martedì, gennaio 23, 2007

Call Center – La peste del nuovo millennio


Martedì, 23 gennaio 2007

L’epoca in cui viviamo è irrimediabilmente contrassegnata da un movimento frenetico del mondo circostante, nel quale l’individuo è preso e coinvolto in maniera vertiginosa ed incessante, come se anziché vivere ed operare in mondo reale fosse all’interno di uno sgangherato frullatore eternamente in fase di centrifuga.
Che questa avvolgente frenesia sia causa od effetto di un sistema di vita cui la cosiddetta modernità ha impresso un’accelerazione sconosciuta nel passato rimane da dimostrare, anche se probabilmente i risultati dell’indagine rimarrebbero privi di significato dato che non sposterebbero una virgola al carosello dell’esistenza quotidiana.
Certo è che in virtù di questi ritmi da salsa sudamericana anche la modalità di accesso a ciò che ci circonda è mutata e si è adeguata, conferendo al nostro rapporto con il mondo un cliché per il quale non c’è più tempo per pensare, vagliare, verificare, dovendosi ritenere esaurito il rapporto con le cose nella fase, unica e spesso non reiterabile, dell’acquisizione dell’informazione.
Naturalmente, che tutto ciò abbia finito per interferire e deprimere anche quella briciola di qualità residuale comunque necessaria a qualsivoglia processo d’interazione umana appare altrettanto irrilevante, dato che in definitiva la nostra è divenuta l’epoca del trionfo dell’apparire sull’essere e, dunque l’ostentazione di un involucro di buona manifattura estetica ha supremazia schiacciante sul contenuto del pacco.
A questa regola, in un continuum vittima/carnefice si sono adeguate universalmente le organizzazioni, che ormai sfornano prodotti e servizi perfettamente in linea con il nuovo credo.
Così il telefono non è più solo un oggetto con cui comunicare, ma è di volta in volta un simbolo di status, un mini juke-box, un subdolo controllore anche dei momenti più riservati della tua vita quotidiana, un navigatore, una segreteria e così avanti, a prescindere dalla sua effettiva capacità di funzionamento e dalla sua durata. E’ un prodotto usa e getta, dato che se ti si guasta in garanzia spesso non lo rivedi per qualche mese e, se si guasta a garanzia scaduta, è più economico comprarne un altro per l’indecente costo delle riparazioni e dei ricambi. Non importa se sono costruiti a Taiwan o in Corea o in Cina, dove, notoriamente, i costi di produzione sono irrisori.
E che dire dei servizi? Ormai non c’è azienda, pubblica o privata, che non si avvalga del supporto di un magico call center, spesso raggiungibile solo a pagamento e dopo snervanti attese di connessione, che in barba all’efficienza ed alla qualità di cui si parlava prima è stato allestito presso centri remoti del paese, dove sono state assoldate schiere di disoccupati senza pretese, e spesso senza speranze, a salari al di sotto della sussistenza esclusivamente per dare l’impressione che l’erogatore del servizio o il tal produttore siano effettivamente al tuo fianco per ogni esigenza ti si dovesse presentare. Poco importa che questo finto supporto costi cifre esorbitanti tra scatti alla risposta e tariffazione dei minuti di connessione, rispetto all’effettiva utilità dell’aiuto realmente avuto. L’importante è apparire, con buona pace dei beccaccioni che ci incappano.
Sì, perché il dramma vero è quello della qualità di questo supporto che solo pochi eletti, che non hanno avuto occasione di aver bisogno di questo o quel numero verde (probabilmente dal colore della bile che ti assale quando vi hai a che fare), ignorano la paranoica frustrazione che ti assale quando, ahimè, ti imbatti in uno di questi veri sfracelli della natura.
Non crediamo esista in natura una concentrazione di maleducazione, impreparazione, approssimazione, talvolta malanimo ed accidia, di quanta se ne possa riscontrate in un qualsiasi famigerato call center, al quale vocine squittenti o svogliate ti ammanniscono incredibili risposte stereotipate, spesso prive di nesso logico con il quesito rappresentato, ignare della differenza tra un prosciutto e un orologio. Senza trascurare l’enorme potere irritante che scatena l’idiota candore con il quale, al reiterare della domanda, la risposta è assolutamente analoga alla precedente come si avesse ad interloquire con un registratore.
Che questo squallore abbia infettato i gangli delle aziende, che in fondo giocano la loro faccia e la loro credibilità grazie a questi insulsi strumenti di comunicazione con i loro consumatori è, tutto sommato, un problema che rimane confinato nelle prerogative dell’imprenditore, che rimane assolutamente libero di alienarsi la fedeltà della clientela. Diversamente questa prassi incivile non è tollerabile quando vi ricorra chi gestisce pubblici servizi, visto che per la loro natura e molto spesso per l’assenza di una concorrenzialità sono in tutto o in parte finanziati con il danaro dei cittadini o non sono fruibili presso terzi.
In questi casi ci troviamo di fronte a veri e propri delitti contro i legittimi interessi della collettività, che non può rendere ammissibile l’erogazione di un servizio al di sotto di uno standard minimo della decenza, tanto da augurarsi che presto o tardi insorga un qualche magistrato attento e sensibile, disposto a far sentire la sua voce.
Sarebbe altrettanto auspicabile che i nostri governanti, dichiaratamente sempre attenti ai problemi del paese reale, mettessero in cantiere un provvedimento che non solo scoraggi per le imprese pubbliche e per i gestori privati di pubblici servizi il ricorso ai call center, ma che obblighi costoro alla pubblicazione di una carta dei servizi, con tanto di prescrizioni sui doveri da adempiere, e sanzioni ogni inefficienza ed abuso. Certo, nel far questo dovrebbe probabilmente evitare di ripetere la discutibile procedura sanzionatoria prevista a carico dei gestori telefonici che non ottempera agli impegni assunti in sede di concessione del servizio; ché se la procedura di denuncia è inficiata per non aver compilato il modulo prescritto, con i dati prescritti, per la presentazione all’ente locale prescritto (ove previsto), allora è meglio che lasci perdere perché servirebbe a molto poco o solo a fingere che si sia voluto intervenire.
Gli Stati Uniti sono un paese in cui si sommano luci ed ombre, ma su alcuni aspetti del rapporto con il cittadino non hanno mai ammesso mezze misure. Bene, qualche tempo fa un amico in vacanza in quel paese ebbe l’avventura di perdere pochi spiccioli inseriti in un telefono pubblico che andò in avaria nel corso di una chiamata. Al cadere della comunicazione una gentile signorina si inserì in linea e, dopo essersi scusata per l’inconveniente, chiese nome, cognome ed indirizzo al mio sfortunato amico: due mesi dopo, rientrato nel frattempo in Italia, il mio amico riceveva un assegno di 1 dollaro e ottanta quale rimborso della cifra inserita nel telefono e non consumata.
Probabilmente non sapremo mai cosa di ciò pensano i gestori di casa nostra, che si arricchiscono con le tangenti sulle ricariche dei telefonini, nel più completo silenzio dell’Autorità delle Telecomunicazioni che ha avuto il pudore di sospettarne l’illegittimità ma non ha ancora mosso un dito.

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