui problematiche origini sono nel sentimento comune da attribuire ad altri, produca la sedimentazione di sordido rancore nei confronti di chi le attua con cieco fideismo.
E che il vanesio professore di Bologna, Romano Prodi, ancora oggi a fronte di una disfatta politica senza precedenti, santifichi l’azione del suo governo per le cose fatte in questa direzione con argomentazioni tanto ragionieristiche quanto prive del senso più elementare della razionalità in politica, dimostra come la sconfitta della sua coalizione fosse già scritta nel grande libro del tempo come certa e inevitabile. Aver pensato che un faticoso programma di rientro dal deficit, con inflazione e salari in sofferenza, potesse produrre da solo consensi è stato un errore serio. Pensare che “le riforme liberali, necessarissime in Italia, dalle farmacie ai tassisti, dall’Alitalia ai contratti flessibili, per il fatto di essere utili al Paese fossero anche popolari” è stato un errore esiziale, - conclude Bosetti.
In questa prospettiva, se si vogliono identificare le ragioni dell’affermazioni della destra nelle recenti elezioni non è difficile trovare la risposta. E tali ragioni non risiedono solo nella capacità di Berlusconi di comunicare con immediatezza e senza fronzoli, facendosi interprete pubblicitario degli istinti meno nobili delle masse; né nella efficace rozzezza di Bossi e della Lega, capace di far perno sugli egoismi di chi certamente deve parte del proprio benessere al sangue dei terroni , una volta, ed oggi allo sfruttamento spregiudicato di masse di extracomunitari fuggiti dai loro paesi d’origine attratti dall’eldorado padano, ma comunque in grado di garantire una certa vivibilità nei comuni in cui governa; né, infine, nell’attrazione della destra sociale di AN, il cui valore ideologico si è ormai sgretolato. Ciò che più pesantemente ha fatto differenza ed ha posto una seria ipoteca sulle possibilità future della sinistra di tornare al potere risiede nel suo collasso ideologico, nel suo deserto simbolico, nell’aridità della sua retorica. Come evidenzia con eleganza Bosetti, “una prospettiva riformista vincente non può presentare il proprio progetto come un protocollo d’appalto: la competizione con la destra riguarda la chiarezza delle politiche proposte, ma anche la qualità, coerenza, bellezza del rifugio ideologico, del guscio simbolico che offre in tempi di difficoltà. Il razionalista in politica pensa che non serva altro che la conoscenza tecnica necessaria per risolvere un problema, non vede tutto il contorno fatto di tradizioni, contesto sociale, cultura, paura. Il riformismo in Italia, forse perché reduce da una storia sovraccarica d’ideologia, è privo di un racconto compiuto sul progetto che ha in mente. Crede di sapere perché vuole vincere, ma non lo sa spiegare e questo vuol dire che forse in realtà non lo sa neppure lui.” Per quanto posa apparire sconsolante e poco dignitoso per la tradizione di una sinistra fatta di Nenni, Berlinguer, Lama, Pajetta, Togliatti, Jotti, Pertini, giusto per citare nomi che sono nella memoria di tanti, sino a quando questa non sarà in grado di generare personaggi alla Cuffaro o alla Lombardo, capaci di quella razionalità in politica che consente di discernere progettualità e tatticismi, le speranze di giocare un nuovo ruolo protagonista nella vita politica del Paese rimarranno solo malinconici desideri.

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