La perfidia sotto la veste del buonismo – La storia di Cappuccetto Rosso è sempre attuale.
Lunedì, 18 febbraio 2008
A proposito della campagna elettorale in corso, abbiamo parlato dei lupi e degli agnelli che contraddistinguono lo scenario politico del nostro Paese. Nel fare questa considerazione è molto probabile che scettici e denigratori di turno possano aver attribuito le considerazioni proferite al patologico clima di antipolitica o di qualunquismo diffuso che prevale nell’atteggiamento della maggioranza degli Italiani, infezione alla quale non saremmo rimasti indenni.
Per rimuovere ogni dubbio sulla sanezza delle nostre condizioni e cancellare ogni alibi ai millantatori interessati, ci soffermeremo su una vicenda che ha dell’incredibile nella storia nostrana e che coinvolge l’intero circo della politica e delle istituzioni, da destra a sinistra, presidenza della repubblica compresa, affinché, chi vuole, possa meditare nel recarsi alle urne sull’affidabilità di chi, dietro mentite spoglie, si presenta al giudizio dell’elettorato senza macchia e promette rinnovamento.
Europa 7 è un’emittente televisiva che nasce negli anni novanta per iniziativa di un anonimo imprenditore di Avezzano, Francesco Di Stefano, che spera di ottenere una concessione dallo Stato che ha deciso di mettere ordine a quel far west dell’etere, che ha connotato il sistema televisivo italiano sin dagli anni ottanta.
Nel 1999 il neo tycoon ottiene la tanto sospirata concessione nazionale, ma è da quel momento che iniziano i guai per la nuova rete televisiva, che mai nei fatti otterrà le frequenze necessarie per mandare in onda la propria programmazione. Vi è infatti in atto nel nostro Paese una consolidata anomalia, che vede le frequenze disponibili già impegnate da altre reti televisive non in virtù di concessioni regolari, ma per effetto di una gratuita occupazione dell’etere, che si trascina da anni ed alla quale nessun governo succedutosi nel tempo ha inteso porre rimedio per ripristinare la legalità. Anzi, Bettino Craxi, con il quale Berlusconi, proprietario di ben tre reti televisive aveva stabilito stretti e solidi legami, già a metà degli anni ottanta non aveva esitato un minuto a varare un provvedimento che azzerava una sentenza con la quale si stabiliva che non era consentito ai privati trasmettere su scala nazionale. Nel 1994 poi la sentenza 420 della Corte Costituzionale sanciva che un soggetto privato non potesse possedere più di due emittenti televisive e invitava il legislatore ad intervenire in materia, sebbene concedendo una moratoria allo stato di fatto sino all’agosto del ’96. Com’era prevedile, alla scadenza indicata dalla Corte non accadde nulla e fu solo l’anno successivo che Meccanico, incalzato anche dagli organismi Comunitari, varò un provvedimento che sì recepiva il suggerimento della Corte Costituzionale in merito al numero massimo delle emittenti possedute, ma rimandava all’accertamento di sufficienti disponibilità di frequenze satellitari ogni decisione circa il destino della terza rete (Rete 4) di proprietà di Berlusconi.
Nel 1999 il governo D’Alema decide di regolarizzare la situazione ed indice una gara, con tanto di commissione – alla cui presidenza viene insediato un avvocato di Berlusconi – alla quale spetterà il compito di sottoporre a rigido vaglio le domande dei pretendenti e che finalmente possa legittimare, con un regolare mandato dello Stato, lo situazione che si è venuta a creare nel corso del tempo. Nel luglio 1999 si svolge questa gara d'appalto, per partecipare alla quale si richiedono requisiti spaventosi e sembra chiaro che nessuno riuscirà a scombinare i giochi. Invece, colpo di scena, arriva un tipo, Francesco Di Stefano, con uno scatolone enorme pieno di documenti e presenta la richiesta di aggiudicazione di ben due frequenze nazionali. Nonostante i numerosi ostacoli frapposti dalla Commissione sulla strada dell’outsider, per i quali l’intrepido imprenditore d’Avezzano non solo non demorde ma ricorre vittoriosamente anche in sede giudiziale, alla fine si è costretti a rilasciare una concessione ad Europea 7.
Tale concessione è tuttavia solo virtuale, dato che Rete 4, che deve sloggiare e, se ritiene, trasferire l’emittenza su frequenza satellitare, non intende saperne. In più, l’atto di concessione stabilisce che il concessionario, a pena di decadenza della concessione acquisita, deve esercitare il proprio diritto entro i sei mesi successivi il rilascio dell’autorizzazione, pertanto Europea 7 è costretta a mettere in piedi un apparato di trasmissione onerosissimo, che nulla può produrre in mancanza di una frequenza su cui trasmettere.
A nulla vale l’ulteriore sentenza della Corte Costituzionale, la 466/02, che stabilisce il legittimo diritto di Europea 7 e il palese abuso di Rete 4. Il signor Berlusconi, che ha nella vicenda intereressi evidenti, è nel frattempo divenuto Presidente del Consiglio e oltre a far approvare dalla sua maggioranza alcuni leggi per evitare la galera, riesce a far confezionare ai suoi alleati servitori un’incredibile provvedimento, la cosiddetta legge Gasparri, grazie alla quale (art. 20 comma 5 e art. 23 comma 1) si realizza in pratica un condono, riconoscendo il diritto di trasmettere a "soggetti privi di titolo" che occupano frequenze in virtù di provvedimenti temporanei, come le sentenze sospensive dei TAR, a danno di chi, come Europa 7, ha legittima concessione: è evidente che con tale passo il Cavaliere ha realizzato un ulteriore e straordinario atto di stravolgimento del diritto, grazie al quale si legittima lo scippo ed “ex” reati assimilabili ed ha tutelato i propri inconfessabili interessi, in barba al tanto deprecato conflitto d’interessi condannato da più parti.
Ma il signor Di Stefano, non si arrende e continua la sua battaglia per aver riconosciuto il proprio diritto. Così il 31 gennaio scorso la Comunità Europea, presso la quale ha fatto l’ennesimo ricorso, non solo riconosce le sue ragioni e stabilisce l’obbligo per lo Stato italiano e per le altre parti in causa di versargli un risarcimento miliardario per le angherie ed i danni subiti, ma intima una revisione della legge Gasparri, per palese contrasto con le norme di diritto europeo in materia.
Sin qui il fatto, che se fosse solo un esempio dell’ordinaria follia del sistema italiano, potrebbe passare in sordina, così come per tanti anni è accaduto. La sua rilevanza, invece, è ben altra, tenuto conto che la vicenda si trascina ormai da un decennio, nel quadro di una situazione generale nella quale la problematica mediatica è stata al centro di corruzione, inadempienze, connivenze ed omissioni gravissime e degne delle pagine più infamanti della storia delle democrazie sudamericane.
Craxi, Mammì, Meccanico, D’Alema, Prodi ed ovviamente Berlusconi, giusto per citare il gotha della politica degli ultimi vent’anni e che nella vicenda ha avuto mani in pasta, nulla ha fatto per risolvere una delle questioni fondanti della democrazia di ogni paese, di cui la vicenda Europa 7 non è che la punta dell’iceberg. La stessa Presidenza della Repubblica, a cui compete firmare le leggi per la promulgazione, con Azeglio Ciampi nella vicenda ha dato di sé un’immagine alquanto equivoca, visto che alla promulgazione della Gasparri, anziché limitarsi al solo rinvio alle Camere del provvedimento palesemente illegittimo sotto il profilo costituzionale, avrebbe avuto il dovere di sollevare conflitto presso l’Alta Corte, senza così piegarsi al volere di un Parlamento chiaramente trasformato in galoppatoio del fantino Berlusconi.
Né può esser taciuto che lo Stato italiano sotto il Governo Prodi ha avuto l’arroganza di inviare a Bruxelles i propri legali contro Europa 7, pur sapendo di difendere l’indifendibile ed in decorrenza di una violazione del diritto sotto gli occhi di tutti.
A questo scempio di legalità ha fatto da muro del silenzio anche la stampa, che, a parte qualche raro ed episodico trafiletto, mai ha sollevato la doverosa attenzione sull’oltraggio alla legalità che si consumava con il caso Europa 7.
Ha a che ben dire adesso il signor Di Stefano, intervistato da L’Espresso, “non sto né con la destra né con la sinistra di questo Paese”, ché le gravissime responsabilità della vicenda coinvolgono senza appello tutte le forze politiche, quelle forze che oggi, nel rinnovato clima elettorale, tentano disperatamente di imbonire il popolo vestendo i panni di un buonismo e di un perbenismo francamente intollerabili e stomachevoli.
(nella foto, Francesco Di Stefano)
A proposito della campagna elettorale in corso, abbiamo parlato dei lupi e degli agnelli che contraddistinguono lo scenario politico del nostro Paese. Nel fare questa considerazione è molto probabile che scettici e denigratori di turno possano aver attribuito le considerazioni proferite al patologico clima di antipolitica o di qualunquismo diffuso che prevale nell’atteggiamento della maggioranza degli Italiani, infezione alla quale non saremmo rimasti indenni.
Per rimuovere ogni dubbio sulla sanezza delle nostre condizioni e cancellare ogni alibi ai millantatori interessati, ci soffermeremo su una vicenda che ha dell’incredibile nella storia nostrana e che coinvolge l’intero circo della politica e delle istituzioni, da destra a sinistra, presidenza della repubblica compresa, affinché, chi vuole, possa meditare nel recarsi alle urne sull’affidabilità di chi, dietro mentite spoglie, si presenta al giudizio dell’elettorato senza macchia e promette rinnovamento.
Europa 7 è un’emittente televisiva che nasce negli anni novanta per iniziativa di un anonimo imprenditore di Avezzano, Francesco Di Stefano, che spera di ottenere una concessione dallo Stato che ha deciso di mettere ordine a quel far west dell’etere, che ha connotato il sistema televisivo italiano sin dagli anni ottanta.
Nel 1999 il neo tycoon ottiene la tanto sospirata concessione nazionale, ma è da quel momento che iniziano i guai per la nuova rete televisiva, che mai nei fatti otterrà le frequenze necessarie per mandare in onda la propria programmazione. Vi è infatti in atto nel nostro Paese una consolidata anomalia, che vede le frequenze disponibili già impegnate da altre reti televisive non in virtù di concessioni regolari, ma per effetto di una gratuita occupazione dell’etere, che si trascina da anni ed alla quale nessun governo succedutosi nel tempo ha inteso porre rimedio per ripristinare la legalità. Anzi, Bettino Craxi, con il quale Berlusconi, proprietario di ben tre reti televisive aveva stabilito stretti e solidi legami, già a metà degli anni ottanta non aveva esitato un minuto a varare un provvedimento che azzerava una sentenza con la quale si stabiliva che non era consentito ai privati trasmettere su scala nazionale. Nel 1994 poi la sentenza 420 della Corte Costituzionale sanciva che un soggetto privato non potesse possedere più di due emittenti televisive e invitava il legislatore ad intervenire in materia, sebbene concedendo una moratoria allo stato di fatto sino all’agosto del ’96. Com’era prevedile, alla scadenza indicata dalla Corte non accadde nulla e fu solo l’anno successivo che Meccanico, incalzato anche dagli organismi Comunitari, varò un provvedimento che sì recepiva il suggerimento della Corte Costituzionale in merito al numero massimo delle emittenti possedute, ma rimandava all’accertamento di sufficienti disponibilità di frequenze satellitari ogni decisione circa il destino della terza rete (Rete 4) di proprietà di Berlusconi.
Nel 1999 il governo D’Alema decide di regolarizzare la situazione ed indice una gara, con tanto di commissione – alla cui presidenza viene insediato un avvocato di Berlusconi – alla quale spetterà il compito di sottoporre a rigido vaglio le domande dei pretendenti e che finalmente possa legittimare, con un regolare mandato dello Stato, lo situazione che si è venuta a creare nel corso del tempo. Nel luglio 1999 si svolge questa gara d'appalto, per partecipare alla quale si richiedono requisiti spaventosi e sembra chiaro che nessuno riuscirà a scombinare i giochi. Invece, colpo di scena, arriva un tipo, Francesco Di Stefano, con uno scatolone enorme pieno di documenti e presenta la richiesta di aggiudicazione di ben due frequenze nazionali. Nonostante i numerosi ostacoli frapposti dalla Commissione sulla strada dell’outsider, per i quali l’intrepido imprenditore d’Avezzano non solo non demorde ma ricorre vittoriosamente anche in sede giudiziale, alla fine si è costretti a rilasciare una concessione ad Europea 7.
Tale concessione è tuttavia solo virtuale, dato che Rete 4, che deve sloggiare e, se ritiene, trasferire l’emittenza su frequenza satellitare, non intende saperne. In più, l’atto di concessione stabilisce che il concessionario, a pena di decadenza della concessione acquisita, deve esercitare il proprio diritto entro i sei mesi successivi il rilascio dell’autorizzazione, pertanto Europea 7 è costretta a mettere in piedi un apparato di trasmissione onerosissimo, che nulla può produrre in mancanza di una frequenza su cui trasmettere.
A nulla vale l’ulteriore sentenza della Corte Costituzionale, la 466/02, che stabilisce il legittimo diritto di Europea 7 e il palese abuso di Rete 4. Il signor Berlusconi, che ha nella vicenda intereressi evidenti, è nel frattempo divenuto Presidente del Consiglio e oltre a far approvare dalla sua maggioranza alcuni leggi per evitare la galera, riesce a far confezionare ai suoi alleati servitori un’incredibile provvedimento, la cosiddetta legge Gasparri, grazie alla quale (art. 20 comma 5 e art. 23 comma 1) si realizza in pratica un condono, riconoscendo il diritto di trasmettere a "soggetti privi di titolo" che occupano frequenze in virtù di provvedimenti temporanei, come le sentenze sospensive dei TAR, a danno di chi, come Europa 7, ha legittima concessione: è evidente che con tale passo il Cavaliere ha realizzato un ulteriore e straordinario atto di stravolgimento del diritto, grazie al quale si legittima lo scippo ed “ex” reati assimilabili ed ha tutelato i propri inconfessabili interessi, in barba al tanto deprecato conflitto d’interessi condannato da più parti.
Ma il signor Di Stefano, non si arrende e continua la sua battaglia per aver riconosciuto il proprio diritto. Così il 31 gennaio scorso la Comunità Europea, presso la quale ha fatto l’ennesimo ricorso, non solo riconosce le sue ragioni e stabilisce l’obbligo per lo Stato italiano e per le altre parti in causa di versargli un risarcimento miliardario per le angherie ed i danni subiti, ma intima una revisione della legge Gasparri, per palese contrasto con le norme di diritto europeo in materia.
Sin qui il fatto, che se fosse solo un esempio dell’ordinaria follia del sistema italiano, potrebbe passare in sordina, così come per tanti anni è accaduto. La sua rilevanza, invece, è ben altra, tenuto conto che la vicenda si trascina ormai da un decennio, nel quadro di una situazione generale nella quale la problematica mediatica è stata al centro di corruzione, inadempienze, connivenze ed omissioni gravissime e degne delle pagine più infamanti della storia delle democrazie sudamericane.
Craxi, Mammì, Meccanico, D’Alema, Prodi ed ovviamente Berlusconi, giusto per citare il gotha della politica degli ultimi vent’anni e che nella vicenda ha avuto mani in pasta, nulla ha fatto per risolvere una delle questioni fondanti della democrazia di ogni paese, di cui la vicenda Europa 7 non è che la punta dell’iceberg. La stessa Presidenza della Repubblica, a cui compete firmare le leggi per la promulgazione, con Azeglio Ciampi nella vicenda ha dato di sé un’immagine alquanto equivoca, visto che alla promulgazione della Gasparri, anziché limitarsi al solo rinvio alle Camere del provvedimento palesemente illegittimo sotto il profilo costituzionale, avrebbe avuto il dovere di sollevare conflitto presso l’Alta Corte, senza così piegarsi al volere di un Parlamento chiaramente trasformato in galoppatoio del fantino Berlusconi.
Né può esser taciuto che lo Stato italiano sotto il Governo Prodi ha avuto l’arroganza di inviare a Bruxelles i propri legali contro Europa 7, pur sapendo di difendere l’indifendibile ed in decorrenza di una violazione del diritto sotto gli occhi di tutti.
A questo scempio di legalità ha fatto da muro del silenzio anche la stampa, che, a parte qualche raro ed episodico trafiletto, mai ha sollevato la doverosa attenzione sull’oltraggio alla legalità che si consumava con il caso Europa 7.
Ha a che ben dire adesso il signor Di Stefano, intervistato da L’Espresso, “non sto né con la destra né con la sinistra di questo Paese”, ché le gravissime responsabilità della vicenda coinvolgono senza appello tutte le forze politiche, quelle forze che oggi, nel rinnovato clima elettorale, tentano disperatamente di imbonire il popolo vestendo i panni di un buonismo e di un perbenismo francamente intollerabili e stomachevoli.
(nella foto, Francesco Di Stefano)
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