Elezioni 13 aprile – La porcata è servita
Venerdì, 8 febbraio 2008
Ormai è deciso, si voterà il 13 aprile prossimo per il rinnovo del Parlamento.
I nodi che avevano increspato i rapporti nella maggioranza di centro-sinistra sono alla fine venuti al pettine e, nonostante il disperato tentativo di Marini di formare un governo di transizione per consentire il varo di una nuova legge elettorale che sostituisse il cosiddetto porcellum, hanno vinto coloro che sono certi di poter trarre dal ritorno alle urne un vantaggio rilevante in termini di suffragi, potendo speculare a ragione sui gravissimi ed imperdonabili errori commessi dal governo precedente.
E che il ritorno alle urne sia stato il frutto del testardo desiderio della destra oggi all’opposizione è solo un fatto apparente, poiché dietro il fallimento di Marini c’è anche l’inconfessata ambizione del PD di misurarsi con l’elettorato, per dimostrare all’intera sinistra quanto sia legittimo il ruolo egemone che reclama dall’indomani della sua costituzione e, agli avversari dell’opposta sponda, quanto sia fondata la pretesa di primo partito nello scenario politico nazionale.
Pur sorvolando sull’ovvia considerazione che questa nuova tornata elettorale si realizza in palese disprezzo di ogni istanza del paese reale, - che tutto avrebbe voluto, tranne che l’ennesimo sperpero di denaro pubblico per un evento che, nei fatti, cambierà pressoché niente, se non l’ingresso di un altro inquilino a palazzo Chigi, - paese reale disgustato da una politica sempre più volgare e serva degli interessi personali dei suoi leader, il punto fondamentale rimane che ancora una volta la sorte dell’Italia dipenderà dalle scelte che imporranno le segreterie dei partiti, che stileranno le liste dei candidati a loro esclusivo piacimento ed al di fuori di qualsiasi controllo democratico degli elettori. Poco importa, infatti, che al cittadino sia lasciata l’apparente libertà di votare un partito anziché un altro: se il suo voto sarà destinato all’elezione di un Mastella o di Cuffaro, di un Di Gregorio o di un Dell’Utri ciò sarà dipeso solo dalla segreteria del partito in cui militano questi personaggi e non direttamente dall’elettore. Ridicola appare la considerazione di coloro che opportunisticamente sostengono che in caso fossero presenti nelle liste candidati non graditi basterà non votare quel singolo partito, dato che questa è la classica soluzione con la quale con l’acqua sporca si butta via il bambino ed a scemenze simili andrebbe rammentato che la democrazia vera si esercita senza scorciatoie e sciocche soluzioni di compromesso.
In ogni caso, a quanti il gesto di Mastella di ritirare l’appoggio alla coalizione e di sancire il funerale del governo in carica è sembrato solo l’arrogante ammissione che i fatti privati e personali hanno oramai supremazia sugli interessi della collettività, probabilmente ed inconfessatamente non è sembrato vero, considerato che il serpeggiare del un malumore e la rissosità nella compagine era di antica memoria. Si trattava solo di trovare il kamikaze disposto a compiere il gesto di staccare la spina, su cui poter far ricadere in campagna elettorale le accuse di irresponsabilità. Poi il gioco sarebbe stato fatto.
Adesso ci dovremo sciroppare ettolitri d’aria fritta con la quale ci saranno raccontate le colpe altrui e decantate le virtù proprie, come se ciascuno non fosse in grado di capire dove stanno i furbi ed i poco di buono (tanti) e le persone perbene (pochissime); comunque a giochi sostanzialmente fatti, dato che solo eventi ultraterreni potrebbero liberarci di Rutelli, D’Alema, Berlusconi, Bonino per far dei nomi a caso. Gli stessi personaggi, protetti dal sistema elettorale vigente, si può star certi, ce li ritroveremo nella prossima compagine parlamentare a sentenziare ancora una volta in nome e per conto del popolo italiano, come la gramigna in un terreno incolto.
Nel frattempo fervono i preparativi elettorali, che come una soap opera vedono i maggiorenti dei partiti imbastire alleanze, cercare di accasarsi in una improvvisata coalizione che permetta di aggirare gli sbarramenti; mezze calzette che cercano rifugio in partiti che garantiscano loro una posizione sicura in lista e così via. In questo quadro di stomachevole ostentazione di cronica debolezza di principi e di saldo attaccamento alla poltrona, si finge persino di dimenticare le oltraggiose ingiurie scambiatesi qualche settimana prima. E così Fini torna a sorridere a Berlusconi e Casini; Bossi dichiara che la leadership della CdL non si mette in discussione; Bertinotti prende le distanze da Veltroni; Di Pietro si allea con il PD, dopo aver fatto l’amore per qualche tempo con Tabacci per entrare nell’UDC; Tabacci lascia l’UDC con l’accusa di un Casini che viene meno agli impegni congressuali; Mastella, che dopo le vicende personali e della consorte, oltre che ad aver determinato la crisi di governo, e che probabilmente dopo la tornata elettorale avrà un peso meno significativo di un prefisso telefonico, dichiara sfrontatamente di non aver ancora scelto se stare al centro, a sinistra o a destra (alla faccia della chiarezza politica, ndr); Berlusconi invita Mastella a palazzo Grazioli e gli propone di venire ad ingrossare le schiere dell’armata composita con la quale spera di vincere le lezioni.
Ma in tutto ciò quel che sconcerta è la vocazione suicida della sinistra italiana, che sebbene consapevole dell’impossibilità di tornare al governo a causa delle gravissime delusioni generate all’elettorato durante la legislatura in corso, continua ad argomentare su se e come sia possibile realizzare un’alleanza al suo interno che le permetta di guadagnare i numeri per sfidare la fortuna palesemente avversa. Mentre il neonato PD, consapevole di dover passare la mano, si pasce della convinzione che dal correre da soli sicuramente otterrà un consenso che gli permetterà di conquistare un ruolo guida nella sinistra.
Il quadro che viene fuori è decisamente sconfortante, quantunque alla fine un nuovo parlamento sarà eletto ed un governo sarà comunque fatto. Rimane tuttavia irrisolto il vero quesito di questo inesorabile declino di civiltà che oramai stiamo vivendo dall’era di Tangentopoli: fino a quando il popolo tollererà questo scempio di democrazia che lo riduce ad inerme spettatore delle gesta di quattro teatranti che decidono del suo destino?
I nodi che avevano increspato i rapporti nella maggioranza di centro-sinistra sono alla fine venuti al pettine e, nonostante il disperato tentativo di Marini di formare un governo di transizione per consentire il varo di una nuova legge elettorale che sostituisse il cosiddetto porcellum, hanno vinto coloro che sono certi di poter trarre dal ritorno alle urne un vantaggio rilevante in termini di suffragi, potendo speculare a ragione sui gravissimi ed imperdonabili errori commessi dal governo precedente.
E che il ritorno alle urne sia stato il frutto del testardo desiderio della destra oggi all’opposizione è solo un fatto apparente, poiché dietro il fallimento di Marini c’è anche l’inconfessata ambizione del PD di misurarsi con l’elettorato, per dimostrare all’intera sinistra quanto sia legittimo il ruolo egemone che reclama dall’indomani della sua costituzione e, agli avversari dell’opposta sponda, quanto sia fondata la pretesa di primo partito nello scenario politico nazionale.
Pur sorvolando sull’ovvia considerazione che questa nuova tornata elettorale si realizza in palese disprezzo di ogni istanza del paese reale, - che tutto avrebbe voluto, tranne che l’ennesimo sperpero di denaro pubblico per un evento che, nei fatti, cambierà pressoché niente, se non l’ingresso di un altro inquilino a palazzo Chigi, - paese reale disgustato da una politica sempre più volgare e serva degli interessi personali dei suoi leader, il punto fondamentale rimane che ancora una volta la sorte dell’Italia dipenderà dalle scelte che imporranno le segreterie dei partiti, che stileranno le liste dei candidati a loro esclusivo piacimento ed al di fuori di qualsiasi controllo democratico degli elettori. Poco importa, infatti, che al cittadino sia lasciata l’apparente libertà di votare un partito anziché un altro: se il suo voto sarà destinato all’elezione di un Mastella o di Cuffaro, di un Di Gregorio o di un Dell’Utri ciò sarà dipeso solo dalla segreteria del partito in cui militano questi personaggi e non direttamente dall’elettore. Ridicola appare la considerazione di coloro che opportunisticamente sostengono che in caso fossero presenti nelle liste candidati non graditi basterà non votare quel singolo partito, dato che questa è la classica soluzione con la quale con l’acqua sporca si butta via il bambino ed a scemenze simili andrebbe rammentato che la democrazia vera si esercita senza scorciatoie e sciocche soluzioni di compromesso.
In ogni caso, a quanti il gesto di Mastella di ritirare l’appoggio alla coalizione e di sancire il funerale del governo in carica è sembrato solo l’arrogante ammissione che i fatti privati e personali hanno oramai supremazia sugli interessi della collettività, probabilmente ed inconfessatamente non è sembrato vero, considerato che il serpeggiare del un malumore e la rissosità nella compagine era di antica memoria. Si trattava solo di trovare il kamikaze disposto a compiere il gesto di staccare la spina, su cui poter far ricadere in campagna elettorale le accuse di irresponsabilità. Poi il gioco sarebbe stato fatto.
Adesso ci dovremo sciroppare ettolitri d’aria fritta con la quale ci saranno raccontate le colpe altrui e decantate le virtù proprie, come se ciascuno non fosse in grado di capire dove stanno i furbi ed i poco di buono (tanti) e le persone perbene (pochissime); comunque a giochi sostanzialmente fatti, dato che solo eventi ultraterreni potrebbero liberarci di Rutelli, D’Alema, Berlusconi, Bonino per far dei nomi a caso. Gli stessi personaggi, protetti dal sistema elettorale vigente, si può star certi, ce li ritroveremo nella prossima compagine parlamentare a sentenziare ancora una volta in nome e per conto del popolo italiano, come la gramigna in un terreno incolto.
Nel frattempo fervono i preparativi elettorali, che come una soap opera vedono i maggiorenti dei partiti imbastire alleanze, cercare di accasarsi in una improvvisata coalizione che permetta di aggirare gli sbarramenti; mezze calzette che cercano rifugio in partiti che garantiscano loro una posizione sicura in lista e così via. In questo quadro di stomachevole ostentazione di cronica debolezza di principi e di saldo attaccamento alla poltrona, si finge persino di dimenticare le oltraggiose ingiurie scambiatesi qualche settimana prima. E così Fini torna a sorridere a Berlusconi e Casini; Bossi dichiara che la leadership della CdL non si mette in discussione; Bertinotti prende le distanze da Veltroni; Di Pietro si allea con il PD, dopo aver fatto l’amore per qualche tempo con Tabacci per entrare nell’UDC; Tabacci lascia l’UDC con l’accusa di un Casini che viene meno agli impegni congressuali; Mastella, che dopo le vicende personali e della consorte, oltre che ad aver determinato la crisi di governo, e che probabilmente dopo la tornata elettorale avrà un peso meno significativo di un prefisso telefonico, dichiara sfrontatamente di non aver ancora scelto se stare al centro, a sinistra o a destra (alla faccia della chiarezza politica, ndr); Berlusconi invita Mastella a palazzo Grazioli e gli propone di venire ad ingrossare le schiere dell’armata composita con la quale spera di vincere le lezioni.
Ma in tutto ciò quel che sconcerta è la vocazione suicida della sinistra italiana, che sebbene consapevole dell’impossibilità di tornare al governo a causa delle gravissime delusioni generate all’elettorato durante la legislatura in corso, continua ad argomentare su se e come sia possibile realizzare un’alleanza al suo interno che le permetta di guadagnare i numeri per sfidare la fortuna palesemente avversa. Mentre il neonato PD, consapevole di dover passare la mano, si pasce della convinzione che dal correre da soli sicuramente otterrà un consenso che gli permetterà di conquistare un ruolo guida nella sinistra.
Il quadro che viene fuori è decisamente sconfortante, quantunque alla fine un nuovo parlamento sarà eletto ed un governo sarà comunque fatto. Rimane tuttavia irrisolto il vero quesito di questo inesorabile declino di civiltà che oramai stiamo vivendo dall’era di Tangentopoli: fino a quando il popolo tollererà questo scempio di democrazia che lo riduce ad inerme spettatore delle gesta di quattro teatranti che decidono del suo destino?
0 Commenti:
Posta un commento
Iscriviti a Commenti sul post [Atom]
<< Home page