Il PD alla resa dei conti: quale prospettiva?
Giovedì, 4 dicembre 2008
Le risposte di Walter Veltroni rilasciate a Massimo Giannini di la Repubblica nel corso di un’intervista pubblicata oggi sul quotidiano nazionale non lasciano dubbi. Il PD è davanti ad una resa dei conti sulla leadership e sull’interpretazione del modello strategico da questa interpretato che potrebbe indurre al disegno di nuovi scenari nel panorama dell’opposizione parlamentare futura.
Ammette, infatti, Veltroni che la sua segreteria è attualmente sotto attacco da parte di forze dissenzienti dalla linea che in questi mesi ha tracciato, sia dall’ala sinistra, sostenuta da D’Alema e Fassino, che da quella moderata, rappresentata dagli ex Margherita, incarnati da Rutelli. E’ questa un’opposizione sotterranea, di logoramento, che non viene ancora allo scoperto, ma che mina la credibilità e la coerenza della linea del partito agli occhi degli elettori, che sempre più numerosi prendono le distanze da quello che ormai rappresenta il solo punto di riferimento di una sinistra allo sbando e vanno ad ingrossare il popolo dell’astensionismo e dell’antipolitica.
«Io non amo parlare di questioni interne al Pd, ma di fronte a quello che sta accadendo avverto la necessità di dire: adesso basta. Basta con le confessioni anonime, basta con i retroscena, basta con i veleni.» - dichiara accorato Veltroni, - «È inimmaginabile che nel cuore di una crisi economica gravissima e di una crisi di consenso del governo, il centrosinistra riformista ricada nel suo solito vizio autolesionista: quello di segare l'albero su cui sta seduto».
Ma sebbene si avverta da queste parole l’attualità e la presa d’atto di una lotta intestina dagli esiti tutt’altro che definiti e che vede Veltroni disposto a rimettere in gioco la guida del partito già dal prossimo direttivo del 19 dicembre prossimo, qualora in quella sede se ne faccia esplicita richiesta, si intuisce che l’opposizione interna è tutt’altro che consolidata. I giochi non sembrano ancora conclusi e nonostante la disponibilità «a mettermi in gioco, se questa si rivelerà la soluzione più condivisa,» - dichiarata dal Veltroni, - non pare ci siano le condizioni per un repentino ribaltamento di leadership. «Ma se nessuno pensa che il nostro problema sia la leadership, allora chiedo a tutti il massimo della coerenza. Discutiamo pure. Ma avendo ben chiara una cosa: tutti remano nella stessa direzione per raggiungere i migliori risultati», - conclude Veltroni, con un’affermazione che suona più un augurio che non la convinta conferma che i dissapori possano trovare una ricomposizione.
D’atra parte non può negarsi come la nascita del PD sia avvenuta su basi sostanzialmente fragili. Fassino che firma il manifesto del PSE, quello dei socialisti europei, e Rutelli che dichiara che mai potrà diventare socialista, è la conferma che all’interno del partito sopravvivono almeno due anime con opposte vedute, la cui distanza rimane incolmabile e che costringe a quotidiani giochi di prestigio per tenere incollati due lembi sempre in procinto di scollarsi per imboccare strade separate.
Ci sono poi le vicende Villari e della vigilanza RAI, le dichiarazioni di Arturo Parisi sulla morte dell’identità dell’Ulivo, i fatti di Napoli e l’intreccio affaristico nell’amministrazione locale della città partenopea, i pizzini di Latorre, il ritorno di D’Alema nella scena politica attiva del partito e, non ultima, la diatriba con Chiamparino e Cacciari, rispettivamente sindaci di Torino e di Venezia, su un PD del Nord, che guardi selettivamente ai problemi di aree geografiche fortemente connotate da problematiche socio-economiche peculiari, sulle quali ha trovato fertile terreno la Lega.
«Abbiamo avuto un calo nei sondaggi, proprio nei giorni della vicenda Villari. Non voglio aggiungere altro, per amore di unità verso il partito,» - ammette Veltroni, pur senza spiegare le ragioni per le quali nei confronti del parlamentare disobbediente non siano stati assunti con maggiore tempestività i tardivi provvedimenti di espulsione dal partito, che poi aggiunge «c'è una questione morale nella vita politica italiana, che deve essere affrontata come dice il presidente della Repubblica, nella quale il Pd non è al riparo. La nostra sfida è far crescere una generazione di dirigenti che abbia un'etica dell'amministrare in sintonia con lo spirito del partito. C'è bisogno che il Pd apra porte e finestre, e selezioni al suo interno le forze migliori. Soprattutto nel Sud».
Per quanto riguarda il PD del Nord, sollecitato da Chiamparino e Cacciari, Veltroni è più drastico e fa appello ad unità di strategie politiche che non possono consentire diversificazioni territoriali. «Faremo il coordinamento del partito del Nord, ma non il "partito del Nord". Perché l'Italia ha un'altra storia, e perché abbiamo bisogno di un partito nazionale grande e forte. Per questo faremo anche il coordinamento del partito del Sud. Ma un partito moderno ha bisogno di tempo e di tranquillità. A noi sono negati l'uno e l'altra» - taglia corto Veltroni. Ma poi riprende sulla questione leadership, ammettendo indirettamente che la questione Nord-Sud è uno dei punti su cui si sta consumando lo scontro all’interno del PD. «Non conosco altro partito nel quale ci sia una tale bulimia nei confronti dei leader. Io sono qui da dodici mesi. Ho conosciuto leader come Lula. Chirac, Blair che hanno impiegato anni per affermare il loro progetto. Serve tempo, per costruire una politica di innovazione radicale. Dopodiché naturalmente si risponde di quello che fa. Ed io risponderò del lavoro che avrò fatto. Ma a coloro i quali mi hanno scelto, cioè il popolo delle primarie, come prevede lo statuto».
Ma quali sono le ipotesi che si delineano all’orizzonte del PD? La risposta è complessa, anche se uno scenario appare probabile alla luce anche dell’avvicinamento registrato nella scorse settimane di Casini e dell’UDC e il progressivo autonomismo di Di Pietro dalla linea del PD.
In una prospettiva al momento di sapore fantapolitico si potrebbe prevedere una scissione dell’attuale PD in una forza di sinistra più tradizionale, da una parte, e nella nascita di un movimento neocentrista, dall’altra, in cui potrebbero confluire i residui della vecchia Margherita ed i nuovi alleati ex-UDC, con Casini, Rutelli, Bindi e magari un ripescato Mastella, che in Campania ed in alcune aree del Sud continua a conservare un potere significativo, ed un Veltroni, sicuramente ridimensionato, ma ormai troppo esposto sulla linea di un moderatismo illuminato di stampo americano.
Di Pietro potrebbe restare il solo rappresentante di una sinistra aggressiva e riformista, in grado di catalizzare il voto di frange ex PRC, ecologisti, verdi ed orfani di Diliberto che oggi, in assenza di riferimenti, hanno preso una sbandata e si sono traghettati alla Lega di Bossi. Il ricostituito centro, in questa prospettiva, diventerebbe una sorta di ago della bilancia nella costruzione delle future coalizioni di governo, dato che anche il PdL, dopo che la scomparsa dalla scena politica di Berlusconi si sarà consumata, per ragioni obiettive di età anagrafica del personaggio, otre che di calo di consensi a causa di una politica di governo che avrà mostrato i suoi drammatici limiti, dovrà fare i conti con le probabili guerre intestine di successione e di secessione.
Prevedere questo processo di riassestamento del quadro politico e lavorarci sopra per indirizzarne le risultanze può configurarsi oggi come l’arma vincente per chiunque si dichiari in grado di assumerne la leadership. Certo, questa paternità di leadership non potrebbe essere riconosciuta né a Veltroni, né a D’Alema, né ad alcuna delle figure politiche oggi presenti ai vertici del PD, causa il patrimonio di devastanti insuccessi che si portano in eredità. Né, tantomeno, ci si può illudere che il processo di ricostruzione dello scenario possa realizzarsi in tempi brevi, perché la velocità di acquisizione del consenso è inversamente proporzionale alla velocità con la quale questo si perde. Ciò era stato previsto in tempi non sospetti per Prodi e la sua coalizione, quando protervamente si dedicavano allo scempio della fiducia degli elettori, con scelte politiche incoerenti rispetto al mandato elettorale e addirittura in controtendenza rispetto alle priorità degli strati sociali che avrebbero dovuto rappresentare. Gli stessi errori, d’altro canto, stanno commettendo gli attuali governanti, con le politiche di incrementale impoverimento delle classi già deboli e del ceto medio o con l’abboccamento alle lusinghe di qualche scriteriato tecnocrate, che predica ancora di riformare il sistema pensionistico e ritardare l’accesso alle pensioni per alleggerire il debito pubblico, - incapace di cogliere il rischio di una vera e propria guerra civile che potrebbe originarsi da ulteriori provvedimenti di controriforma dei meccanismi in questione. Mentre la disoccupazione infuria e si avvertirebbe il bisogno di un ammorbidimento di quei meccanismi, - che metterebbero qualche milione di famiglie al riparo dal disastro economico, - c’è ancora qualche imbecille che favoleggia sul pareggio dei conti come esigenza primaria di buon governo. Forse a questi idioti con laurea serale o per corrispondenza in economia bisognerebbe far provare per qualche mese cosa significa sopravvivere senza stipendio e senza lavoro, perché troppo giovani per la pensione e troppo vecchi per trovare occupazione, in omaggio alle tesi scriteriate che spacciano per miracolose quando occasionalmente sollevano la testa dalla greppia in cui si saziano.
In ogni caso e stendendo un velo pietoso sulle esternazioni senza senso della realtà di questi maitres à penser e nouveaux philosophes con la pancia piena, vale sicuramente la pena di investire su un progetto di ridisegno di un’alternativa di governo che, allo stato, appare comunque irraggiungibile per qualunque opposizione in campo.
Ammette, infatti, Veltroni che la sua segreteria è attualmente sotto attacco da parte di forze dissenzienti dalla linea che in questi mesi ha tracciato, sia dall’ala sinistra, sostenuta da D’Alema e Fassino, che da quella moderata, rappresentata dagli ex Margherita, incarnati da Rutelli. E’ questa un’opposizione sotterranea, di logoramento, che non viene ancora allo scoperto, ma che mina la credibilità e la coerenza della linea del partito agli occhi degli elettori, che sempre più numerosi prendono le distanze da quello che ormai rappresenta il solo punto di riferimento di una sinistra allo sbando e vanno ad ingrossare il popolo dell’astensionismo e dell’antipolitica.
«Io non amo parlare di questioni interne al Pd, ma di fronte a quello che sta accadendo avverto la necessità di dire: adesso basta. Basta con le confessioni anonime, basta con i retroscena, basta con i veleni.» - dichiara accorato Veltroni, - «È inimmaginabile che nel cuore di una crisi economica gravissima e di una crisi di consenso del governo, il centrosinistra riformista ricada nel suo solito vizio autolesionista: quello di segare l'albero su cui sta seduto».
Ma sebbene si avverta da queste parole l’attualità e la presa d’atto di una lotta intestina dagli esiti tutt’altro che definiti e che vede Veltroni disposto a rimettere in gioco la guida del partito già dal prossimo direttivo del 19 dicembre prossimo, qualora in quella sede se ne faccia esplicita richiesta, si intuisce che l’opposizione interna è tutt’altro che consolidata. I giochi non sembrano ancora conclusi e nonostante la disponibilità «a mettermi in gioco, se questa si rivelerà la soluzione più condivisa,» - dichiarata dal Veltroni, - non pare ci siano le condizioni per un repentino ribaltamento di leadership. «Ma se nessuno pensa che il nostro problema sia la leadership, allora chiedo a tutti il massimo della coerenza. Discutiamo pure. Ma avendo ben chiara una cosa: tutti remano nella stessa direzione per raggiungere i migliori risultati», - conclude Veltroni, con un’affermazione che suona più un augurio che non la convinta conferma che i dissapori possano trovare una ricomposizione.
D’atra parte non può negarsi come la nascita del PD sia avvenuta su basi sostanzialmente fragili. Fassino che firma il manifesto del PSE, quello dei socialisti europei, e Rutelli che dichiara che mai potrà diventare socialista, è la conferma che all’interno del partito sopravvivono almeno due anime con opposte vedute, la cui distanza rimane incolmabile e che costringe a quotidiani giochi di prestigio per tenere incollati due lembi sempre in procinto di scollarsi per imboccare strade separate.
Ci sono poi le vicende Villari e della vigilanza RAI, le dichiarazioni di Arturo Parisi sulla morte dell’identità dell’Ulivo, i fatti di Napoli e l’intreccio affaristico nell’amministrazione locale della città partenopea, i pizzini di Latorre, il ritorno di D’Alema nella scena politica attiva del partito e, non ultima, la diatriba con Chiamparino e Cacciari, rispettivamente sindaci di Torino e di Venezia, su un PD del Nord, che guardi selettivamente ai problemi di aree geografiche fortemente connotate da problematiche socio-economiche peculiari, sulle quali ha trovato fertile terreno la Lega.
«Abbiamo avuto un calo nei sondaggi, proprio nei giorni della vicenda Villari. Non voglio aggiungere altro, per amore di unità verso il partito,» - ammette Veltroni, pur senza spiegare le ragioni per le quali nei confronti del parlamentare disobbediente non siano stati assunti con maggiore tempestività i tardivi provvedimenti di espulsione dal partito, che poi aggiunge «c'è una questione morale nella vita politica italiana, che deve essere affrontata come dice il presidente della Repubblica, nella quale il Pd non è al riparo. La nostra sfida è far crescere una generazione di dirigenti che abbia un'etica dell'amministrare in sintonia con lo spirito del partito. C'è bisogno che il Pd apra porte e finestre, e selezioni al suo interno le forze migliori. Soprattutto nel Sud».
Per quanto riguarda il PD del Nord, sollecitato da Chiamparino e Cacciari, Veltroni è più drastico e fa appello ad unità di strategie politiche che non possono consentire diversificazioni territoriali. «Faremo il coordinamento del partito del Nord, ma non il "partito del Nord". Perché l'Italia ha un'altra storia, e perché abbiamo bisogno di un partito nazionale grande e forte. Per questo faremo anche il coordinamento del partito del Sud. Ma un partito moderno ha bisogno di tempo e di tranquillità. A noi sono negati l'uno e l'altra» - taglia corto Veltroni. Ma poi riprende sulla questione leadership, ammettendo indirettamente che la questione Nord-Sud è uno dei punti su cui si sta consumando lo scontro all’interno del PD. «Non conosco altro partito nel quale ci sia una tale bulimia nei confronti dei leader. Io sono qui da dodici mesi. Ho conosciuto leader come Lula. Chirac, Blair che hanno impiegato anni per affermare il loro progetto. Serve tempo, per costruire una politica di innovazione radicale. Dopodiché naturalmente si risponde di quello che fa. Ed io risponderò del lavoro che avrò fatto. Ma a coloro i quali mi hanno scelto, cioè il popolo delle primarie, come prevede lo statuto».
Ma quali sono le ipotesi che si delineano all’orizzonte del PD? La risposta è complessa, anche se uno scenario appare probabile alla luce anche dell’avvicinamento registrato nella scorse settimane di Casini e dell’UDC e il progressivo autonomismo di Di Pietro dalla linea del PD.
In una prospettiva al momento di sapore fantapolitico si potrebbe prevedere una scissione dell’attuale PD in una forza di sinistra più tradizionale, da una parte, e nella nascita di un movimento neocentrista, dall’altra, in cui potrebbero confluire i residui della vecchia Margherita ed i nuovi alleati ex-UDC, con Casini, Rutelli, Bindi e magari un ripescato Mastella, che in Campania ed in alcune aree del Sud continua a conservare un potere significativo, ed un Veltroni, sicuramente ridimensionato, ma ormai troppo esposto sulla linea di un moderatismo illuminato di stampo americano.
Di Pietro potrebbe restare il solo rappresentante di una sinistra aggressiva e riformista, in grado di catalizzare il voto di frange ex PRC, ecologisti, verdi ed orfani di Diliberto che oggi, in assenza di riferimenti, hanno preso una sbandata e si sono traghettati alla Lega di Bossi. Il ricostituito centro, in questa prospettiva, diventerebbe una sorta di ago della bilancia nella costruzione delle future coalizioni di governo, dato che anche il PdL, dopo che la scomparsa dalla scena politica di Berlusconi si sarà consumata, per ragioni obiettive di età anagrafica del personaggio, otre che di calo di consensi a causa di una politica di governo che avrà mostrato i suoi drammatici limiti, dovrà fare i conti con le probabili guerre intestine di successione e di secessione.
Prevedere questo processo di riassestamento del quadro politico e lavorarci sopra per indirizzarne le risultanze può configurarsi oggi come l’arma vincente per chiunque si dichiari in grado di assumerne la leadership. Certo, questa paternità di leadership non potrebbe essere riconosciuta né a Veltroni, né a D’Alema, né ad alcuna delle figure politiche oggi presenti ai vertici del PD, causa il patrimonio di devastanti insuccessi che si portano in eredità. Né, tantomeno, ci si può illudere che il processo di ricostruzione dello scenario possa realizzarsi in tempi brevi, perché la velocità di acquisizione del consenso è inversamente proporzionale alla velocità con la quale questo si perde. Ciò era stato previsto in tempi non sospetti per Prodi e la sua coalizione, quando protervamente si dedicavano allo scempio della fiducia degli elettori, con scelte politiche incoerenti rispetto al mandato elettorale e addirittura in controtendenza rispetto alle priorità degli strati sociali che avrebbero dovuto rappresentare. Gli stessi errori, d’altro canto, stanno commettendo gli attuali governanti, con le politiche di incrementale impoverimento delle classi già deboli e del ceto medio o con l’abboccamento alle lusinghe di qualche scriteriato tecnocrate, che predica ancora di riformare il sistema pensionistico e ritardare l’accesso alle pensioni per alleggerire il debito pubblico, - incapace di cogliere il rischio di una vera e propria guerra civile che potrebbe originarsi da ulteriori provvedimenti di controriforma dei meccanismi in questione. Mentre la disoccupazione infuria e si avvertirebbe il bisogno di un ammorbidimento di quei meccanismi, - che metterebbero qualche milione di famiglie al riparo dal disastro economico, - c’è ancora qualche imbecille che favoleggia sul pareggio dei conti come esigenza primaria di buon governo. Forse a questi idioti con laurea serale o per corrispondenza in economia bisognerebbe far provare per qualche mese cosa significa sopravvivere senza stipendio e senza lavoro, perché troppo giovani per la pensione e troppo vecchi per trovare occupazione, in omaggio alle tesi scriteriate che spacciano per miracolose quando occasionalmente sollevano la testa dalla greppia in cui si saziano.
In ogni caso e stendendo un velo pietoso sulle esternazioni senza senso della realtà di questi maitres à penser e nouveaux philosophes con la pancia piena, vale sicuramente la pena di investire su un progetto di ridisegno di un’alternativa di governo che, allo stato, appare comunque irraggiungibile per qualunque opposizione in campo.
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