Italiani: il Censis scatta l’annuale foto di gruppo
Sabato, 8 dicembre 2007
E’ di ieri la pubblicazione da parte del Censis del Rapporto sulla Situazione Sociale del Paese 2007 dalla quale viene rappresentata la fotografia dell’Italia così come scattata sulla base dei dati riferiti all’anno precedente. Il quadro che ne viene fuori è a dir poco sconfortante, dato che i riferimenti della fotografia scattata sono decisamente negativi sebbene rappresentativi di una realtà effettiva ed ineluttabile, che mette in luce un Paese decisamente allo sbando.
Per non correre il rischio di esagerare nel fornire una descrizione sospetta di emozioni personali, è opportuno riferire con le parole del Censis alcuni dei commenti più salienti della realtà rilevata, dalla quale emergono tutti i blocchi e i problemi che impediscono a una "dinamica evolutiva di pochi" di diventare "uno sviluppo di popolo": la "buona ripresa" tarda ad arrivare, mentre il Paese si disperde in una "poltiglia di massa", una "mucillagine di elementi individuali e di ritagli personali tenuti insieme da un sociale di bassa lega, e senza alcuna funzione di coesione da parte delle istituzioni".
Già questo commento sarebbe sufficiente a chiudere ogni discussione, con tanto di strascichi di appassionata polemica, sullo stato della nostra realtà: un Paese in cui si registra il trionfo di un individualismo disperato, in cui ciascuno calpesta l’altro nel tentativo non di emergere, ma di sopravvivere nel nauseabondo puzzo di guano in cui si dibatte quotidianamente, nella più totale assenza di quella doverosa azione di coesione e supporto delle istituzioni. Eppure il Censis nel suo rapporto sembra disperatamente rifiutare l’immagine di un’Italia in “inesorabile declino ed in corsa verso un irreversibile impoverimento economico oltre che sociale” e cerca nel profondo della nostra società quegli indicatori che, quantunque frutto di un esasperato individualismo, possono rappresentare un opportunità di evoluzione. Fa così riferimento a quelle “minoranze vitali” fautrici di una ripresa economica "ormai da tempo provata da una apprezzabile crescita degli indici del fatturato industriale e del terziario e dalla crescita sostenuta delle esportazioni". Una ripresa che però non riesce a coinvolgere l'intero sistema sociale, per via di problemi vecchi, come l'antico divario Nord-Sud, mai migliorato e semmai aggravato negli anni, e le sempre maggiori "degenerazioni antropologiche". "In ogni settore - ricorda il Censis - è tutto un tessere di astuzie, piccole illegalità, connivenze. Salvo poi, con l'esercizio antico di una doppia morale, scandalizzarsi per furberie più altisonanti. Perchè l'Italia continua ad essere un Paese troppo indulgente con se stesso" e, ci sembra poter aggiungere, in cui la disperazione ha stravolto il concetto di talento: una cosa è avere nel DNA la capacità di far fronte alle avversità della vita, con fantasia e creatività, un’altra è il ricorso sistematico ad un radicato senso del malaffare, furbesco ma criminoso, per risolvere i problemi.
In questa prospettiva queste “minoranze vitali” non sono capaci di divenire “sistema” o di costituire “tessuto”, a causa di un meccanismo non socializzabile di “frontiera lecita”, che in ogni caso ha consentito una crescita del PIL ed un miglioramento dei fondamentali economici, ma non una allargamento della base della ricchezza.
Il Censis rileva come nel corso del 2006 ci sia stato un forte consolidamento dei profitti per le imprese, tendenzialmente al di sopra del 10%, e comportamenti virtuosi e innovativi nell'industria manifatturiera e anche nelle imprese agricole, protagoniste almeno in parte di "un lento ma progressivo progresso di riorganizzazione e riposizionamento complessivo". Ma "lo sviluppo non filtra sia perché non diventa processo sociale, sia perché la società sembra adagiarsi in quell'inerzia diffusa che è antropologia senza storia, senza chiamata al futuro". Tra i principali fattori inerziali il Censis cita i dati della contabilità nazionale: da un lato un andamento degli investimenti fissi lordi delle pubbliche amministrazioni "per il terzo anno di segno negativo", a fronte di una spesa pubblica in crescita e monopolizzata dal pubblico impiego, dalla sanità e dalle pensioni”.
C'è dunque "un inguaribile strabismo delle politiche di bilancio che, non riuscendo a stabilizzare e ridurre le spese correnti, hanno più agevolmente compresso le spese di investimento". Il debito pubblico "pesa come un macigno non solo sui conti, ma anche sulla libertà psicologica dei cittadini". A questo si aggiunge "l'erratica scoperta di tesoretti e la loro destinazione erroneamente politica".
La vitalità riscontrata nel settore delle imprese non si traduce in un'analoga condizione per le famiglie. Gli italiani, osserva il Censis, "giungono alla fine del 2007 ancora con il fiato corto, forse più che per una sensazione di scarsa fiducia nel futuro che per oggettive difficoltà o incertezze economiche".
I consumi hanno ripreso però a crescere: +1,6 per cento nel 2006, +2 per cento nel primo semestre del 2007, ma il reddito disponibile stenta ad aumentare, e pertanto frena la richiesta di mutui (+7 per cento nel primo semestre 2007 a fronte di un +21,1 per cento del corrispondente periodo del 2006) e quella del credito al consumo. Anche perché fra i 2,4 milioni di famiglie che hanno in piedi un mutuo e che hanno un reddito medio basso, l'innalzamento dei tassi sta creando problemi, afferma il direttore del Censis Giuseppe Roma: "circa 420 mila si trovano in difficoltà mentre 110 mila potrebbero avere gravi problemi di insolvenza". Ma anche chi non ha questo tipo di problema, deve cercare di arrangiarsi per via dell'erosione del potere d'acquisto dei salari: da qui le scelte di acquisti “low cost”.
Questo è un fenomeno gravissimo, segnale di una tendenza terzomondista dell’economia e dei consumi: la micidiale erosione delle disponibilità economiche, largamente impiegate per far fronte ad una tassazione vorace ed opprimente, si è tradotta nel progressivo annullamento per la spesa voluttuaria e per la cultura e comincia ad intaccare i consumi primari, come gli alimentari, con sempre maggior ricorso ad hard discount e prodotti non di marca.
A tutto ciò fa da contraltare la rarefazione di nuove opportunità di lavoro, che nel caso delle donne ci vede ormai fanalino di coda dei Paesi industrializzati e superati persino dalla Grecia, e lo stato di perenne precarietà del lavoro acquisito. Non occorre avere nozioni di economia per sapere che senza la creazione di nuove fonti di reddito ed un allargamento della base dei suoi percettori non può esserci aumento dei consumi e, dunque, l’innesco del circolo virtuoso promotore dello sviluppo. Ciononostante, i nostri governanti appaiono assolutamente incapaci di cogliere la portata scellerata della loro azione amministratrice e non hanno mosso un dito per rompere la spirale precarietà-disoccupazione nella quale si dibattono giovani ed ultracinquantenni. La loro azione appare anzi serva di un sistema di imprese affamato di profitti e sempre più concentrato ad analizzare la convenienza a delocalizzare piuttosto che a ridistribuire in reddito parte dei pingui proventi realizzati anche con l’introduzione dell’euro.
Ne deriva una rinata propensione migratoria, che, a differenza del passato, non coinvolge solo manodopera finita, ma coinvolge il mondo studentesco che preferisce una laurea all’estero, con il vantaggio di acquisire anche la conoscenza di una lingua straniera, a quella in un Paese nel quale il titolo di studio sta divenendo un poster da attaccare alla parete. Insomma, sintetizza Giuseppe Roma, se prima "c'era la fuga dei cervelli, adesso c'è la fuga e basta". Un ennesimo dato che dimostra come le soluzioni italiane per uscire da un sistema bloccato siano assolutamente individuali, in mancanza di una seria evoluzione collettiva ed una coscienziosa politica di attenzione e sostegno delle istituzioni. Nel 2006, erano iscritti in facoltà universitarie estere 38.690 studenti, di cui il 19,9 per cento in Germania, seguiti da Austria, Gran Bretagna, Svizzera, Francia e Stati Uniti. Dal 2001 al 2006 inoltre l'Italia è stata, dopo Francia, Germania e Spagna la nazione da cui sono partiti più studenti Erasmus (in totale 92.010). Nel 2006 oltre 11.700 laureati hanno trovato lavoro all'estero.
Il numero delle imprese estere partecipate da aziende italiane è arrivato a quota 17.200 per un volume di addetti che supera il milione. Nel 2006 inoltre il numero degli italiani che ha trasferito all'estero la propria residenza è aumentato del 15,7 per cento rispetto all'anno precedente.
Comunque, conclude il Censis, quantunque l’80% degli Italiani dichiari sfiducia nella politica ed in chi la rappresenta, a prescindere dalla collocazione partitica, la base sociale non solo è specchio fedele della pochezza dei propri rappresentanti, ma paradossalmente è persino peggiore, dato che per uscire dal declino in cui si sente inesorabilmente precipitare immagina scappatoie che nulla hanno a che fare con principi di legalità e di solidarietà sociale, anzi il mors tua vita mea appare essere il principio ispiratore del terzo millennio.
Non c’è che dire, uno sconfortante quadro senza speranza!
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