venerdì, dicembre 07, 2007

Il grande fallimento della sinistra


Venerdì, 7 dicembre 2007

Per quanto potrebbe apparire prematuro, per il Governo Prodi è già stagione di bilanci. Ad un anno e mezzo abbondante dalla sua elezione i conflitti che ne dilaniano la tenuta, infatti, sono tali da rendere del tutto impensabile che possa concludere il suo mandato nei tempi di durata della legislatura, dovendosi ritenere molto più probabile che, alla conclusione dell’approvazione della finanziaria, siano forti le eventualità di un ritorno alle urne.

Che l’ipotesi non sia peregrina è confermato da una serie di segnali forti, provenienti da tutti i settori della coalizione, che stanno esplicitando quanto siano sordidi i rancori dell’un contro l’altro accumulatisi specialmente negli ultimi mesi di governo, in cui le mediazioni sono state sempre più difficili e trovare la quadra di filosofie politiche divergenti si è dimostrato compito arduo persino per esperto prestigiatore.

L’ipotesi di ritorno alle urne si è inoltre rinforzata alla luce anche delle dichiarazioni di Fausto Bertinotti, presidente della Camera, che, nel corso di un’intervista oggetto di durissimi attacchi da parte degli alleati, ha cantato il de profundis all’esperienza politica della compagine governativa ed ha sostenuto come l’esaurimento dei principi di programma, che avevano dato corpo all’Unione, sia nei fatti e tale da non lasciare alcun margine alla prosecuzione di un cammino comune al PRC con i suoi compagni d’avventura.

Il giudizio del leader storico della sinistra radicale e progressista è tale da non lasciare margine alcuno di dubbio, sebbene il sottosegretario Micheli, compagno di merende del Presidente del Consiglio già da tempi dell’IRI, non abbia perso un minuto a tacciare le dichiarazioni del Presidente della Camera come prive “del minimo senso dello stato”, nella speranza forse di un loro improbabile rientro. Anzi, le velenose conclusioni di Micheli hanno solo prodotto il risultato di radicalizzare la presa di posizione del PRC in difesa del loro leader, che in quanto a senso dello stato o della democrazia non pensiamo abbia bisogno di prendere lezioni dal primo astioso censore di passaggio. In più, se per dimostrare questa vocazione è necessario, - come nei fatti è accaduto, - sottostare ad ogni sorta di ricatto di un governo composito, che vuole il ruolo del PRC ridotto a ruota di scorta del suo viatico o, al più, a stampella parlamentare delle sue decisioni, per quanto forse tardiva, la presa di coscienza del fallimento di un progetto programmatico di guida del Paese da parte di questa coalizione è un atto dovuto e necessario.

D’altra parte, - ed è doloroso ammetterlo, - nei suoi 17 mesi di vita il governo Prodi ha fatto molto poco e quel poco, sotto la spinta di veti incrociati e di minacciosi ricatti di disimpegno dalla coalizione, ha spesso prodotto provvedimenti persino peggiorativi di ciò che si è inteso riformare. Si pensi alla riforma della giustizia, che nei fatti ha ricalcato la preesistente legge varata dall’amministrazione Berlusconi, che ha scontentato ulteriormente quanti già erano scontenti. La riformina del fisco e delle aliquote, vanificata dall’onerosissima finanziaria dello scorso anno, che ha ridotto allo stremo un Paese già in ginocchio. L’incredibile riforma delle pensioni, straordinariamente peggiorativa del tanto deprecato progetto Maroni, oltre che atto di inqualificabile tradimento del programma elettorale e del mandato popolare. Le liberalizzazioni di Bersani, che nulla hanno liberalizzato, ma che hanno scatenato la più squallida delle ritorsioni di assicurazioni, compagnie telefoniche e dei clan toccati dal provvedimento, a danno e beffa dei consumatori. L’assenza più totale di interventi, se non di facciata, a favore dell’occupazione giovanile e per la rimozione della piaga purulenta del precariato. Senza parlare dell’assenza più totale di quei meccanismi di controllo e di governo del paese reale che avrebbero dovuto vigilare sulla realizzazione dei provvedimenti atti a cambiare la rotta di una povertà sempre più diffusa ed allarmante; sebbene la stessa sinistra, quando era all’opposizione, avesse fatto di questa assenza di sistemi di controllo uno dei cavalli della propria battaglia contro il dicastero Berlusconi.

La verità vera è che questa coalizione, forte dell’esperienza degli illusionisti che l’avevano preceduta, si è fatta prendere la mano dall’idea che il popolo fosse ormai talmente avvezzo a farsi tulurpinare dalle dichiarazioni altisonanti e dai giochi delle tre carte, che ha sistematicamente creduto di poter incantare i gonzi al suono del piffero magico, grazie all’ostentazione del profilo pacioso e rassicurante di un musicista stonato di Bologna, mosso solo dalle ambizioni personali di potere ed incline a far promesse al vento, ma incapace di guidare con la dovuta autorità persino un’associazione bocciofila.

Ne è derivato un tracollo di fiducia nell’esecutivo, misto ad una rabbia per le evidenti e deliberate inadempienze alle promesse elettorali, senza precedenti, nel quale si son trovate coinvolte anche le componenti politiche che, da sempre, godevano di una credibilità inossidabile, magari senza doverne condividere necessariamente la progettualità.

Alla luce di queste considerazioni, le parole ed i distinguo di Bertinotti appaiono del tutto fuori luogo e non per una sospetta mancanza di senso dello stato, come vorrebbe il signor Micheli, quanto perché il malessere del suo partito e della sinistra radicale tutta non è dell’ultimora, ma affonda le radici in un anno di veleni somministrati loro dal resto della maggioranza e nella copertura che hanno in ogni caso dato ad un’azione di governo che definire squallida e fallimentare è solo un complimento.

Quali fossero i legami che potevano congiungere Dini a Diliberto o Mastella a Giordano era un mistero prima della tornata elettorale e rimangono un’inestricabile rebus dopo 17 mesi in cui questi personaggi non risulta si siano mai parlati, se non per il tramite dell’imbonitore Prodi, che a tutti prometteva e tutti tranquillizzava, ma prestava orecchi solo a Dalema e Rutelli in quanto espressione di una maggioranza-guida. Non potendosi ritenere questi navigati leader della sinistra degli sprovveduti, avranno il lor daffare per spiegare al proprio elettorato che hanno preso atto di queste incompatibilità solo di recente ed alla luce dei tranelli perpetrati ai loro danni.

Gli errori di questa sinistra non sono stati episodici, ma sistematici ed aggravati oltre ogni misura dallo sberleffo di un neocentrismo revisionista, che con la testa di cuoio Damiano è riuscita a dimostrare quanto abbia effettivamente in pugno la leadership del movimento operaio, che ha approvato una riforma del welfare a dir poco demenziale. Adesso tutti indistintamente si troveranno coinvolti nell’ondata di sfiducia di un elettorato ai limiti della sopportazione per un esecutivo parolaio e truffaldino; travolti dal legittimo desiderio di dare il benservito ad una sinistra che, piaccia o meno, ha governato in modo vergognoso ed infischiandosene dei reali bisogni del Paese.

E’ del tutto inutile che Prodi faccia ora ricorso alla reiterata fiducia ora alla Camera ed ora al Senato, con l’intento di dare ossigeno ad un governo moribondo e per far sì che il dissenso, che dovesse emergere, si dovrà assumere la responsabilità di un ritorno alle urne e della riconsegna nelle mani di Berlusconi della guida dell’esecutivo. I cittadini sanno ormai discernere le responsabilità vere da quelle pretestuose, anche se non per questo assolveranno Bertinotti o Diliberto o Giordano dall’ignavia in cui hanno scelto di inchiodarsi e per l’insussistenza dei risultati consuntivati.


Qualche giorno fa l’eclettico Cavaliere di Arcore, a proposito della fine della Casa delle Libertà, - peraltro da lui decretata con le improvvide azioni intraprese, - ha definito la sua ex coalizione un ectoplasma. Paradossalmente ci pare che la definizione sia più congeniale a qualificare l’Unione, dato il fallimento della sua esperienza e l’improbabile possibilità di ritornare per tanti lunghi anni al governo degli Italiani; Italiani al cui esordio avevano gioito speranzosi in un stato più equo e solidale, salvo dover constatare che da oltre un ventennio nella politica del nostro bel Paese alligna solo una modestia ed un disprezzo per il cittadino ed i suoi bisogni del tutto esemplari, qualunque sia il colore e la direzione dei governi.

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