mercoledì, maggio 02, 2007

Libertà di parola e terrorismo


Mercoledì, 2 maggio 2007
E' probabile che Andrea Rivera al concerto di ieri non abbia brillato in opportunismo nel dire ciò che ha detto, ma da qui a definirlo un terrorista, come ha fatto prontamente e protervamente l 'Osservatore Romano, sicuramente ne corre.
Il neo-eversivo, reo di aver utilizzato il palco del concerto romano del 1° maggio per esprimere un suo personale punto di vista sul modernismo della Chiesa, accusata di ipocrisia per aver consentito i funerali a famigerati delinquenti come l'ex dittatore cileno Pinochet ed ad un membro della banda della Magliana, oltre che all'altrettanto noto e non stinco di santo Francisco Franco ex dittatore spagnolo, ed averli invece negati a Welby, morto volontariamente per dar fine alle mille sofferenze provocategli da un terribile male, ha dovuto subire l'attacco scomposto e virulento del clan Vaticano, inviperito dalla denuncia subita innanzi al milione di persone che seguivano l'evento.
E sin qui, nulla di eclatante: uno accusa, peraltro motivatamente, esprimendo il proprio punto di vista, sicuramente criticabile, ma in piena libertà di coscienza e democraticamente, e l'accusato si difende, ricorrendo maldestramente all'invettiva, - per quanto la stessa non faccia certo onore al pulpito da cui proviene.
E se tutto fosse finito lì la questione non avrebbe meritato certo l'attenzione della cronaca.
Ma così non è. Perché, - udite, udite, - in difesa del clan, che ultimamente non sembra più potersi permettere di dare lezioni di bon ton e di tolleranza a chicchessia, scendono in campo non solo i politici di turno ma anche neofiti paladini della fede, questa volta con la casacca del sindacalista.
L'improvvida quanto improvvisata concione di Rivera ha visto, infatti, prima la presa di distanza dei sindacati, organizzatori della manifestazione, poi la condanna della stampa, che nel migliore dei casi ha affibbiato al reprobo l'etichetta di "poco furbo" (vedi articolo di Franco Bomprezzi su Affari Italiani) ed infine la solita sfilata dei reggi moccolo del circo politico, alla ricerca di qualche augurale benedizione pontificia.
Che politici, politicanti e politicucci, per ragioni che spaziano dall'opportunismo alla conclamata ipocrisia, ci abbiano abituato ad esternare secondo l’interesse del momento, era cosa nota, ma che al coro degli opportunisti di maniera si unissero anche i sedicenti paladini degli interessi dei lavoratori ci appare oltre ogni misura. E che anche dalla stampa, che a freddo ha avuto modo di valutare l'episodio arrivino sostanziali dichiarazioni di condanna è, a dir poco, sconvolgente.
Qui non si intende entrare nel merito delle affermazioni di Andrea Rivera, che fanno perno su una sua personale interpretazione ideologica di fatti incontestabilmente veri, ma la canea sollevatasi impone una riflessione profonda sul senso della democrazia e sul diritto all’esercizio di uno dei suoi beni più preziosi come la libertà di parola.
Né si può essere tacciati, con bonomia quasi deridente, di scarsa furbizia per aver espresso il proprio punto di vista da chi della liberta di parola e dalla difesa di questo sacro valore ha fatto la propria professione, specialmente se il punto di vista incriminato fa riferimento a fatti veri. Salvo che l'autore dell'articolo non abbia voluto comunicarci che a dir la verità si è fessi e che è consigliabile tacere per passar da furbi.
Si può convenire sulle considerazioni che temi quali quelli affrontati da Rivera meriterebbero un'attenzione ed un approfondimento ben maggiore di quanto non ne consenta una battuta ad una folla pronta ad osannare anche le imbecillità, ché il rischio della demagogia populista è sempre dietro l'angolo. Ma dall'altro lato, non è lecito sparare sul pianista sol perché non si gradisce il pezzo che suona, al di là di come suona e dell'impegno che profonde.
Sarebbe stato logico, pertanto, che al buon Rivera si fosse garbatamente rammentato che in una società matura i temi in questioni non possono essere oggetto di arringhe sessantottine; ma criminalizzare il giovanotto, come ha fatto il Vaticano, o abiurarne le affermazioni, come hanno fatto i sindacati, o suggerirne l'internazione come ha fatto la politica, o sbeffeggiarlo come ha fatto qualche organo di stampa, finisce solo per accomunare in un kitsch meschino accusato e accusatori, superficiale il primo, vili e blasfemi gli altri.
Ci augureremmo che la Chiesa, forse in profonda crisi di identità e credibilità dopo la scomparsa del pilastro Woitila ed alla ricerca di un prestigio morale un pò troppo appannato dal vento oscurantista della restaurazione inaugurato dall'era Ratzinger, ritrovi il senso della misura e si apra al dibattito con il dissenso e l'evoluzione dei valori e, dunque, faccia ammenda delle ignobili e faziose accuse rivolte a Rivera: non si affermano le proprie ragioni criminalizzando gli avversari, salvo che oltre le mura di S. Pietro non si stia pensando di rispolverare l'inquisizione, che di santo aveva poco, o non sia mai smesso di vendere indulgenze.
Allo stesso modo auspichiamo un maggiore senso della misura in coloro che sono deputati per diretto coinvolgimento e per missione alla difesa di uno dei diritti fondamentali dell'umanità, nutrendo il dovuto rispetto per quanti profittano, anche inopportunamente, di ogni occasione per esprimere il proprio punto di vista, assumendosi certamente la responsabilità di ciò che dicono.
Siamo figli di un'epoca in cui correvano slogan come "più case, meno chiese", sicuramente espressione di faziosità e pochezza di vedute, ma non è con becero materialismo storico che si liquida la contrapposizione delle idee.
Con questa logica, ai sedicenti arbitri, forse un pò strabici, che ritengono di aver il diritto di segnalare il fuori gioco anche quando questo è molto dubbio, desideriamo rammentare che è a chi non ha peccati che tocca scagliare la prima pietra.

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