Benedetto XVI il Restauratore
Domenica, 2 dicembre 2007
Uno spettro si aggira per il mondo, uno spettro reazionario e restauratore rappresentato dalla Chiesa cattolica ed incarnato dal suo massimo esponente, quel Benedetto XVI seguito a Giovanni Paolo II, che sin dalla sua nomina a capo del Vaticano non hai mai fatto mistero della sua concezione del cattolicesimo come espressione di conservazione oltranzista.
Già tra i più stretti collaboratori di papa Woitila, l’esordio del suo pontificato ha inaugurato per la chiesa universale un clamoroso tentativo di restaurare alcuni dei concetti più oscurantisti della dottrina cattolica, bloccando di fatto tutte gli spiragli ad un modernismo concreto apertisi con l’era di Giovanni Paolo II.
Il tentativo di riportare la Chiesa cattolica nell’alveo del dogmatismo ortodosso, contrassegnato da clamorosi incidenti nei rapporti con le altre comunità religiose, tra queste la tormentata comunità islamica, lo vede incalzante autore di messaggi al mondo con il dichiarato obiettivo di restaurare una fede incardinata su valori manifestamente anacronistici e privi di ogni aderenza al comune sentimento morale ed etico del terzo millennio.
Tali tentativi, più che ottenere il risultato prefisso, nei fatti contribuiscono a consolidare il processo di secolarizzazione, cioè l’abbandono di un comportamento di tipo sacrale, l'allontanamento da schemi tradizionali, da posizioni dogmatiche e aprioristiche, poiché non tengono in alcun conto l’insieme delle modifiche socio-culturali che hanno interessano tutti i valori, le identità, le appartenenze forti, anche laiche o laicizzate che, con il pontificato di Giovanni Paolo II, avevano sperimentato un armonico mudus vivendi. Questo processo, tipico dei paesi occidentali in età contemporanea, che porta ad agire e a pensare (relativamente alla natura, al destino, al ruolo dei cittadini) in modo sperimentale e razionale, non è pensabile possa subire battute d’arresto, trattandosi di un patrimonio culturale indelebile la cui velocità metabolica è fortemente accelerata dai processi di globalizzazione planetaria. Né può sottostimarsi che a questo processo hanno contribuito pietre miliari della storia dell’umanità: l'attuazione dell'istruzione obbligatoria, l'espansione dell'istruzione in generale e dei mezzi di comunicazione di massa, la mobilitazione sociale (urbanizzazione, industrializzazione, mobilità di classe), che presentano un’evidente refrattarietà ad ogni rigurgito restauratore. Questo processo di grande complessità, nella misura in cui indica la perdita di incidenza delle chiese nella quotidianità umana, assume addirittura un significato pregnante di scristianizzazione e dereligionizzazione. Singolarmente, una parte della teologia l'ha letta, al contrario, come inveramento del cristianesimo e del neo-fideismo, grazie alla distruzione che essa realizza del “tempio” e dei suoi simboli di separazione e di potere. Identificata con il tramonto delle ideologie, secondo i teologi, mette in crisi anche altri soggetti, come lo stato, o i grandi partiti e movimenti di massa, ai quali contestano la pretesa di porsi come centro sacrale nella storia del mondo.
Ecco che la difesa ad oltranza della vita anche nelle sue forme potenziali e primordiali, con la messa all’indice di anticoncezionali, aborto persino terapeutico o conseguente lo stupro, convivenza senza matrimonio, omosessualità, o i recenti feroci attacchi alla cultura dell’illuminismo, dichiarato morto ed esperienza fallimentare, sembrano più che i rantoli di un teologismo bigotto ed allo stremo un disegno preordinato, agognante un improbabile neo medioevo fatto di obnubilazione delle coscienze, destinato a rendere sempre più incolmabile il baratro perennemente in espansione tra clericalismo e laicismo.
Insensibile ai conquistati insuccessi, Benedetto XVI in queste ore attacca anche l’ONU, accusando il consesso internazionale di “relativismo morale”, in quanto imporrebbe «stili di vita» che calpestano il valore della vita medesima. Secondo Ratzinger il problema risiederebbe nel mancato riconoscimento della centralità della «legge morale naturale» e nella mancata difesa della «dignità dell’uomo». Non uccidere è un comandamento che vale per tutti. È il fondamento dell’etica umana. Su un principio del genere non ci sono se, ma o quando. È inderogabile. È non negoziabile. Assoluto.
Naturalmente, questa visione minimalistica dell’autodeterminazione umana, prescinde da ogni valutazione di liceità sugli stupri di massa in Kossovo, Bosnia, Darfour e in tutte quelle aree del mondo, in cui il frutto della bestialità umana non può trovare alcuna giustificazione divina e di fede.
Davanti a quella che rischia di apparire solo una becera arroganza, la Chiesa, che dichiara tolleranza, umiltà, e pacifica convivenza tra i popoli, forse dovrebbe dar prova di maggiore coerenza, magari avviando quel processo di pulizia al proprio interno che la rendano agli occhi del mondo più autorevole e credibile; intraprendendo quelle opere di rifondazione improrogabili e sempre negate, dato che i Marcinkus non sono stati il prodotto della laicità, ma le storture di una clericalismo rimasto, nei fatti, avidamente abbarbicato alla temporalità del potere. Forse sarebbe opportuno che il sedicente capo della Chiesa universale, la guida del cattolicesimo, la voce contraddittoria dell’Onnipotente, ammettesse che l’omosessualità non è una patologia, rendendo con ciò merito alla sua indiscussa intelligenza, ma una manifestazione della natura che, in quanto tale, non può essere confinata in una nuova Daccau o Auschwitz.
Negli organismi internazionali spesso vince il relativismo morale, dice Benedetto XVI: «Viene così di fatto ad imporsi una concezione del diritto e della politica, il cui consenso tra gli Stati, ottenuto talvolta in funzione di interessi di corto respiro o manipolato da pressioni ideologiche, risulterebbe essere la sola ed ultima fonte delle norme internazionali». L’etica dell’egoismo e le ideologie cancellano - secondo il Pontefice - le leggi della morale naturale. «I frutti amari di tale logica relativistica nella vita internazionale sono purtroppo evidenti: si pensi ad esempio al tentativo di considerare come diritti dell’uomo le conseguenze di certi stili egoistici di vita; oppure al disinteresse per le necessità economiche e sociali dei popoli più deboli, o al disprezzo per il diritto umanitario, e ad una difesa selettiva dei diritti umani». C’è una via d’uscita, una speranza dichiara il Papa, «Vi incoraggio a combattere il relativismo in modo creativo, presentando la grande verità sull'innata dignità dell'uomo come un insieme di principi etici non negoziabili».
No vi è alcun dubbio che le parole del Pontefice, estrapolate dal contesto di riferimento, presentano una condivisibile esortazione a rinforzare l’azione internazionale di tutela di valori ecumenici e, comunque, dei più deboli. Tuttavia, rimane il dovere etico della Chiesa non solo di stare in prima linea nella difesa di questi principi, ma dare primariamente esempio concreto di una volontà missionaria atta a favorire le condizioni di tutela di quella dignità dell’uomo, non alzando le barriere al dissenso o promuovendo nostalgici appelli all’arroccamento oltranzista, ma con l’esempio concreto di quel primato morale che nel corso della storia non sempre ha esercitato, o con la scomunica di un dissenso frutto dell’evoluzione etica e morale dei tempi.
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