La politica dei coatti
Lunedì, 10 marzo, 2008
L’inaugurazione della campagna elettorale del nuovo Popolo delle Libertà è stata un’occasione per Silvio Berlusconi per chiarire al Paese ed agli elettori quanto come personaggio politico abbia valore meno che modesto e per dirimere ogni dubbio, - se mai ve ne fosse ancora alcuno, - sull’altrettanto scarso valore delle sue qualità umane.
E’ vero che da sempre le campagne elettorali si giocano senza esclusioni di colpi agli avversari, ma anche il simbolismo in certe occasioni ha i suoi limiti. E stracciare il programma degli avversari al solo scopo di strappare l’applauso dei presenti, - applauso che da quel pubblico addomesticato al Berlusconi sarebbe tributato anche se questo maestro di buona educazione si mettesse a ruttare sonoramente dal palco, - supera il confine del buon gusto, per imboccare la via senza ritorno della volgare propaganda da marciapiede.
Il dissenso deve non solo essere sempre consentito, ma va considerato con rispetto e tolleranza, non fosse perché dietro chi lo esprime vi è un popolo, gente che con le idee dell’avversario non è d’accordo e che non costituisce una percentuale insignificante del corpo elettorale, ma un nucleo pressoché pari all’elettorato di Berlusconi. E questo nucleo non si è mai permesso di usare nei suoi confronti gli argomenti triviali a cui il misero personaggio fa sistematicamente ricorso.
La verità sta nel fatto che il Cavaliere, - i cui modi finiscono per rendere usurpazione quel titolo, - è talmente a corto di argomenti dopo aver governato per cinque lunghi anni l’Italia ed averla ridotta sul lastrico che per fare presa sulla gente non trova di meglio che ricorrere a questi insulsi mezzucci da cronaca da balera, - di cui deve essere assai pratico e di cui non ha mai perso l’intima vocazione. E allora giù con la carta stracciata, i continui richiami alle raccomandazioni della povera mamma, gli insulti agli oppositori, le accuse di persecuzione politica ai suoi danni e via dicendo, che certamente sono molto più in grado di alienargli la simpatia che una qualche seria dichiarazione sulla necessità di rigore e sacrifici imposti dalla fragile situazione economica dell’Italia. D’altra parte, da vero maestro del messaggio pubblicitario sa bene che i suoi ascoltatori preferiscono farsi imbonire con il miraggio di qualche sogno che non con il brusco richiamo alla realtà: chi comprerebbe un dentifricio in grado solo di pulire i denti quando dovesse esserne disponibile un altro in grado di renderli smaglianti, di rinforzare le gengive e di profumare l’alito? Così il messaggio deve essere sistematicamente intriso di ottimistiche promesse, tanto qualora le stesse non si dovessero realizzare sarà dipeso non dalla loro insulsaggine ma da fattori imputabili alle recondite forze oscure che sistematicamente tramano contro il successo delle buone intenzioni.
Che il Berlusconi Silvio ci abbia abituato a questa percezione sbruffona della vita ed all’offesa dell’avversario sono cose ormai note. Meno noto era che questo stile avesse contagiato anche il suo valletto Fini, da sempre considerato un politico di razza e, dunque, meno propenso a concedere spazio alle cialtroneria. Invece il segretario di Alleanza Nazionale, - che non aveva indugiato a criticare con veemenza le boutade del suo alleato all’indomani della notte brava con la quale aveva annunciato la nascita del PdL, si badi, per lo stile, - non solo si è associato a qual partito dopo aver giurato che mai lo avrebbe fatto, ma è arrivato al punto di giustificare le gesta di Berlusconi, assolvendole dall’intrinseca maleducazione per promuoverle a semplici ed ingenue facezie scenografiche: come dire che non bastavano le tristi figure di Bondi, Cicchito e Bonaiuti a fare da ambasciatori del Berlusconi-pensiero, adesso esordisce anche l’incartapecorito valletto Fini in questo ruolo inedito di ermeneuta del trash del leader dell'ex Casa delle Libertà.
Avevamo già presagito che questa sarebbe stata una campagna elettorale piena di sorprese, ma come si evince sin dagli esordi la realtà sta superando l’immaginazione, mettendo a nudo uno scenario dove ogni speranza è ormai ridotta al lumicino ed il futuro riserva il trionfo dei coatti.
E’ vero che da sempre le campagne elettorali si giocano senza esclusioni di colpi agli avversari, ma anche il simbolismo in certe occasioni ha i suoi limiti. E stracciare il programma degli avversari al solo scopo di strappare l’applauso dei presenti, - applauso che da quel pubblico addomesticato al Berlusconi sarebbe tributato anche se questo maestro di buona educazione si mettesse a ruttare sonoramente dal palco, - supera il confine del buon gusto, per imboccare la via senza ritorno della volgare propaganda da marciapiede.
Il dissenso deve non solo essere sempre consentito, ma va considerato con rispetto e tolleranza, non fosse perché dietro chi lo esprime vi è un popolo, gente che con le idee dell’avversario non è d’accordo e che non costituisce una percentuale insignificante del corpo elettorale, ma un nucleo pressoché pari all’elettorato di Berlusconi. E questo nucleo non si è mai permesso di usare nei suoi confronti gli argomenti triviali a cui il misero personaggio fa sistematicamente ricorso.
La verità sta nel fatto che il Cavaliere, - i cui modi finiscono per rendere usurpazione quel titolo, - è talmente a corto di argomenti dopo aver governato per cinque lunghi anni l’Italia ed averla ridotta sul lastrico che per fare presa sulla gente non trova di meglio che ricorrere a questi insulsi mezzucci da cronaca da balera, - di cui deve essere assai pratico e di cui non ha mai perso l’intima vocazione. E allora giù con la carta stracciata, i continui richiami alle raccomandazioni della povera mamma, gli insulti agli oppositori, le accuse di persecuzione politica ai suoi danni e via dicendo, che certamente sono molto più in grado di alienargli la simpatia che una qualche seria dichiarazione sulla necessità di rigore e sacrifici imposti dalla fragile situazione economica dell’Italia. D’altra parte, da vero maestro del messaggio pubblicitario sa bene che i suoi ascoltatori preferiscono farsi imbonire con il miraggio di qualche sogno che non con il brusco richiamo alla realtà: chi comprerebbe un dentifricio in grado solo di pulire i denti quando dovesse esserne disponibile un altro in grado di renderli smaglianti, di rinforzare le gengive e di profumare l’alito? Così il messaggio deve essere sistematicamente intriso di ottimistiche promesse, tanto qualora le stesse non si dovessero realizzare sarà dipeso non dalla loro insulsaggine ma da fattori imputabili alle recondite forze oscure che sistematicamente tramano contro il successo delle buone intenzioni.
Che il Berlusconi Silvio ci abbia abituato a questa percezione sbruffona della vita ed all’offesa dell’avversario sono cose ormai note. Meno noto era che questo stile avesse contagiato anche il suo valletto Fini, da sempre considerato un politico di razza e, dunque, meno propenso a concedere spazio alle cialtroneria. Invece il segretario di Alleanza Nazionale, - che non aveva indugiato a criticare con veemenza le boutade del suo alleato all’indomani della notte brava con la quale aveva annunciato la nascita del PdL, si badi, per lo stile, - non solo si è associato a qual partito dopo aver giurato che mai lo avrebbe fatto, ma è arrivato al punto di giustificare le gesta di Berlusconi, assolvendole dall’intrinseca maleducazione per promuoverle a semplici ed ingenue facezie scenografiche: come dire che non bastavano le tristi figure di Bondi, Cicchito e Bonaiuti a fare da ambasciatori del Berlusconi-pensiero, adesso esordisce anche l’incartapecorito valletto Fini in questo ruolo inedito di ermeneuta del trash del leader dell'ex Casa delle Libertà.
Avevamo già presagito che questa sarebbe stata una campagna elettorale piena di sorprese, ma come si evince sin dagli esordi la realtà sta superando l’immaginazione, mettendo a nudo uno scenario dove ogni speranza è ormai ridotta al lumicino ed il futuro riserva il trionfo dei coatti.
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