mercoledì, giugno 26, 2013

L'impossibile difesa del puttaniere



Sette anni e interdizione perpetua per Berlusconi, condannato per il caso Ruby - Scendono in strada servi e cortigiani - Giustizia iniqua quando si colpiscono i potenti - Ora governabilità a rischio

Martedì, 25 giugno2013
Esaminiamo il caso di un uomo qualunque, quella di un anonimo signor Paolo Rossi. Sessantenne, disoccupato e senza pensione, mai avrebbe potuto immaginare che per un tocchetto di parmigiano, rubato per mettere qualcosa nello stomaco e non per pura golosità, il tribunale gli avrebbe appioppato ben quattro anni di gattabuia. Sì, perché al massimo della pena, la corte aveva ritenuto affibbiargli anche l'aggravante di scasso (l'effrazione del sacchetto sottovuoto contenente il prezioso cacio) e di porto abusivo d'arma da taglio (il temperino usato per incidere il sacchetto di plastica). E dire che nessuno l'aveva colto sul fatto. Aveva masticato con voracità quei trenta grammi e, mentre deglutiva, un sorvegliante del supermarket lo aveva bloccato e, dopo avergli annusato l'alito, l'aveva bloccato sino all'arrivo della forze dell'ordine.
Insomma un processo indiziario, basato solo sul fiuto di un maledetto sorvegliante e sulle impronte che aveva lasciato sul sacchetto "svaligiato", che se dimostravano che effettivamente lo aveva toccato quel sacchetto, non provavano affatto che avesse sottratto parte del contenuto e l'avesse mangiato.
E' noto, la giustizia è strana. Questo è un Paese in cui i volponi, quelli con i dané compiono qualsiasi misfatto e la fanno franca, mentre i poveracci per molto meno finiscono nei guai; sono spesso un esempio da ostentare di una giustizia che non guarda in faccia a nessuno, che è integerrima e, soprattutto, che si dichiara sempre uguale per tutti.
Certo, non mancano le eccezioni. Ogni tanto qualche ricco incappa nei rigori della legge e allora si scatenano principi del foro, luminari prezzolati e persino i club dei notabili, pronti ad assumerne la difesa o a dichiarare che deve trattarsi di abbagli degli inquirenti, di errori giudiziari, nei casi più gravi, di persecuzioni, sebbene la formula trita della "fiducia nella giustizia" finisca per chiudere la sequela d'improperi e di minacce rivolte agli inquirenti.
Se poi il destinatario dell'indagine o del processo è un membro di una certa casta politica, apriti cielo. Nella migliore delle ipotesi si dirà che è una vittima di una persecuzione delle toghe rosse, messe in azione da oscure forze politiche avversarie, che, non in grado di contrastare quel politico sul piano della dialettica democratica, - ammesso che ne abbia cognizione, - hanno dovuto fare ricorso alle quinte colonne comuniste infiltrate nella magistratura.
E mentre dei lamenti del signor Russo, su cui la magistratura ha calcato la mano con pesantezza, non frega niente e a nessuno, ecco che gli animi s'accendono ed infuriano le polemiche quando a sedere sul banco degli imputati si ritrova tal Silvio Berlusconi, autore di innumerevoli presunti reati e, guarda caso, leader del partito di centrodestra che ha governato il Paese negli ultimi venti anni.
Giusto per sgombrare il campo dalle indecenti idiozie proferite a sacchi dai suoi fan, - tanti piccoli, non di statura ma di spessore morale, - Silvio Berlusconi è al centro di indagini di parecchie procure italiane non perché vittima di una congiura cosmica, ma perché ha commesso tanti di quei reati da intasare gli uffici inquirenti della Penisola. Che poi parecchi dei processi a suo carico si siano estinti non per assoluzione, come millantano i suoi servi, quanto per l'intervenuta prescrizione e grazie alle tattiche processuali sopraffine messe in atto dai suoi profumatamente pagati avvocati, è cosa nota al mondo. Là dove gli espedienti dilatori non sono riusciti, sono arrivate le condanne e, piaccia o meno, anche pesanti e questo è un dato di fatto che nessuno può smentire, nonostante politicanti al soldo, imbrattacarte prezzolati, suffragette a libro paga e un'umanità miserabile di contorno, - che nulla sarebbe senza di lui e nulla tornerà ad essere con la sua definitiva scomparsa, - tenti quotidianamente di sovvertire la verità e appesti l'esistenza della gente comune con macroscopiche bugie e falsità.
L'ultima condanna che s'è guadagnato è nel processo Ruby, la marocchina  Karima El Mahroug, con la quale, secondo la sentenza del tribunale, Silvio Berlusconi avrebbe avuto rapporti sessuali lautamente ricompensati quando l'avvenente ragazza era ancora minorenne. Da qui la condanna per sfruttamento della prostituzione minorile e l'aggravante di concussione per costrizione conseguente la ormai tragicamente famosa telefonata alla Questura di Milano per farla rilasciare spacciandola per la nipote dell'ex premier egiziano Mubarak. Una tesi sostenuta persino in parlamento e votata da rappresentanti del popolo senza pudore, grazie alla quale siamo diventati lo zimbello del pianeta.
Ovviamente la sentenza di condanna non è andata giù ai piccoli fan di Silvio Berlusconi, che non hanno esitato a gridare alla sentenza politica e ad una condanna basata su elementi processuali indiziari e privi di prove concrete, ignorando che tutti i processi del mondo e in tutto il mondo sono costruiti su elementi di prova concreti ed elementi indiziari. E nel caso di Berlusconi, checché né dica persino la figlia Marina, gli elementi di prova sono incontrovertibili e sono le abbuffate di soldi, auto, case e gioielli ammanniti a iosa alle puttane che hanno rallegrato i festini di Arcore quale prezzo di prestazioni che andavano dalle sceneggiate in costume da infermiera o da suora o da cameriera, alle toccatine nelle parti intime, alle più che presumibili e allegre trombate alla conclusione delle sceneggiate. Lui, il padrone di casa, le ha qualificate burlesque quelle esibizioni, mentre i magistrati hanno concluso che si era trattato di più prosaiche puttanesque.
Alla luce di queste elementi, - che il signor Berlusconi se vorrà, senza tentare di sottrarsi al normale corso della giustizia come ha fatto fin'ora, potrà provare a smentire nel giudizio d'appello, e che hanno convinto la corte a condannarlo in primo grado, - le iniziative buffonesche del ridicolo e fazioso Giuliano Ferrara, che titola oggi sul suo giornale "Siamo tutti puttane. No all'ingiustizia puritana" appaiono del tutto fuori luogo, non fosse perché la verità non è certo frutto delle carnevalate di parte e non sarà il dichiarare le proprie inclinazioni con tanto di rossetto sulle labbra che potrà cambiare il corso che la giustizia ha fatto.
Se proprio il signor Ferrara e i tanti che lo scimmiottano in difesa dell'indifendibile volessero dare prova di impegno civico e d'attenzione ad una giustizia più equa, allora si dovrebbero mobilitare per il povero signor Rossi, che almeno ha commesso un peccato veniale per necessità e non certo per soddisfare istinti innominabili. Il signor Rossi non ha avuto né i soldi per pagarsi un valente avvocato come Ghedini, non ha potuto ricorrere a legittimi impedimenti,né ha goduto della complicità di tanti amici nelle stanze dei bottoni, che gli hanno confezionato prescrizioni bravi, lodi assolutori e altre incredibili diavolerie, ma è rimasto solo, con un avvocato d'ufficio, a subire una condanna che rispetto al reato in sé, quella sì, è palesemente ingiusta e sproporzionata.
(nella foto, Karima el Mahroug, meglio nota come Ruby Rubacuori)


venerdì, giugno 21, 2013

Quando l'informazione diviene propaganda



Un rapporto Asstel che parla di improbabile diffusione della banda larga nel paese - Numeri del lotto o numeri a casaccio? - Il digital divide è ancora il cancro della navigazione internet per molti italiani - Il Sud, come al solito, un isola dimenticata

Venerdì, 21 giugno 2013
Incredibile!, c'era e non ce n'eravamo accorti. Eppure abbiamo passato intere giornate a chiamare il 181 della Telecom per protestare per la lentezza della navigazione internet o per l'assenza assoluta di segnale ADSL. E invece internet ad alta velocità era là, a portata di tutti. Ci sarebbe da chiedersi perché la Telecom non abbia avvisato anche i suoi dipendenti, dai tecnici che provvedono all'allacciamento alle signorine, - non sempre pazienti e garbate, - che raccolgono i migliaia di "vaffa..." giornalieri dai tanti utenti furibondi che non riescono ad aprire una pagina sul web.
L'altra ipotesi è che la banda larga ci sia sempre stata, coperta da segreto, e adesso gli spioni di Asstel ci hanno passato l'informazione, e che informazione: "la banda larga raggiunge il 95,6% della popolazione, ma solo il 55% degli italiani la utilizza. Analfabetismo informatico e ritardi nell'agenda digitale gli ostacoli maggiori". Come dire, "pirla l'avevi sotto al naso e non te n'eri accorto! Fai parte di quel 40,6% d'Italiani mentecatti che potevano usufruire di un raffinato servizio di navigazione e non ne hanno approfittato".
E' la Repubblica che ha raccolto le confidenze di Asstel, l'associazione che riunisce le imprese della filiera delle Tlc e che ha pubblicato un rapporto sullo stato della diffusione della cosiddetta banda larga nel nostro paese ed è giunta alla conclusione che "L'infrastruttura Adsl raggiunge il 95,6% della popolazione, in linea con gli obiettivi fissati dal governo nell'Agenda digitale. Solo che poco più della metà della popolazione utilizza questa tecnologia: il 55%. Un dato che condanna l'Italia all'ultima posizione tra i Paesi dell'unione europea per tasso di diffusione di connessione veloce".
Francamente i dati di Asstel più che lasciar perplessi lasciano di stucco, oltre a generare il sospetto che la mano di qualche buontempone abbia spostato qualche cifra e qualche virgola nell'elaborare i dati, visto che in parecchie aree del paese l'ADSL è completamente sconosciuta o al massimo rappresenta l'acronimo di "attendere disperatamente servizi di linea".
Un altra ipotesi è che l'Asstel abbia condotto la sua rilevazione tra Piemonte, Lombardia e Veneto - l'altra Italia della Lega - dove è probabile che i servizi che sbandiera saranno effettivamente efficienti. Sì, perché in Calabria, Sicilia e Sardegna gli acuti statistici di Asstel non ci saranno mai venuti e non sanno che ad Oppido Mamertino o Avola o Buddusò la banda larga c'è solo durante la festa del patrono e si riesce a mettere insieme due clarinetti, un trombone, una grancassa e due piatti.
E' vero, rotto il monopolio della Telecom, sono sorte come i funghi aziende più o meno serie che ti vendono i fatidici "fino a 7MB" come si trattasse di merce da spaccio: l'esperienza dimostra che dopo aver comprato questi miracolosi servizi di connessione, molto spesso a prezzi d'abbonamento da strozzini, se vai a 2 o 3MB è una fortuna e comunque ti sembra paradiso se confronti il dato con lo squallore terzomondista offerto dalla grande Telecom, dove scambiano con protervia esemplare poche centinaia di KB con i MB promessi alla stesura del contratto.
Chi scrive ha più volte denunciato questa miserabile farsa, con tanto di ricorsi a Garanti, giudici di pace, camere di commercio e tutta l'ignava selva di burocrati che affollano i meccanismi procedurali per ottenere servizi di connessione degni di quel nome. I risultati sono stati del tutto vani, dato che sistematicamente salta fuori il nome della Telecom, proprietaria delle centrali e della rete colabrodo che trasmette il segnale e lo porta sino a casa, la quale, caduto il monopolio, non può più perseguirsi per interruzione di pubblico servizio e i suoi concorrenti tutto vogliono fare che accollarsi l'ammodernamento di tratti di rete vetuste per poi magari perdere il cliente per il quale hanno sostenuto quei costi, che bellamente migra verso altro fornitore.
E' il cane che si morde la coda. Un cane a cui il vizio di trattare il cliente, l'utente del servizio, come un pitocco qualsiasi non c'è verso di correggere. Senza parlare delle amministrazioni locali, che per legge dovrebbero presidiare che i concessionari di servizi pubblici mantengano gli impianti in efficienza. Sindaci e amministrazioni comunali sono completamente insensibili al problema, eccetto in periodo pre-elettorale, quando promettono di metterti un ripetitore sotto casa o di farti allestire una centrale nuova di zecca nel quartiere, dimenticandosene immancabilmente alla fine della kermesse elettorale.
Ciò che stupisce in questa relazione di Asstel, che, comunque la si guardi, puzza di bufala già dalla lettura delle prime righe, è che quotidiani seri ed attenti alla verifica di ciò che scrivono, come la Repubblica, si prestino a fare da megafono a corbellerie così marchiane ed evidenti.
Certo è che il progresso effettivo del paese passa effettivamente attraverso la dotazione alla gente si servizi di connessione veloci e l'azzeramento del digital divide che è ancora massicciamente presente specialmente nel Mezzogiorno d'Italia: non sono certo né i proclami né quattro dati buttati a casaccio per autoincensarsi che modificano una realtà di ben altra colorazione rispetto a quella raccontata nelle favole di Asstel.
 

mercoledì, giugno 19, 2013

M5S, cronaca sfascista



"Credere, obbedire e combattere" sembra il motto dei grillini - Il movimento con il padre-padrone - La democrazia del silenzio e del servilismo - Un movimento in fase di autodistruzione

Mercoledì, 19 giugno 2013
Non c'è organizzazione che non abbia un minimo di regole. Anzi è lo stesso concetto di organizzazione che ne reca in sé il presupposto, in assenza del quale il termine organizzazione diverrebbe un ossimoro privo di senso. La presenza delle regole è, dunque, un presupposto imprescindibile per qualunque aggregazione umana, sia essa un'associazione, un circolo sportivo, un partito, un movimento. Naturalmente il discorso sulle regole prescindi da qualunque giudizio di valore, pertanto le regole di un gruppo criminale saranno certamente diverse da quelle di una qualsiasi bocciofila, ma affinché si generi interazione tra gli affiliati le regole, scritte o verbali, è necessario che esistano.
In queste settimane il tema delle regole nell'organizzazione è divenuto d'estrema attualità, con particolare riferimento al movimento di Beppe Grillo, l'M5S, nel quale il loro richiamo ed il loro rispetto sono costantemente oggetto di accesi confronti con risvolti talora pregiudizievoli persino per la continuità del movimento medesimo.
Ultimo in ordine di tempo, l'episodio riguardante Adele Gambaro, senatrice in quota al Movimento, che ha subito un vero e proprio processo interno, conclusosi con la sua espulsione dal gruppo dei pentastellati, rea di aver rilasciato dichiarazioni alla stampa e d'essersi irriverentemente scontrata con il padre-padrone  Grillo, dopo che quest'ultimo l'aveva pesantemente attaccata per quell'iniziativa.
Analogo trattamento pare sarà riservato alla deputata Paolo Pinna, che, a sua volta intervenuta in difesa della collega Gambaro, ha parlato di "psico-polizia" e  di atteggiamento "talebano" nel Movimento.
Qui non interessa di certo schierarsi a favore o contro una delle parti coinvolte nello scontro in atto, ma corre l'obbligo di richiamare l'attenzione su metodi e regole che senza ombra di dubbio appaiono più figli di un intollerabile e gretto sistema autoritario che non ispirati da quei principi di democrazia interna cui dovrebbe attenersi qualunque sodalizio, ancorché politico. In altri termini, Grillo ha creato dal nulla un movimento che, alla prova dei fatti, s'è rivelato in grado di attrarre una notevole fetta dell'elettorato del paese; un movimento che, dati mano, più che far parlare di sé per squallide beghe di diarie e altre idiozie di poco conto non è stato in grado, avendo sbarrato la porta a chiunque nello scenario politico gli abbia chiesto supporto o gli abbia teso una mano nell'intento di costruire una nuova e alternativa compagine di governo; un movimento che, in base alle dinamiche interne, ha dato l'intellegibile segno di intendere la dialettica ed il confronto sia tra i suoi adepti che con il mondo esterno improntato alla becera disciplina da caserma, in cui ferree e demenziali ordini superiori costituiscono il decalogo di riferimento.
Chi ha guardato con simpatia ed interesse al Cinque Stelle, sperando anche che potesse rappresentare una ventata fresca di metodo politico, non può oggi non manifestare la propria profonda delusione per la pochezza propositiva e, -  oseremmo dire, - persino morale con la quale ha affrontato l'esperienza parlamentare. L'immagine che ispira Grillo é quella di un capo beduino alla testa di una carovana di cialtroni che s'aggirano per un deserto sterminato senza meta, alla ricerca di un'araba fenice di cui hanno piena coscienza dell'inesistenza. E in questo vagare, rissoso, maleducato, schiacciati nelle pulsioni più elementari dal tallone arrogante di un capo saccente e sbruffone, ostentano senza rossore tanto un servilismo disgustoso e prono verso il condottiero quanto un feroce astio talebano nei confronti di chi, presa tardivamente coscienza, osa per un attimo sollevare la testa e porsi quesiti o, peggio, mettere in discussione la lungimiranza del leader.
C'è chi ha sostenuto senza mezzi termini che il movimento di Grillo è un'organizzazione fascista, quantomeno nostalgica dei metodi squadristi del ventennio. La triste verità e che più probabilmente non si tratta che di un movimento sfascista e nulla più e che sia l'assonanza tra i due termini ad aver generato l'equivoco. D'altra parte quando la politica, quella seria e costruttiva, viene riposta nelle mani di un branco di sprovveduti scelti a caso, sebbene dotati di un livello culturale adeguato, ma poco avvezzi alle logiche della mediazione e del compromesso, i risultati non possono che essere modesti. Ed illudersi che fosse sufficiente un'armata di sanculotti per risolvere le cancrene del paese è stato un errore gravissimo, - pur nel rispetto di quanti a quell'armata hanno ritenuto dar fiducia con l'espressione del loro voto.
Fino a questo momento Beppe Grillo ha dimostrato d'avere solo una grandissima qualità: quella di vanificare il consenso che gli era stato accordato e di autodistruggersi lentamente sino ad esaurire le scarse simpatie rimastegli. Basta vedere i crolli verticali registrati nelle recenti amministrative dove le percentuali conseguite lo hanno visto ridimensionarsi a livelli talmente risibili da costituire per un leader con un minimo di cervello un pericolosissimo campanello d'allarme.
Questa situazione, comunque, non sembra far demordere l'ex(?) comico dal perseverare in comportamenti autoritari e dal mantenimento di un linguaggio largamente al di sopra delle righe, il che nell'evidenza della precipitosa débacle di consenso lo fa apparire sempre più un ducetto,  piccolo piccolo con le idee appannate e la vista assai corta, peraltro, pure distorta dalla convinzione ottusa che il web, nella sua dimensione virtuale, possa costituire una rappresentazione sintetica del mondo reale e che la partecipazione democratica, quella necessaria per la progettualità, la condivisione, la proposizione di scelte che investono la sfera della generalità dei cittadini, debba essere un privilegio fideistico riservato agli adepti certificati.
Comunque si concludano le vicende in corso della senatrice Gambaro e della deputata Pinna, rimane la sensazione che l'M5S abbia bruciato le sue potenzialità nello spazio di un mattino, confermando che il cambiamento, quello serio e di lungo termine, non è mai il risultato delle urla da stadio né del delirio d'onnipotenza di un protervo sconsiderato incline a roteare il bastone per ottenere cieca obbedienza.
La democrazia è ben altra cosa e il buon Grillo, sempre pronto ad ammannire consigli all'acido solforico a critici ed avversari, forse farebbe bene a mettersi per primo a studiare con la necessaria umiltà quali sono i metodi veri per l'aggregazione del consenso e cosa significhi democrazia.
(nella foto, la senatrice Adele Gambaro, appena espulsa dal M5S per aver criticato Beppe Grillo)