giovedì, ottobre 25, 2007

Il gioco "Le elezioni" dagli Annali di Tacito


Mercoledì, 24 ottobre 2007
Narrano le cronache dell’epoca che un tempo era in voga uno gioco di società chiamato Le elezioni. Il gioco, avvincente al punto da essere divenuto nel tempo talmente popolare da coinvolgere comunità intere, era basato su un meccanismo assai semplice per chi vi partecipava da giocatore, mentre aveva regole assai più complesse per chi gestiva il banco. I giocatori, infatti, erano chiamati ad apporre una croce su una lista di simboli variopinti ed accattivanti, - coloro che avevano maggiore familiarità con le regole potevano persino scrivere un nome, - dopo di ché non avevano che da attendere che i croupier contassero le croci per proclamare i vincitori del gioco. Ai banchieri toccava la parte più difficoltosa, poiché non solo avevano il compito di preparare la lista dei concorrenti, ma dovevano vigilare affinché i vincitori rispettassero le regole da loro imposte, pena l’esclusione dalla riffa alla tornata successiva.
Il bello del gioco stava nel fatto che, una volta tanto, i giocatori non erano mossi da inconfessabili mire o interessi personali, - il compilatore della schedina nulla aveva da intascare personalmente - ma erano esclusivamente presi dalla frenesia del gioco in sé, che, nei fatti, prevedeva il conferimento di un premio a qualcun altro e non a loro: come l’incoronazione di una miss, eletta grazie al televoto degli ascoltatori.
E il gioco assunse talmente una valenza maniacale che ben presto riffe similari vennero allestite a livello comunale, provinciale regionale e continentale, con il risultato che a questo tripudio di popolo era possibile assistere anche due o tre volte in un solo anno; senza contare quelle organizzate da sindacati, scuole e persino condomini, sull’onda dell’emozione che erano in grado di suscitare. E questa febbre contagiò anche i territori barbari, sì da aver notizia che Gallia e Pannonia avevano preso ben presto a praticare l’esotico gioco.
Si racconta di gente che rinunciò alla gita fuori porta con la famigliola, il cui uso era già in voga al tempo, per compilare la schedina, o di lunghe code umane alle ricevitorie in attesa del turno per poter imbucare la propria.
I vincitori di questa kermesse godevano di un pacchetto di benefici di tutto rispetto, che forse era l’aspetto che più appagava l’animus del giocatore, che andavano da un appannaggio reale all’automobile con tanto di autista in uniforme, ad un assistente personale mal pagato addetto al trasporto del suo bagaglio, alla gratuita circolazione sui mezzi pubblici di ogni specie e genere, ad un ufficio di rappresentanza nella capitale (in realtà un budoir elegantissimo in cui ricevere gli amici) e mille altre cose, non ultima l’automatica iscrizione ad un club esclusivissimo, dove si poteva gozzovigliare, tagliarsi i capelli al prezzo di una mancia, ottenere inviti gratuiti a spettacoli teatrali e circensi oltre a disbrigare celermente le noiose pratiche burocratiche che affliggono i comuni mortali in pochi minuti, con sede negli storici palazzi romani Chigi, Madama e Montecitorio.
A questi signori, in contropartita al carnet prima sintetizzato, non si chiedeva che di rendersi disponibili per convegni, trasmissioni televisive, foto per giornali e riviste, tagli inaugurali di nastri ed altre faticose amenità, per le quali era comprensibilmente richiesta la presenza di un volto noto e vincente, che desse lustro all’iniziativa o rendesse più credibile l’evento.
Per quanto allo sguardo dell’incauto la vita di questi personaggi potesse apparire agiata e fortunata, in realtà, questi vivevano durante il periodo della loro investitura una vita d’inferno, sempre presi in impegni ufficiali di rappresentanza, che implicavano altresì adeguate spese per abbigliamento e maquillage vari, tali da rendere persino difficoltosa la conduzione di un normale menage familiare. Né mancano gli episodi a conferma di questa dorata ma triste esistenza: qualcuno finito in ospedale causa l’eccesso di performance sessuali richiestegli da svariate giovani partner attratte dal mito dell’uomo di successo; qualcun altro che si sveglia in una camera d’albergo in compagnia di due signorine con cui era stato costretto ad intrattenersi contemporaneamente, di cui una passata a miglior vita - non ci dice Tacito se per l’eccesso dell’ardore amatorio del nostro o per aver abusato di qualche stimolante per tenergli testa. - Un altro ancora uso a farsi intervistare da dei banali travestiti, per tenersi in esercizio nei quotidiani rapporti con i mass media, come ebbe a dichiarare; parecchi abituali frequentatori di ritrovi notturni sino alle prime ore del mattino, con l’unico obiettivo di potersi far vedere e toccare dagli avventori, significative rappresentanze del popolo dei giocatori.
Senza contare quanti passarono seri guai per essere stati sorpresi con bustarelle e contanti nel taschino della giacca o nella biancheria, frutto di innocentissimi segni di ammirazione e riconoscenza di fans irriducibili, in sincera pena per il bilancio economico del loro preferito. A nulla valse in qualche caso giurare sul proprio immacolato onore che di quelle regalie nulla si sapeva e che, comunque, sarebbero certamente andate in beneficenza, magari a favore della Società del Golf di Torlecchio o dello Yachting di Plaja Ventresca, così bisognosi di sostegno nell’opera diocesana svolta a favore della comunità.
Sopra di loro poi vi erano i banchieri, coloro che gestivano il banco. Questi erano le vere menti grigie del gioco. Stacanovisti della riffa, organizzavano le giocate, sceglievano i partecipanti, dettavano le regole di comportamento e decidevano di comune accordo, quando non ritenevano non fosse più possibile giungere alla conclusione naturale del periodo fissato per il godimento delle guarentigie dei vincitori, l’avvio di una nuova tornata di giochi. A loro era delegato il potere di indicare i nomi dei partecipanti e l’assunzione di provvedimenti disciplinari a carico di chi non rispettasse le regole stabilite, nonché l’esclusione dalla successiva competizione di coloro che si fossero resi autori, a loro insindacabile giudizio, di gravi atti di indisciplina. I banchieri, veri boss del gioco, grazie al prestigio particolare godevano anche di un seguito, cui era delegato il compito di allontanare accattoni e questuanti, ammorbidire esuberanti manifestazioni d’affetto di terzi e similari. Questo seguito, allestito con figuri che sembravano prelevati dal mitico Mi16 britannico, talvolta potevano divenire avanguardia, allorquando, nel raro concedersi alle masse, servisse a preannunciare l’imminente arrivo dell’eminenza grigia e scoraggiare quanti avessero avuto intenzione di manifestarsi come detto prima.Ma, narrano ancora gli storici, come ogni gioco anche questo fu destinato al tramonto ed intorno al primo secolo del terzo millennio, cadde gradualmente in disuso sino a scomparire del tutto. Si dice che l’origine della sua archiviazione fu dovuta al calo progressivo di interesse dei giocatori, vessati dal costo crescente delle schedine e dall’onerosità oltre ogni decenza del mantenimento dei vincitori; ma, soprattutto, dal fatto che nella ripetizione delle estrazioni le facce erano sempre le stesse, sebbene ve ne fosse qualcuna che aveva cambiato boss e posizione. Ciò aveva finito per rendere noiose le trasmissioni televisive, appestate dai sorrisi dei soliti noti intenti a recitare litanie trite e ritrite, ed inviso l’acquisto di giornali e riviste, nei quali, se non fosse stato per la data a denunciarne l’attualità, vi erano a ciclo sempre le stesse notizie: bastava oramai comprarne uno e sfogliarlo di tanto in tanto per sapere le notizie del giorno.
(nella foto: una ricevitoria in cui si imbucavano le schedine)

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