Sentenza G8 - L’Italia di Pinochet
Venerdì, 14 novembre 2008
Sono stati necessari oltre sette anni tra indagini e udienze, ma alla fine la verità è venuta alla luce, ha avuto il sopravvento sulle enormi bugie messe insieme da certi inquirenti che volevano screditare l’operato di un gruppo di poliziotti, accusati di violenze inaudite nei confronti di qualche decina di terroristi in erba, sorpresi nella notte tra il 21 ed il 22 luglio del 2001, a bivaccare all’interno delle scuole Diaz e Pascoli di Genova dopo aver devastato la città nel corso della manifestazione contro il G8.
Sì, c’è stata qualche condanna, ma è stata cosa di poco conto rispetto alle richieste della pubblica accusa e comunque ha riguardato esclusivamente qualche sfortunato celerino, che non ha saputo resistere ad un certo protagonismo e s’è fatto riprendere con secchiello e paletta in mano, scambiata dai malevoli per arma impropria: era luglio, piena stagione balneare, e a Genova faceva caldo. Che c’era di strano se i tutori dell’ordine pubblico erano andati a quell’appuntamento armati di corredino da spiaggia? Se qualche innocente bottiglietta di gazzosa è stata poi scambiata per molotov, non prova nella maniera più assoluta che la polizia quella notte abbia voluto precostituire prove fasulle per giustificare la sua irruzione nei plessi scolastici in questione ed attuare il massacrante pestaggio di cui era stata accusata. Anzi è probabile che qualcuno dei presunti pestati si sia cosparso di pomodoro per simulare di essere stato aggredito o si sia ferito da solo al fine di sostenere ciò che la sentenza di ieri sui fatti ha chiaramente dimostrato insostenibile.
Le immagini dei disordini a margine del G8 sono ancora impresse nella memoria di chi ne seguì l’incalzare in diretta televisiva, con gruppi di giovani armati di spranghe usate per devastare o intenti a dar fuoco ad auto e cassonetti incontrati sul loro percorso. Scene di guerriglia urbana mai più viste nel nostro Paese, dai lontani tempi dei disordini del ’68, alle quali parteciparono certamente infiltrati, intenzionati a far crescere la tensione e scatenare una reazione repressiva altrettanto criminale a quella messo in pratica quattro presunti straccioni black-block. Tuttavia, cosa accadde realmente alla Diaz ed alla Pascoli resterà forse un mistero, sebbene la BBC abbia svelato, grazie a riprese televisive rimaste per anni segrete, che quella notte alcune centinaia di uomini in assetto antisommossa improvvisarono un blitz all’interno delle due scuole e si diedero al pestaggio di chiunque, sorpreso nel sonno, fosse nei locali, - probabilmente per dare grande mostra d’efficienza e riscattarsi dall’aver fallito di mantenere l’ordine pubblico nelle vie e nelle piazze in cui avevano sfilato i cortei. Allo stesso modo sono stati immortalati funzionari di polizia ed uomini ai loro ordini che, certamente per giustificare il massacro, introdussero in quella notte nei due plessi scolastici armi improprie e bottiglie molotov, - quest’ultime poi singolarmente scomparse, - con il preciso intento di qualificare i siti in questione come covi di insurrezionalisti in armi, intenzionati il giorno dopo a compiere nuove e gravi violenze.
Di questi fatti ora giustizia s’è compiuta. Sappiamo finalmente che l’operazione non fu coordinata da quei vertici della polizia presenti sul posto (Gratteri, Luperi, Calderozzi, Filippo Ferri, Massimiliano Di Bernardini, Fabio Ciccimarra, Nando Dominici, Spartaco Mortola, Carlo Di Sarro, Massimo Mazzoni, Renzo Cerchi, Davide Di Novi, Alberto Fabbrocini) e che oggi occupano persino posizioni di maggiori responsabilità in seno agli apparati di sicurezza dello stato. Restano in piedi alcuni processi collegati. Il primo è quello a carico di Canterini, imputato di lesioni personali aggravate e di violenza privata, per aver spruzzato gas urticante contro alcune manifestanti presenti in corso Buenos Aires.
Il secondo riguarda la carica avvenuta in quei tragici giorni in piazza Manin: in questo processo sono imputati quattro poliziotti del reparto mobile di Bologna. Un terzo processo riguarda l'ex capo della polizia Gianni De Gennaro, accusato di aver istigato l'ex questore di Genova a rendere false testimonianze nel corso della deposizione al processo sull'irruzione alla Diaz. Con lui sono indagati l'ex capo della Digos di Genova, Spartaco Mortola, e l'ex questore Francesco Colucci. L’udienza preliminare è fissata per il 25 novembre, ma c’è da credere che alla fine anche questi processi si concluderanno con un nulla di fatto, visto l’esito della sentenza per i fatti principali.
La morale che sembra evincersi dalla sentenza è che i fatti furono con ogni probabilità il frutto dell’iniziativa di quattro teste calde, disgraziati da 1200 euro al mese, che decisero di andare a rimproverare dei teppistelli, casualmente tutti insieme, intenti a godersi un ingiusto sonno ristoratore dopo una giornata di sfracelli in giro per la città. Da qui a scambiare qualche buffetto sulla guancia o uno spintone per pestaggio, ne corre ed il tribunale di Genova ha finalmente fatto giustizia di una verità rimasta dubbia per tanti anni.
La sentenza con la quale sono andati assolti i vertici della polizia e sono state comminate miti condanne ad un numero (13 in tutto) risicato dei celerini presenti quella notte, tra le centinaia di poliziotti ripresi a pestare a sangue, non è solo la vergognosa rappresentazione di una giustizia di regime, ma conferma come anche i metodi su cui si fonda questa giustizia hanno subito il fascino della deriva autoritaria, trasformando il nostro Paese in una provincia sudamericana, nella quale l’unica verità ammessa è quella raccontata dal potere politico in carica, a dispetto dei fatti documentali.
Non è inoltre ammissibile che pestaggi perpetrati e riscontrati vengano puniti con condanne simboliche, come si trattasse di marachelle commesse da ragazzini un po’ troppo esuberanti: é’ concepibile che i sanitari che quella notte refertarono falsatamente l’origine delle ferite dei contusi siano rimasti al loro posto? Rimane, infine, la responsabilità disciplinare, organizzativa, oltre che morale, di chi quei reparti di pestatori diresse quella notte, che non può in alcun modo escludersi e restare impunita, come non sarebbe per qualunque capobastone autore di spedizioni punitive ma privo d’una divisa. Non dimentichiamoci questo è il Paese nel quale si è condannato alla reclusione un Certo Toni Negri, reo di istigazione morale - ed il termine morale andrebbe sottolineato - all'insurrezione armata contro i poteri dello stato, al di là di ogni comprovata attività criminale eseguita materialmente e direttamente, pertanto sentenze come quella del tribunale genovese non possono ritenersi indenni da censura e da sussistenza di pregiudizio.
L’operazione consumata nell'infamante notte genovese riporta alla memoria le scorribande delle squadracce del ventennio, cui tutto fu consentito con la copertura della stato e l'avallo della giustizia. In nome dell'ordine e della sicurezza dei cittadini, di cui certamente ha vitale bisogno la democrazia, non è lecito autorizzare alcuna giustizia sommaria ancorché compiuta da chi quell’ordine e quella sicurezza è preposto a tutelare, né può consentirsi la costruzione di prove false che in qualche modo avallino operazioni di macelleria scientifica. E quando questi principi caposaldo vengono meno, quando si ammette questa commistione di metodi tra criminale ed offeso, peraltro utilizzando due pesi e due misure nell'erogazione della pena, allora significa che la democrazia ha imboccato l’inesorabile viale del tramonto. Niente potrà mai giustificare una risposta violenta dello stato e dei suoi apparati alla violenza di un gruppuscolo, salvo aver scelto d’abbracciare nostalgie terzomondiste in odore di golpe.
(nella foto, immagini dei disordini e a terra il corpo di Carlo Giuliani, perito tragicamente negli scontri)
Sì, c’è stata qualche condanna, ma è stata cosa di poco conto rispetto alle richieste della pubblica accusa e comunque ha riguardato esclusivamente qualche sfortunato celerino, che non ha saputo resistere ad un certo protagonismo e s’è fatto riprendere con secchiello e paletta in mano, scambiata dai malevoli per arma impropria: era luglio, piena stagione balneare, e a Genova faceva caldo. Che c’era di strano se i tutori dell’ordine pubblico erano andati a quell’appuntamento armati di corredino da spiaggia? Se qualche innocente bottiglietta di gazzosa è stata poi scambiata per molotov, non prova nella maniera più assoluta che la polizia quella notte abbia voluto precostituire prove fasulle per giustificare la sua irruzione nei plessi scolastici in questione ed attuare il massacrante pestaggio di cui era stata accusata. Anzi è probabile che qualcuno dei presunti pestati si sia cosparso di pomodoro per simulare di essere stato aggredito o si sia ferito da solo al fine di sostenere ciò che la sentenza di ieri sui fatti ha chiaramente dimostrato insostenibile.
Le immagini dei disordini a margine del G8 sono ancora impresse nella memoria di chi ne seguì l’incalzare in diretta televisiva, con gruppi di giovani armati di spranghe usate per devastare o intenti a dar fuoco ad auto e cassonetti incontrati sul loro percorso. Scene di guerriglia urbana mai più viste nel nostro Paese, dai lontani tempi dei disordini del ’68, alle quali parteciparono certamente infiltrati, intenzionati a far crescere la tensione e scatenare una reazione repressiva altrettanto criminale a quella messo in pratica quattro presunti straccioni black-block. Tuttavia, cosa accadde realmente alla Diaz ed alla Pascoli resterà forse un mistero, sebbene la BBC abbia svelato, grazie a riprese televisive rimaste per anni segrete, che quella notte alcune centinaia di uomini in assetto antisommossa improvvisarono un blitz all’interno delle due scuole e si diedero al pestaggio di chiunque, sorpreso nel sonno, fosse nei locali, - probabilmente per dare grande mostra d’efficienza e riscattarsi dall’aver fallito di mantenere l’ordine pubblico nelle vie e nelle piazze in cui avevano sfilato i cortei. Allo stesso modo sono stati immortalati funzionari di polizia ed uomini ai loro ordini che, certamente per giustificare il massacro, introdussero in quella notte nei due plessi scolastici armi improprie e bottiglie molotov, - quest’ultime poi singolarmente scomparse, - con il preciso intento di qualificare i siti in questione come covi di insurrezionalisti in armi, intenzionati il giorno dopo a compiere nuove e gravi violenze.
Di questi fatti ora giustizia s’è compiuta. Sappiamo finalmente che l’operazione non fu coordinata da quei vertici della polizia presenti sul posto (Gratteri, Luperi, Calderozzi, Filippo Ferri, Massimiliano Di Bernardini, Fabio Ciccimarra, Nando Dominici, Spartaco Mortola, Carlo Di Sarro, Massimo Mazzoni, Renzo Cerchi, Davide Di Novi, Alberto Fabbrocini) e che oggi occupano persino posizioni di maggiori responsabilità in seno agli apparati di sicurezza dello stato. Restano in piedi alcuni processi collegati. Il primo è quello a carico di Canterini, imputato di lesioni personali aggravate e di violenza privata, per aver spruzzato gas urticante contro alcune manifestanti presenti in corso Buenos Aires.
Il secondo riguarda la carica avvenuta in quei tragici giorni in piazza Manin: in questo processo sono imputati quattro poliziotti del reparto mobile di Bologna. Un terzo processo riguarda l'ex capo della polizia Gianni De Gennaro, accusato di aver istigato l'ex questore di Genova a rendere false testimonianze nel corso della deposizione al processo sull'irruzione alla Diaz. Con lui sono indagati l'ex capo della Digos di Genova, Spartaco Mortola, e l'ex questore Francesco Colucci. L’udienza preliminare è fissata per il 25 novembre, ma c’è da credere che alla fine anche questi processi si concluderanno con un nulla di fatto, visto l’esito della sentenza per i fatti principali.
La morale che sembra evincersi dalla sentenza è che i fatti furono con ogni probabilità il frutto dell’iniziativa di quattro teste calde, disgraziati da 1200 euro al mese, che decisero di andare a rimproverare dei teppistelli, casualmente tutti insieme, intenti a godersi un ingiusto sonno ristoratore dopo una giornata di sfracelli in giro per la città. Da qui a scambiare qualche buffetto sulla guancia o uno spintone per pestaggio, ne corre ed il tribunale di Genova ha finalmente fatto giustizia di una verità rimasta dubbia per tanti anni.
La sentenza con la quale sono andati assolti i vertici della polizia e sono state comminate miti condanne ad un numero (13 in tutto) risicato dei celerini presenti quella notte, tra le centinaia di poliziotti ripresi a pestare a sangue, non è solo la vergognosa rappresentazione di una giustizia di regime, ma conferma come anche i metodi su cui si fonda questa giustizia hanno subito il fascino della deriva autoritaria, trasformando il nostro Paese in una provincia sudamericana, nella quale l’unica verità ammessa è quella raccontata dal potere politico in carica, a dispetto dei fatti documentali.
Non è inoltre ammissibile che pestaggi perpetrati e riscontrati vengano puniti con condanne simboliche, come si trattasse di marachelle commesse da ragazzini un po’ troppo esuberanti: é’ concepibile che i sanitari che quella notte refertarono falsatamente l’origine delle ferite dei contusi siano rimasti al loro posto? Rimane, infine, la responsabilità disciplinare, organizzativa, oltre che morale, di chi quei reparti di pestatori diresse quella notte, che non può in alcun modo escludersi e restare impunita, come non sarebbe per qualunque capobastone autore di spedizioni punitive ma privo d’una divisa. Non dimentichiamoci questo è il Paese nel quale si è condannato alla reclusione un Certo Toni Negri, reo di istigazione morale - ed il termine morale andrebbe sottolineato - all'insurrezione armata contro i poteri dello stato, al di là di ogni comprovata attività criminale eseguita materialmente e direttamente, pertanto sentenze come quella del tribunale genovese non possono ritenersi indenni da censura e da sussistenza di pregiudizio.
L’operazione consumata nell'infamante notte genovese riporta alla memoria le scorribande delle squadracce del ventennio, cui tutto fu consentito con la copertura della stato e l'avallo della giustizia. In nome dell'ordine e della sicurezza dei cittadini, di cui certamente ha vitale bisogno la democrazia, non è lecito autorizzare alcuna giustizia sommaria ancorché compiuta da chi quell’ordine e quella sicurezza è preposto a tutelare, né può consentirsi la costruzione di prove false che in qualche modo avallino operazioni di macelleria scientifica. E quando questi principi caposaldo vengono meno, quando si ammette questa commistione di metodi tra criminale ed offeso, peraltro utilizzando due pesi e due misure nell'erogazione della pena, allora significa che la democrazia ha imboccato l’inesorabile viale del tramonto. Niente potrà mai giustificare una risposta violenta dello stato e dei suoi apparati alla violenza di un gruppuscolo, salvo aver scelto d’abbracciare nostalgie terzomondiste in odore di golpe.
(nella foto, immagini dei disordini e a terra il corpo di Carlo Giuliani, perito tragicamente negli scontri)
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