Crisi di governo: la disfatta rimandata
Lunedì, 12 marzo 2007
Com’era d’altra parte prevedibile la crisi è arrivata. Questo governo era già noto avesse i numeri risicati in Senato e, immancabilmente, alla prima prova di forza, la maggioranza è venuta meno.
Non consola che Napolitano, pur nel rispetto delle regole del gioco, abbia rinviato Prodi e compagni alle Camere per la verifica della fiducia e che il Professore abbia superato lo scoglio.
Non consola perché questa maggioranza ha nell’occasione messo in chiara luce la sua strutturale debolezza e le contraddizioni endemiche che ne minano la credibilità alla radice, al di là di ogni dichiarazione di buona volontà sciorinata dai leader della coalizione prima del voto di fiducia e dopo l’ottenimento della stessa.
La verità è che questa maggioranza, al momento, si regge solo sul terrore di dover ritornare alle urne, conscia che il Paese, quantunque sfinito dal quinquennio Berlusconiano, non esiterebbe a riconsegnare nelle mani del Cavaliere di Arcore il timone della nazione, deluso non solo dai risultati sin qui conseguiti dal governo in carica, ma irritato e disgustato dalle risse quotidiane tra i suoi sodali e dal fatto che, di fondo, oltre che ad aumentare il livello di impoverimento generale in nome di un risanamento dei conti pubblici – i cui effetti sono lungi dal percepirsi per le famiglie e la gente comune – di ciò che prevedeva il programma pre-elettorale ben poco è stato fatto.
Intendiamoci, nessuno intende qui mettere in dubbio l’importanza e l’urgenza del risanamento dei conti, condizione essenziale per far ripartire l’economia, ma a parte la gradualità con la quale sarebbe stato possibile mettere in pista provvedimenti di questa natura, senza dover mettere in ginocchio le migliaia di famiglie che stentano sempre più ad arrivare a fine mese, qualche scampolo di provvedimento teso a modificare le disastrose storture presenti nel nostro sistema socio-economico avrebbero potuto vedere la luce e compensare il peso delle prime.
Forse il signor Prodi non ha mai letto la storiella dell’asino il cui padrone, per aumentare l’efficienza della sua attività agricola, decise di ridurre gradatamente la quantità di fieno somministratagli ad ogni pasto. L’intento era quello di abituare il ciuco a non mangiare, pur utilizzandolo per il lavoro nel modo abituale. La pratica continuò per qualche tempo, incoraggiata dai significativi progressi dimostrati dal somaro: ogni giorno mangiava meno, ma la sua resa sul lavoro non mutava. Un bel mattino il padrone si recò come al solito nella stalla per prelevare l’asino ed incominciare una nuova giornata di lavoro: l’asino era disteso al suolo, morto. Lui lo guardò e dopo qualche attimo osservò con tristezza: “peccato, proprio adesso che s’era abituato a non mangiare più!”.
In questo senso, non vorremmo che i nostri governanti stessero commettendo lo stesso errore, dato che è fuor di dubbio che gli italiani tutti dalla razza politica attualmente in carica, di destra e di sinistra, di centro e laterale, sono considerati meno che raglianti quadrupedi dalle orecchi a punta.
Se questo desolante quadro è frutto solo del malanimo di chi scrive e non dello stato dei fatti, allora sarebbe opportuno che i nostri fini uomini di stato ci spiegassero in base a quale ragione prioritaria è stato varato un provvedimento per la regolarizzazione delle coppie di fatto – che ad una lettura trasuda solo squallida demagogia – piuttosto che una legge di modifica delle regole del mercato del lavoro – solo per fare un esempio.
Ci si spieghi quali risultati si intendono concretamente conseguire con l’aumento del bollo auto: una riduzione delle autovetture circolanti? Una corsa sfrenata alla sostituzione dell’auto posseduta con un nuovo modello meno inquinante? E con quale soldi? Ma sa il presidente Prodi che il 18% dell’inquinamento atmosferico e dovuto all’obsolescenza dei mezzi aerei in circolazione? Cosa ha fatto o intende fare per colpire le compagnie aeree che usano mezzi di questo tipo?
Ovviamente sono tutti esempi e domande ai quali non c’è e non ci sarà mai una risposta, visto che il vezzo di colpire il ventre molle del tessuto sociale, quantunque siano cambiati i tempi e le coccarde di chi manovra le leve del potere, si è perpetuato nel tempo come un morbo infettivo a cui non c’è vaccino che tenga.
Certo, che i giovani non trovino lavoro, se non passando prima le forche caudine dello sfruttamento bieco e violento imposto con la legge Biagi è cosa spiacevole. In contropartita, però, adesso sono certi di potersi tagliare i capelli anche al lunedì, dato che il ministro Bersani ha graziato il Paese di questo improrogabile provvedimento di grande civiltà e progresso.
Ed altrettanto apprezzamento meritano le considerazioni del ministro Rutelli, che giustamente auspica un sostanzioso innalzamento dell’età per andare in pensione, visto che ormai, ahimé, non si muore più qualche giorno dopo aver conseguito la quiescenza. Certo è comprensibile che il ministro, consapevole di godersi a questo titolo un appannaggio da gran signore dopo appena una legislatura, peraltro profumatamente pagata, non possa avere la minima considerazione per i bisogni dei pezzenti che agognano la sacrosanta pensione dopo 35 o 40 anni di duro lavoro. Il dolore è di chi ha la ferita, non del medico che deve curare.
Paradossalmente, questa perdita di pudore o proterva arroganza, secondo l’angolazione da cui si guarda e che comunque non diminuisce la valenza del paradosso, non risparmia anche chi, per collocazione ideologica, non può destare dubbi circa il proprio orientamento.
E’ il caso del ministro Diliberto, che continua a massacrare gli zibidei degli italiani, oltre che dei suoi diretti elettori, con dichiarazioni di fuoco sulla sconcezza dei privilegi dei politici, ben guardandosi tuttavia dal farsi promotore di un disegno di legge che tali privilegi abolisca e che stani, una volta per tutte, i sepolcri imbiancati che predicano bene e razzolano peggio dei polli in batteria.
E allora, tutti a casa, cari signori, con un augurabile singulto di pudore, cui non siete più avvezzi, abbiate il coraggio di presentarvi al corpo elettorale, che certamente non vi farà mancare il suo messaggio chiaro, forte ed inequivoco. Certo è che questa volta resterete all’opposizione per un periodo molto più lungo di quanto non immaginiate, ché si perdonano gli errori, ma non il disprezzo e il tradimento.
L’ultima cosa che vi si chiede prima di ritirarvi in buon ordine – e che d’altra parte conviene anche a voi per limitare i danni – è la modifica della legge elettorale. Almeno potremo ancora una volta tornare ad illuderci che siamo noi, con il nostro voto, a sceglierci il carnefice. E comunque non trascurate gli insegnamenti della storia: ogni epoca ha una sua Bastiglia e non mai saggio sfidare la sopportazione popolare.
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