mercoledì, febbraio 20, 2008

Proprietà TV e conflitto d’interessi


Mercoledì, 20 febbraio 2008
E’ bastato che Di Pietro annunciasse che nel suo programma elettorale in discussione con PD con il quale si presenta alleato c’è un capitolo dedicato alla revisione del sistema televisivo italiano, - peraltro necessario alla luce della sentenza della Corte comunitaria che ha definitivamente accolto gli innumerevoli ricorsi di Europa 7, - perché la gazzarra sulla mai risolta questione del conflitto di interessi riprendesse corpo e ridiventasse di grande attualità.
Le televisioni del Cavaliere, appresa la notizia che l’ex magistrato avrebbe in animo di lavorare ad un progetto di legge che sancisca l’obbligo di limitare ad una sola emittente la proprietà di qualunque soggetto pubblico e privato in materia di trasmissioni via etere, hanno spontaneamente inscenato una protesta per bocca dei rispettivi direttori nel corso dei vari notiziari susseguitisi durante la giornata.
Ovviamente nessuno ha detto che il provvedimento in questione prevederebbe la chiusura di un’emittente posseduta in esubero al limite stabilito, visto che sarebbe sempre possibile optare per la trasmissione satellitare, senza perciò ledere la libertà di trasmissione o, men che meno, compromettere il lavoro di quanti in tali emittenti prestano la propria opera. Tuttavia, dato che l’informazione non esita a volte a ricorrere alla disinformazione pur di raggiungere il proprio scopo, i vari Fede e Mimum non hanno esitato a lanciare il grido di allarme al proprio pubblico, dichiarando che l’attentato alla libertà d’informazione che si starebbe preparando, con intuibili ripercussioni su posti di lavoro messi a grave repentaglio, li costringerà ad assumere iniziative adeguate per sbarrare la strada al progetto Di Pietro, non ultimo un black-out sull’informazione politica.
Ma cosa c’è dietro l’iniziativa di questi signori che simulando di difendere il posto di lavoro si schierano in realtà dalla parte del loro attuale padrone? La risposta è assai semplice. C’è la questione del ghiotto mercato pubblicitario, che ha consentito in un ventennio l’accumulo di grandi fortune per Berlusconi e l’elargizione di grandi prebende agli uomini del piccolo schermo, spesso sponsor di produttori di mortadelle e materassi, che a loro riconoscono stratosferici premi in base agli indici d’ascolto delle rispettive trasmissioni infarcite di spot pubblicitari. E’ evidente che un’emigrazione forzosa sul satellite, sistema di trasmissione a più bassa diffusione rispetto alla tv tradizionale, renderebbe la raccolta pubblicitaria fortemente ridimensionata, con tutto ciò che ne consegue per le singole emittenti, padroni e dipendenti inclusi.
Nel pieno del clima elettorale la sortita di Di Pietro non è sembrata vera agli uomini del PdL, che hanno immediatamente approfittato dell’apparente gaffe per far rullare i tamburi della propaganda e rammentare al popolo beone che cambieranno le sigle, cambieranno gli uomini, ma l’animo persecutorio di una certa sinistra è rimasto del tutto intatto, tant’è vero che si rispolvera l’antico rancore per quel sant’uomo di Berlusconi, attaccando le sue proprietà.
Cosa c’entrerebbe Berlusconi nella questione sarebbe un mistero, se non fosse che l’Unto del Signore di Arcore, in barba ad ogni richiamo alla questione del conflitto d’interessi, continua ad essere il padrone delle emittenti in questione, che gestisce ed indirizza a proprio piacimento anche contro gli avversari politici avvalendosi di zerbini come Emilio Fede ed altri “indipendenti” giornalisti. D’altra parte, la stessa normativa in atto a suo tempo varata dal Parlamento italiano su proposta di quel Frattini, premiato con un posto di tutto prestigio a Bruxelles per i servigi resi, dire che è una burla costituisce una modalità per promuoverla a cosa di un qualche rilievo.
Ad ogni buon conto, quella testa fine di D’Alema, - che per primo non osò proporre una legge ad hoc durante la sua presidenza del governo, - ha subito intuito la pericolosità della boutade di Di Pietro e con altrettanta tempestività si è precipitato a smentire che nel programma del PD ci sia un progetto tendente “a privare qualcuno di ciò che possiede”, anche se "una legge per regolare il conflitto di interessi va fatta, ed è nel programma, sebbene le priorità siano altre, come il lavoro o il tema della sicurezza". All'obiezione che, pur con una maggioranza, il centrosinistra non ha fatto la legge, D'Alema spiega: "E' difficilissimo fare una legge seria in questa materia, perché su questo punto c'è la massima opposizione di Berlusconi, che si occupa di tutto, ma di questo tema in modo particolare... In questa legislatura avevamo una maggioranza ristrettissima, completamente erosa al Senato". Quanto alla legge fatta dal centrodestra è "una finzione", "basti pensare - sottolinea il vicepremier - che mentre proibisce a Confalonieri di diventare presidente del Consiglio, lo consente al proprietario delle tv".
Le dichiarazioni di D’Alema, per quanto tentino di stemperare la polemica indicando maliziosamente quali siano le vere priorità nel programma del Partito Democratico, non hanno fugato tuttavia i dubbi ed i timori degli interessati, che anzi reclamano a gran voce che lo stesso Veltroni faccia definitivamente luce sulla questione e spazzi ogni equivoco circa le reali intenzioni del PD in materia di emittenza televisiva.
Il match, com’è probabile, si concluderà con un nulla di fatto e con una prosecuzione strumentale delle opposte polemiche, poiché, al di là delle intenzioni dei singoli partiti, incombe sulla testa del governo che verrà la spada di Damocle della sentenza di Bruxelles, che non ammette inciuci o scorciatoie. E quale migliore occasione di quella per dare attuazione alle legittime aspettative di Europa 7 di rimettere mano alla problematica delle frequenze televisive e degli interessi conflittuali di qualche politico di spicco per risolvere, una volta per tutte, ciò che il mondo da tempo definisce “l’anomalia italiana”?

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