martedì, giugno 30, 2009

Berlusconi: senza vergogna

Martedì, 30 giugno 2009
Si vergogni lui, se ancora gli è rimasto in fondo ai talloni o nel rialzo dei tacchi che è solito portare un minimo di pudore e di autorispetto.
Invece, come al solito, questo campione di facinorosa intemperanza verbale, che interpreta lo stato come uno dei suoi pied à terre sparsi per il mondo e pretende di dettare legge con il sostegno del manipolo di alleati avvinghiati alla poltrona del potere, svillaneggia ancora una volta chi lo contesta e chi lo accusa di badare solo ai fattacci suoi dimenticando i problemi della gente.
L’accusa è la solita: sono al soldo di una sinistra incapace di provare vergogna. Sì, perché nella visione autoritaria e populista di Berlusconi, tutto ciò che lo contesta, che svergogna le sue malefatte, le sue miserabili debolezze di uomo qualunque, i vizietti inconfessabili da vecchio assatanato, è di sinistra o, quantomeno, da questa è aizzato a contestare lui, che come il patetico ras del quartiere si autoincensa e dichiara, - udite, udite!, - che il suo governo è “il più stabile del pianeta”. Poco rileva che questa millantata stabilità sia il frutto di una mancanza d’alternativa credibile e del consenso di illusi e opportunisti che infestano il paese. Alla fine ciò che conta è il risultato e, almeno su questo, non è possibile dargli torto.
Poi che l’Italia sia lo zimbello persino di stati da sempre rappresentati da governi farseschi e che giorno dopo giorno veda un vorticoso calo di credibilità internazionale, al punto da imporre una presa di distanza anche ad alcuni dei tradizionali partner europei, come Spagna o Francia o Germania per non parlare degli stessi USA del “bello e abbronzato”, è cosa che non sfiora la solida sfrontatezza del Cavalier Viagra, tronfio mentore di sé stesso e pervicacemente convinto che il momento in cui sarà cacciato via a furor di popolo sia ancora lontanissimo se non del tutto improbabile. E che d’indole sia affetto da un irriducibile baco protervo e sprezzante è dimostrato dalla scarsa considerazione in cui ha tenuto l’invito del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che ancora qualche ora fa, comprensibilmente stufo di questo teatrino di villanie cui, sistematicamente, si abbandona il tycoon-presidente del consiglio e interpretando la crescente intolleranza degli Italiani, ha rivolto un invito urbi et orbi, ha dare un taglio alle polemiche e agli insulti, almeno fino alla conclusione dell’importante appuntamento con il G8, previsto all’Aquila nelle prossime settimane.
Né, in ogni caso, è concepibile che un capo di governo si permetta di insultare cittadini scesi in piazza per rivendicare il diritto al lavoro o al salario con il quale campare sé stesi e le proprie famiglie. Questo spregevole atteggiamento verso chi protesta perché non riesce a sbarcare il lunario e rivendica il supporto costituzionalmente previsto da parte di un esecutivo latitante non è solo inammissibile in democrazia ma è il sintomo di una gravissima deriva autoritaria i cui risvolti sono imprevedibili così continuando e che, alla lunga, è probabile costringano anche una parte di quell’apparato notoriamente beneficiato dalle politiche di mortificazione dei diritti delle classi lavoratrici a dire basta e organizzare la fronda per defenestrare il tiranno.In tanti avevano sinceramente sperato, ignari delle sue esasperate debolezze, che l’avvento in politica di Berlusconi potesse rappresentare l’effettivo colpo d’ala ad un sistema, come quello nostrano, avvelenato dalle camarille e dai clientelismi di un cinquantennio di egemonia DC. Purtroppo per loro e per quanti saggiamente non s’erano lasciati abbagliare dagli specchietti per allodole distribuiti a piene mani dal prode Cavaliere, i risultati sono tragicamente evidenti: un paese allo stremo, schiacciato dal precariato e dalla disoccupazione, un reddito da lavoro dipendente mediamente tra i più bassi del mondo occidentale, una sfiducia – ma sarebbe più adeguato il termine disprezzo – verso la politica mai registrato in tempi moderni, una caterva di leggi e leggine ad personam, varate solo per garantire impunità assoluta a colui che giorno dopo giorno si dimostra sempre più uno zar velenoso e liberticida.

domenica, giugno 14, 2009

Alfano, amministratore di giustizia o cecchino delle libertà?

Domenica, 14 giugno 2009
La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria e con le garanzie stabilite dalla legge.
Così recita l’articolo 15 della Carta Costituzionale di questo Paese sciagurato, nel quale l’esercizio del potere legislativo è affidato ad un parlamento in cui siedono un centinaio di canaglie accertate, tra condannati anche a gravi pene detentive ed inquisiti per reati vari.
E questo parlamento, appena due giorni or sono, ha votato l’approvazione di una legge che non si può esitare a definire criminale, come rispondesse all’indole e alla difesa degli interessi di quella minoranza; che collassa la giustizia, inibendo il ricorso alle intercettazioni per le indagini e stabilendo il divieto di divulgare le informazioni di cui si fosse a conoscenza provenienti dall’utilizzo di questi meccanismi inquirenti. Il divieto, che in una prima fase prevedeva addirittura il carcere per i trasgressori, è stato addolcito con la surroga di ammende milionarie alla reclusione e si applica agli operatori dell’informazione tradizionale e a chiunque eserciti attività giornalistica amatoriale attraverso la rete informatica. In buona sostanza , il provvedimento, - licenziato con tanto di voto di fiducia dalla camera e che passa adesso al senato per la definitiva approvazione e che Berlusconi ha venduto come un atto di garanzia e di tutela dei diritti , pur sussistente, di ogni indagato, costituisce per la liberta d’informazione e di espressione, un ulteriore e micidiale colpo di macete, spacciato per preventivo divieto di diffamare, che è cosa naturalmente diversa dall’informare.
Sebbene ci sarebbe da sperare che il nostro Guardasigilli, promotore della legge in questione, sia solo vittima della più cieca ignoranza, che non gli consente di distinguere la differenza tra un giornale ed un blog, la triste verità è che Angelino Alfano, alfiere della giustizia di regime, ha con il provvedimento messo a segno un ulteriore giro di vite sulla libertà di espressione dei cittadini, ai quali adesso è lasciata solo la possibilità di esprimere il proprio incondizionato conformismo verso gli atti e le decisioni del clan al governo o tacere, dato che il dissenso espresso rischia di esser pagato a durissimo prezzo.
Sconvolge, tuttavia, non tanto l’ulteriore presa di posizione del clan verso il dissenso, - che ben si conforma ai rigurgiti nazifascisti della Lega ed all’indole da siur paron di Silvio Berlusconi, che ancora una volta a pensato ai fattacci suoi con la promulgazione di un atto legislativo che dovrebbe finalmente mettere a tacere le chiacchiere sui giochetti erotici cui sembra essere avvezzo, - quanto il conformismo con il quale gli stessi che oggi protestano, i cittadini difensori della libertà, poi, nel segreto dell’urna, continuano ad esprimere adesioni pseudo plebiscitarie ai personaggi che queste leggi promuovono. Questo comportamento del corpo elettorale, palesemente in contraddittorio, la dice lunga su due direttrici: o gli Italiani dissimulano una endemica propensione al servilismo più becero e meschino, di cui sono certamente consapevoli al punto da vergognarsi di ammettere pubblicamente di votare per i suddetti e soci; oppure hanno raggiunto un tale livello di obnubilazione cerebrale da non riuscire a rendersi conto del gravissimo danno che stanno producendo a sé stessi ed alle generazioni prossime venture, - visto che nessuna opposizione, riuscisse ad arrivare un giorno a governare, potrà mai con la necessaria rapidità ricostituire i diritti democratici previsti da una Carta costituzionale ridotta ormai al rango di quel rotolone per esclusivi scopi igienici tanto pubblicizzato.
E non basta per giustificare tanto autolesionismo la profonda sfiducia in una sinistra che non c’è e che ha smarrito irrimediabilmente la propria identità. Una classe operaia, trasformata, sì dall’evoluzione tecnologica del lavoro, in qualcosa di diverso rispetto al classico Cipputi di nostalgica memoria, ma che rimane sempre proletariato nel senso politico, non è comprensibile che accetti gli ammiccamenti di quella destra che da sempre non ha mai nascosto di privilegiare gli interessi delle elite e di un capitalismo, - peraltro sempre più smargiasso e arrogante, - con il quale non ha alcuna comunanza di matrice e di obiettivi.
Analogamente, colpisce la miopia acuta di una ex borghesia, precipitata fragorosamente a livello economico in quel proletariato urbano dal quale storicamente soleva prendere le distanze, grazie alle politiche neo-elitarie portate avanti dal governo di centro-destra (ma sarebbe più consono parlare di populismo neofascista). Governo che non ha fatto mai mistero, con le sue scelte, di voler creare una cortina di separazione netta tra la gerarchia che lo sostiene e alla sua condotta plaude e una massa informe di diseredati sociali, che lottano per la sopravvivenza quotidiana, ma anelano al passaggio nei salotti del successo con le immani sofferenze cui si sottopongono per acquisire i visibili quanto inutili indicatori di status ostentati dai gerarchi di sistema.
E’ evidente che qui il tema della mortificazione dell’espressione libera del pensiero è solo il movente per aprire uno squarcio su una problematica di identità effettiva di cui si discute poco o affatto, poiché le leggi liberticide sono sempre state le stampelle di un potere arrogante e, di fondo, cosciente di una fragilità strutturale che necessita di mille puntelli per reggersi e perpetuarsi. Questo potere, marcio nell’essenza, d’altra parte sottovaluta la sua collocazione in un contesto internazionale segnato da una forte integrazione e per questo non disponibile all’accelerazione di processi di scollamento sociale, i cui costi esulano i confini nazionali. Analogamente e sebbene non possa considerarsi su di un piano di indifferenza, le tecnologie rendono possibile l’espressione del dissenso al di là della volontà dei sui persecutori e, com’é noto, le gocce hanno il potere nel tempo di incidere anche le rocce più dure.
Piuttosto è rilevante un’analisi su quella che si evidenzia come una disgregazione d’identità, che va attribuita al paradosso di una cultura apparentemente più diffusa, ma, nei fatti, sempre più massificata in uno sterile qualunquismo fatto di vuote apparenze. Allora se le condizioni di vita migliorano, anche grazie all’elevazione della cultura, del livello di scolarità, che consente l’accesso a professioni meglio remunerate (poco rileva che tale possibilità sia solo virtuale), ciò non si traduce in una corrispondente capacità di analisi più puntuale delle problematiche sociali e politiche in cui si vive; ma sfocia nella propensione a introitare modelli di emulazione sovente negativi, costituiti da apparenza e, - quel che è il peggio della filosofia berlusconiana, - fondati esclusivamente sul godimento di effimeri piaceri e sulla traduzione in pratica di pulsioni inconfessabili. Questi divengono i veri e gli unici miti da perseguire ed è vincente la fazione politica che li esprime o è in grado di gestirli nell’immaginario della massa illusa degli arrampicatori che vi arrancano appresso.
Questo processo, che finisce per confinare il sistema in un nuovo medioevo, si avvale per la propaganda anche di insospettabili nuovi maître à penser, che, - senza volere, vittime di una insostenibile sensazione di profonda lacerazione sociale con la quale procede il sistema, - si muovono alla ricerca di un equilibrio moderato che riformuli l’obiettivo, alimentano la svalutazione delle poche voci d’opposizione, attraverso l’attribuzione loro d’intenti nichilisti di corto respiro.
In questa opposizione svalutata rientra l’azione di Di Pietro e del suo movimento, additato come
il collettore delle visioni estremiste del cambiamento del sistema politico o il portavoce di un giustizialismo massimalista con finalità solo estetiche, che mal si addice ad una realtà estremamente complessa e condannata a convivere con fenomeni di devianza endemica.
Quest’analisi costituisce uno dei classici mali di un certo intellettualismo di sinistra e finisce per spostare l’attenzione dal vero problema, - che non può continuare ad incentrarsi sul metodo o sulle analisi anamnestiche di ciò che fuor di dubbio è la consolidata patologia del nostro tempo, - che rimane la necessità di determinare l’essenziale sinergia di forze in campo per battere il disegno senza speranza e liberticida, rappresentato dal berlusconismo e dai suoi miraggi.
Così il quadro diviene ancora più incerto, con un PD, - secondo alcuni, - che non appare in grado di dare un’interpretazione unitaria e progettuale al coacervo di interessi che rappresenta l’elettorato di questo partito, in crisi confusionale permanente a causa dell’ondivaga ricerca di un’identità d’opposizione ora di matrice laico-riformista, ora di stampo catto-progressista, che recluta i relitti di una “borghesia ormai naufragata nella miseria degli interessi particolari e nella volgarità opportunistica delle alleanze di comodo”. Il tutto all’interno di un partito in cui la lotta per la leadership ha snaturato il compito primario di promuovere opposizione vera e concreta, sotto l’abbaglio di un buonismo di modello yankee che mal si sposa con la tradizione di scelta di campo chiara e definita, di animosa matrice mediterranea.
Analogamente, non è possibile contare sull’apporto di quella sinistra, non a caso definita massimalista, smarritasi nel labirinto infantile di nostalgie da albori di rivoluzione industriale, quasi si fosse fermato l’orologio della storia. Né può guardarsi con un qualche ottimismo a quel Casini in perenne tentativo di ritagliarsi un ruolo di rincalzo, nel panorama di un quadro politico costantemente alla ricerca di cunei sui quali reggersi a prescindere dalla reale consistenza dei consensi. L’UDC è la sublimazione di una politica fatta di affarismi e compromissioni, dai labili confini tra lecito e sottobosco equivoco, nel quale si sono consolidate l’ascesa e il tracollo di quella DC che ha perpetrato le peggiori scorribande per oltre un quarantennio nella vita politica del paese e di cui Berlusconi non è che la inevitabile deriva.
E’ in questo sconfortante scenario di consolidata decadenza politica e, soprattutto, morale che non deve stupire il ricorso alla decretazione liberticida, poiché è nella disfatta dei valori che il potere dominante trova gli spazi per inoculare i semi dell’autoritarismo, di cui le libertà di parola e di pensiero rappresentano le ultime pericolose armi di instabilità.
Non avere questa misura della realtà e dell’incidenza nefasta che si sta consumando quotidianamente con l’avanzare di questa religione dell’effimero è la peggiore delle condanne che possa subire la società civile nell’epoca moderna.

lunedì, giugno 08, 2009

Risultati elettorali: deluso il PdL, in calo il PD, vittoriosi Lega e Di Pietro


Lunedì, 8 giugno 2009
A meno di 7.000 seggi da scrutinare sui 61.428 previsti già si delineano vincitori e vinti della tornata elettorale per le Europee.
Com’era prevedibile, il partito di maggioranza relativa è, ancora una volta, quello degli astensionisti, che si attesta al 43% a livello europeo, mentre nel nostro paese l’astensione registra un 33,5%, che conferma come il disgusto per la politica, per un sistema rappresentativo avvertito come lontano dai bisogni veri della società civile non sia solo un fenomeno italiano.
Sul versante dei partiti politici, balza all’occhio la vistosa battuta d’arresto del PdL, che registra un 34,7% assai lontano da quel 40% ed oltre spacciato per possibile da un illuso ed illusore premier. Il PdL, - per quanto non sia immediatamente possibile un raffronto con le elezioni del 2004, dove la formazione politica non era presente, - porta a casa un risultato di appena lo 0,3% in più se raffrontato con i voti dei partiti che oggi ne costituiscono l’aggregato. Infatti AN aveva consuntivato un 11,5% e FI un 21%, per un totale del 32,5%. Se a questo risultato si aggiunge un probabile 0,3-0,5% di Mastella (oggi confluito nel PdL e nel 2004 aggregato all’Ulivo) e il 2% circa dei Socialisti, il dato di raffronto tra il PdL attuale e le forze in campo nel 2004 vede una sostanziale invarianza di risultato: 34,8-35,0% nel 2004, 34,8% nella tornata 2009.
Diverso il caso del PD, anch’esso non presente nel 2004, ma componente dell’Ulivo come Margherita e DS: oggi consuntiva un 26,4% (le previsioni erano fortemente più negative) a fronte di un 31,1% del 2004. Questo risultato, sebbene migliore alle previsioni, è comunque fortemente negativo per la dirigenza PD, un atto ufficiale di condanna dell’elettorato che richiederà a Franceschini e soci una rapida e doverosa autocritica e un ricambio di leadership. Alle elezioni politiche del 2008 il PD con l’alleato Di Pietro aveva consuntivato un 37,5%. La somma dei voti PD e di IdV, - quest’ultimo tra i vincitori della tornata europea insieme con la Lega di Bossi, - pari al 34,2% dei suffragi, è comunque lontana dal 37,5% ricordato prima, con dati che confermano come a rimetterci in consensi sia stato nettamente il PD.
Vincitori indiscussi del confronto sono Di Pietro, che con il suo IdV registra un balzo al 7,9% (+5,8% rispetto alle precedenti Europee del 2004 e + 3,5% rispetto alle politiche 2008) e la Lega, che registra uno straordinario 10,8% (+5,8% rispetto alla precedenti Europee e + 2,5% rispetto ai dati delle politiche), che confermano quanto l’elettorato punti ormai a dare fiducia a partiti che lavorano per tradurre in concreto le proposte piuttosto che le aggregazioni affette dai mali incurabili di sempre: tante chiacchiere, ma pochi risultati.
Certo, va sottolineato che i disagi patiti da PD, con il passaggio delle consegne tra Veltroni e Franceschini non è giovato all’immagine del partito, apparso non solo inconsistente in termini di capacità d’incidere nell’indirizzo delle scelte di governo con un’opposizione seria e credibile, ma troppo impegnato a gestire infruttuosi scontri interni per il potere, che hanno offerto un’immagine non diversa da quella rissosità cronica presente nell’opposta fazione politica.
Parimenti, al PdL non hanno fatto buona propaganda elettorale le vicende private del suo leader Berlusconi e lo scontro ormai da tempo in atto con il presidente della Camera, Gianfranco Fini, già da tempo avviato sul difficile cammino di proporsi come sostituto naturale di un Berlusconi assai compromesso con la pubblica opinione e in forte affanno di credibilità con i partner internazionali.

domenica, giugno 07, 2009

“Berluscolandia” – Come il mondo vede l’Italia e il nostro premier


Domenica, 7 giugno 2009
A comprovare come la questione Berlusconi sia diventata ormai un caso internazionale, con ciò che consegue sulla nostra considerazione di cittadini, - assimilati in più casi a servi della gleba che reggono il moccolo ad un politico che ha comprato il paese e lo tiene sotto il tallone, - pubblichiamo un articolo apparso oggi su El Paìs, con il quale, nella guerra tutt’altro che finita tra il premier e la stampa spagnola, Miguel Mora, già corrispondente per l’Italia del quotidiano iberico, esprime uno sferzante punto di vista sulle malefatte del presidente del Consiglio e sulle vicende che da settimane lo vedono al centro della cronaca rosa-comica del pianeta.L’articolo è abbastanza lungo, ma vale la pena leggerlo sino alla fine, per le ficcanti considerazioni espresse, che non sembrano riflettere solo il pensiero dell’estensore.

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Decine di voli di stato e privati portano ogni fine settimana in Sardegna un esercito di bellezze che intrattengono il capo del governo italiano ed i suoi amici. Dopo le accuse della first lady e del Noemigate, l'Italia rivela al mondo il suo clima di basso impero. Costerà caro a Berlusconi?
Giardini infiniti, laghi artificiali, organi sessuali all'aria, giochi lesbici, effetti speciali, pizza e gelato gratis... Una residenza geriatrica ricolma di corpi stupendi. Le fotografie censurate in Italia per iniziativa di Silvio Berlusconi mostrano la routine disinibita della villa sarda del capo del governo, in Costa Smeralda.
Lunedì 1, giardini del palazzo presidenziale del Quirinale, festa della Repubblica: centinaia di personalità del regime salgono a salutare il premier, braccato dalle reazioni suscitate dalle notizie sulla sua amicizia con Noemi Letizia, una giovane di 18 anni. Un 70% di queste personalità si dirige a salutare Berlusconi con la figlia a braccetto, invece della moglie. Benvenuti in Berluscolandia, il paese in cui tutte le ragazzine vogliono diventare veline.
Visitiamo adesso Villa Certosa, la misteriosa residenza sarda del magnate milanese, che è anche premier e attuale presidente di turno del G-8, e leader eletto per alzata di mano del partito del Popolo per la Libertà. Da quando si è saputo che Noemi Letizia, la ragazza che chiama Papi Berlusconi, ha trascorso lo scorso capodanno nella villa con altre 30 veline, tutti gli italiani fantasticano con questo nome: Villa Certosa.
La tenuta è il sogno di ogni camorrista, specialmente se si trova in prigione: ulivi e palme, piscine ovunque, gelati e pizza gratis, laghi artificiali, un anfiteatro in cui suona e canta le sue canzoni napoletane con parole di Berlusconi l'indimenticabile Mariano Apicella, che ha pubblicato due cd.
Il mare turchino, la grande casa principale, le stanze segrete, il canale sotterraneo che comunica direttamente la villa con il mare - ispirato a un film di James Bond ?, - il parco di sessanta ettari, i bungalow che il padrone di casa mette a disposizione delle sue ospiti (sempre più numerose le ragazze che gli uomini, in un rapporto di 4 a 1), tutto ciò riformato e rinnovato nel 2006 al modico prezzo di 12 milioni di euro.
Una fonte di piena fiducia, inoltre, assicura che la villa nasconde un rifugio atomico nel sottosuolo e che le provviste vengono rinnovate molto spesso. E poi ci sono le veline, quelle bellezze che, può darsi, riusciranno forse a far conoscere questo strano periodo della storia con il nome di berlusconismo-velinismo.
La bellezza della parola velina è tanto suggestiva quanto la sua origine. La velina era la nota che veniva inviata ai giornali dall'ufficio censura del fascismo, e nella quale si indicava cosa si potesse scrivere e cosa no. Questa qualifica nostalgica è stata appioppata, con il passare del tempo, alle assistenti della televisione berlusconiana, che comparivano in zone appositamente studiate al loro compito di elemento decorativo, ad esempio vicino al tavolo in cui il giornalista legge le notizie: «Arriva la velina!». Fino ad oggi.
Anche se è sempre stato il segreto di Pulcinella, l'Italia è convissuta senza alcun ritegno morale con il fatto che Silvio Berlusconi abbia conosciuto, corteggiato, invitato, raccomandato, assunto, aiutato e promosso centinaia di veline lungo la sua carriera politica. L'elenco è troppo lungo ed anonimo per poter riprodurlo qui.
Durante una decade con visite, feste e gite, quasi tutte (quelle note, ndr), e molte altre (non note, ndr), saranno logicamente passate da Villa Certosa. I migliori corpi dell'Italia. I visi più innocenti e più belli. Aspiranti modelle, attrici, vedette, majorette, presentatrici. Ragazze giovanissime, dai 17 e 18 anni fino ai 28 o 29, non oltre: farfalle appena uscite dalla crisalide famigliare, che sono entrate a far parte dell'harem dello sceicco. «Quando le accoglie al suo seno», rivela Concita de Gregorio, direttrice de L'Unità, «offre loro un gioiello a forma di farfalla, a modo di contratto o sigillo. È il segno del sultano».
La politica-spettacolo di Berlusconi, il suo atteggiamento personalista e plebiscitario, il fascino del magnate generoso e donnaiolo, hanno sedotto durante quindici anni le masse di telespettatori e votanti italiani con le sue battute, il suo stile maschilista, le sue gaffe, la sua ascensione sociale, i suoi trionfi elettorali, persino le vittorie e gli ingaggi delle sue squadre di calcio (questa settimana ha bloccato fino a lunedì la comunicazione della vendita di Kaká, per non farsi scappare un solo voto).
Tutto ciò forma parte naturale del suo bagaglio a-politico e a-culturale, del suo populismo aperto e mondano che, paradossalmente, si appoggia a sua volta in un non-programma non-politico, tradizionalista e cattolico, lontanamente ispirato alla trinità "Dio, patria e famiglia". Ci sarebbe da aggiungere: "e veline".
Villa Certosa è il simbolo dello status del Cavaliere più discreto, il suo rifugio non solo nucleare. È il suo tesoro, il suo segreto meglio mantenuto, il luogo in cui quest'uomo di quasi 73 anni, multimiliardario e prepotente, simpatico e mediatico, riceve le sue amiche ed i suoi amici, svolge consigli di ministri informali, chiude o prepara affari o imprese politiche, riceve i leader della destra mondiale, cura le sue crisalidi, siede le sue veline sulle ginocchia mentre la mano indaga sotto la maglietta e le passeggia nel carrello da golf lungo il parco, zona militarizzata e segreto di Stato (ma non troppo) dal 2006.
A giudicare dalle foto di Antonello Zappadu, Villa Certosa è anche il luogo in cui il magnate megalomane, il personaggio eccessivo, comico e mitomane, dimentica di essere un vecchio (e che dieci anni fa ha abbandonato la camera matrimoniale) e diventa di nuovo il macho, lo sceicco dell'harem, il Super-Silvio sempre abbronzato ed operato (anche alla prostata), mentre l'Italia sussurra preoccupata che prende troppa viagra e che i dottori temono per il suo cuore.
Villa Certosa è anche il posto in cui la sua amica Noemi Letizia, 18 anni appena fatti, è stata invitata a trascorrere le vacanze di Capodanno con altre trenta colleghe ed una decina dei grandi uomini del berlusconismo, quasi tutti settantenni come lui: gerontocrazia e ragazze stupende.
Come afferma il filosofo Paolo Flores d'Arcais, «bisogna chiedersi non che cosa succede o sia successa a Villa Certosa, ma che cosa sarebbe successo negli Stati Uniti se venisse a sapersi che Obama ha trascorso le vacanze natalizie con 30 vedette di 18 anni e senza sua moglie; o in Germania se venisse scoperto che Angela Merkel trascorre le vacanze con 30 gigolò ben piantati».
Nel caso di queste giovani donne italiane si tratta di realizzare un sogno, di raggiungere la meta: conoscere Silvio e i suoi potenti amici; lavorare in televisione e, forse, arrivare anche alla politica, il che nel paese della RAI e di Mediaset (e di buona parte del parlamento, ndr) controllate dallo stesso uomo sono una sola cosa.
Molte di queste ragazze si sono limitate, tragicamente, a impersonare il modello dei loro genitori, il conformismo di questa disillusa generazione post-68 che è rimasta rimbambita davanti alla televisione negli anni ottanta e novanta, guardando come si dissolveva la Democrazia Cristiana, come si esiliava Bettino Craxi, come la sinistra italiana, in altro tempo brillante, diventava, dopo la caduta del Muro di Berlino, una casta oligarchica, noiosa e lontana dai bisogni della gente.
Ad alcuni sembrerà ripugnante, ad altri pragmatica ed umana, questa idea del mondo e dell'ascesa sociale. Ma, esiste un modo migliore per trionfare nell'Italia della televisione che l'essere vicino, molto vicino, al grande padrone della televisione europea, forse mondiale?
Berlusconi, - lo ha scritto Eugenio Scalfari, - è il Re Sole. Come dice un politico sardo, «se ti avvicini al sole, il sole ti illumina e ti riscalda». E secondo quanto sostiene un altro maestro di giornalismo, perseguitato dalla destra, Giancarlo Santalmassi, «mezza Italia lavora per Berlusconi, l'altra metà lo desidera».
Visitare Villa Certosa assicura alle ragazze un posto vicino al sole, un telefono al quale chiamare, forse una raccomandazione dell'imperatore, un pollice in su, un casting al quale presentarsi di ritorno da Roma o da Milano, domenica notte o lunedì mattina, dopo le lunghe e divertenti notti, le chiacchiere politiche di Silvio, le passeggiate per fare acquisti al centro commerciale di Porto Rotondo (paga Papi, fino a 1.500 euro per ragazza), i balli sfrenati, qualche striptease più alcolico che pagato, il maschilismo nella sua indole peggiore.
Non è facile trovarsi fra le elette, arrivare alla categoria di vestale di Villa Certosa, insiste il politico sardo, che preferisce non identificarsi per motivi di sicurezza: «Chi va nella villa conta; chi dorme lì, conta molto, e chi ci passa le vacanze, è nel cuore del Cesare».
Il Cesare, che ha iniziato la sua carriera nell'edilizia, ha altre sette ville in Sardegna, un'altra ad Antigua, innumerevoli ville a Roma e a Milano; ma Villa Certosa è la misura di tutte le cose. Anche i ministri e le ministre del Gabinetto si dividono fra i molto assidui (come il silenzioso Gianni Letta) e gli occasionali, che sono andati solamente una volta o lo hanno fatto per partecipare a qualche consiglio di ministri (o di amministrazione) fuori stagione.
Fra le ministre, quella che ci è stata più volte è Mara Carfagna, ministro delle Pari Opportunità, di cui fa onore la fedeltà, poichè è stata l'unica ad osare difendere i suoi atti (di Berlusconi, ndr) riguardo all'assurdità del Noemigate. Secondo lei, coloro che combattono e criticano Berlusconi lo fanno per invidia e senza ragione, dato che è una persona "buona".
Per le ragazze, la miglior forma di entrarci è captare l'occhio esperto del vecchio scapestrato. Come è accaduto a Noemi o alla stessa Carfagna e a decine di ragazze. Noemi, una dolce giovinetta cresciuta in ambienti prossimi alla camorra napoletana, voleva diventare artista. E così dunque, si è fatta fare un album di fotografie e lo ha inviato ad un'agenzia di Roma. Il giornalista di Rete 4, Emilio Fede, amico intimo di Berlusconi, lo ha preso, lo ha portato via con sé, e se lo è scordato, guarda caso, sul tavolo; il suo capo ha preso il telefono ed ha fatto il numero del cellulare della giovane. Le ha detto che aveva uno sguardo angelico e che doveva mantenersi così, pura.
Questo è successo a ottobre, ha rivelato Gino, - l'operaio fidanzato di Naomi fino a quando è arrivato Papi, - in una intervista concessa a La Repubblica. Poco dopo Noemi è stata vista in una festa della moda a Villa Madama, in un'altra del Milan. In entrambe le occasioni è stata fatta sedere al tavolo presidenziale. Secondo quanto raccontato sia da Berlusconi che dai suoi genitori, l'amicizia era di “vecchia data”. Gino ed una zia di Noemi lo hanno smentito.
Fatto sta che, a dicembre, Noemi si trovava già a Villa Certosa con la sua amica Roberta, una delle tre amiche insieme alle quali ha girato un video amatoriale, disponibile ormai su Youtube, nel quale si dichiarano cose fantastiche e irraggiungibili. Anche se, a pensarci bene, forse era prima, perché la stessa Noemi ha dichiarato, quando ha iniziato ad essere famosa, che aveva visto spesso Papi, che lui non sempre poteva andare a Napoli, occupato com'era, e che cantavano assieme le canzoni di Apicella. Adesso la ragazza, in un ulteriore disperato tentativo di mettersi al riparo, ha dichiarato in un'intervista per la rivista Chi, - proprietà di Berlusconi naturalmente, - che è ancora vergine.
Un'altra forma d’arrivare a Villa Certosa, di raggiungere il rango di farfalla e passare a far parte della collezione del grande entomologo, è conoscere gli amici del Sultano. Meglio ancora se sono imprenditori VIP della cerchia strettamente giudiziaria (il giudiziario unisce molto), Marcello dell'Utri, condannato a 9 anni in primo grado per complicità con la mafia; il padrone della scuderia Renault e compagno di fatiche off shore Flavio Briatore (che ha raccomandato a Berlusconi l'avvocato britannico David Mills, creatore corrotto dell'impero Fininvest B), o il compiacente Fedele Confalonieri, presidente di Mediaset.
È anche utile conoscere quei brillanti giornalisti della terza età, stelle fulgenti del firmamento televisivo filogovernativo, persone come Fede (autore del telegiornale più surrealista del continente), o come il sempre genuflesso Bruno Vespa, capace di intervistare il padrone dodici volte all'anno ed eludere sempre la domanda scomoda.
Tutti coloro sublimano l'essenza del berlusconismo-velinismo, e in quanto tali frequentano da anni il padrone. Cercano sicurezza, grande amicizia, calma, relax e bei corpi per mitigare lo stress e l'estenuante esercizio della politica, la corruzione o il sempre faticoso (per le vertebre) giornalismo da camera.
Ci sono, chiaro è, vie intermedie, provveditori diversi, amanti dello sport del gineceo, mamme mezzane, pronte a tonificare gratis con magia il corpo del prestigiatore; ministri, viceministri e segretari di Stato pronti ad aggiungere novità alle serate: l'enorme cerchia fatta di figlie di amici, conoscenti, vassalli, impiegati, quella mancia data al portinaio, la guardia del corpo, la cuoca, la cugina del carabiniere, l'aspirante modella, che invia le sue fotografie via e-mail a Palazzo Chigi, insieme al numero del suo cellulare scritto con una grafica che imita il rossetto.
Tutta Italia sta al gioco, tutto il paese lo sa; il problema è che tutti lo raccontano, ma nessuno lo dice con il suo nome. Satrapi, imperatori, monarchi e commendatori hanno storicamente riempito di ragazzine i loro salotti, ma adesso la gente ha paura, l'omertà è condizione indispensabile perché l'ipocrisia non finisca, perché l'informazione sia tenuta sotto il controllo diretto o indiretto dell'imperatore (pubblicità istituzionale, sovvenzioni pubbliche, promesse, crediti...), se qualcuno cerca di uscirne può rimetterci l'impiego, la Chiesa di Roma non deve saperlo (e per questo si accontenta solo di reclamare sobrietà), ed inoltre c'è la crisi e viviamo in un paese sotterraneo per definizione, questo meraviglioso belpaese che si è sempre dichiarato fiero della sua arte domestica di arrangiarsi improvvisando, "O Francia, o Spagna basta che se magna".
L'entrata delle veline televisive in politica, che si trova all'origine di questa crisi morale, era la conseguenza inevitabile della storia, del sistema. Forza Italia non è mai stato un partito, ma un gruppo di tifosi, di impiegati comandati da Dell'Utri che nel 1994 ha reclutato in fretta e furia tutte le segretarie di Publitalia per compilare in tempo le liste. Nemmeno il suo successore, il Popolo della Libertà, è un partito, ma un alluvione di consiglieri mediocri, gestori sommessi e bei visi senza tradizione, ideologia, basi. La televisione e la pubblicità come unica politica; e la politica si fa in televisione. L’Italia continua ad essere il paradiso della raccomandazione, chi non ha un amico è orfano, ed il grande capo si chiama Silvio. Silvio aggiustatutto. Ascoltate l'ex professoressa di Noemi Letizia: «È molto logico, lui la aiuterà, a tutti conviene avere amici, un medico che ti scrive le ricette». Il benefattore è Berlusconi; le scuole e le case sono piene zeppe di belle Ucraine e il luogo che si mette sotto tiro è Villa Certosa!
Elisa Alloro, una delle veline che sono state nella casa madre, ha pubblicato questa settimana un interessante libro intitolato Noi, le ragazze di Silvio, nel quale rivela che anche lei e non solo lei, chiama Berlusconi Papi da molto prima che facesse la sua apparizione nella vita del Cavaliere la cenerentola Noemi.
«È una miniera di saggezza» scrive sul leader massimo la velina giornalista, 32 anni. Nata a Reggio Calabria, Alloro ha partecipato al corso di formazione politica di 25 giovani veline organizzato in vista delle elezioni europee dal PdL, con professori illustri, - fra gli altri il ministro degli Esteri, Franco Frattini, e il vicepresidente dell'Europarlamento, Mario Mauro, - su richiesta del premier.
Presentatrice, Alloro è stata prescelta dal Cavaliere, fra le altre, insieme a Eleonora Gaggioli, aspirante attrice; Camilla Ferranti, aspirante presentatrice, Angela Sozio, la rossa de Il Grande Fratello, fotografata da Zappadu nel 2007 sulle ginocchia del premier (insieme ad altre quattro), e Barbara Matera, partecipante del concorso Miss Italia della Puglia, amica del dottor Letta e finalmente (dopo il “j’accuse" di Veronica Lario) l'unica velina candidata ad un seggio fra le 25 precandidate.
La prima a chiamare Berlusconi Papi, rivela Alloro, è stata Renata, una velina brasiliana e milanista. Il soprannome si è espanso come un virus. «E adesso, molte ragazze si rivolgono a lui con questo nome; è un'abitudine, forse il frutto di un accordo tacito, una specie di nome in codice nato, forse, dall'atavico timore ad essere intercettati (dagli ascolti telefonici)», dice a Il Corriere della Sera.
Il libro, di 100 pagine, è scritto sotto forma di lettera a Veronica Lario, rifiuta le accuse di "ciarpame" e difende il capo: «Ogni minuto passato con lui è come un dono divino». Il suo racconto narra che ha conosciuto Berlusconi nel 2004, mentre lavorava a Mediaset. Doveva intervistarlo sul ponte dello Stretto di Messina, ma in un batter d'occhio si è vista catapultata in Sardegna, «ad un pranzo di lavoro con professionisti dello staff presidenziale, io l'unica donna», scrive Il Corriere.
Sono partiti insieme dall'aeroporto romano di Ciampino, sede dei voli di Stato, a bordo dell'aereo presidenziale; durante il viaggio ha scoperto che Berlusconi sapeva tutto su di lei («mi ha fatto vedere un voluminoso dossier»), e gli ha fatto un'offerta di lavoro che lei ha rifiutato. «Mi ha spiegato che stava organizzando una task force di 50 giovani giornaliste per stabilire un ufficio stampa ponte tra Roma e Bruxelles. Al tuo curriculum converrebbe enormemente, mi disse...».
Finito il pranzo, di nuovo in volo nell'aereo di stato verso San Siro, dove giocava il Milan. Scorta di auto ufficiali, sirene spiegate e poi di nuovo in viaggio aereo verso Ciampino. Dopo aver lasciato Mediaset, Elisa ha continuato a vedere Berlusconi: «Alcune volte mi ha invitato ad andare a Villa Certosa, assistere a cene con decine di invitati». Di Noemi ha un vago ricordo: «Ci hanno presentato fugacemente nel trascorso di una festa», racconta.
Ma impossibile dimenticare, scrive, le due gemelline montenegrine che hanno inscenato «un ballo pazzo e spropositato davanti agli occhi di un costernato primo ministro. E le altre apparizioni non annunciate, femminili e no, alla porta della sue stanze».
Questa è l'Italia, lo ha già detto la first lady Veronica Lario, molto meno indispettita che stanca, novella Lisistrata, patriota e rivoluzionaria, nel condannare il marciume del berlusconismo-velinismo: «Genitori pronti ad offrire al Drago le loro vestali», «ciarpame politico e maschilista senza pudore», un marito e premier che «frequenta minorenni e non sta bene». Impossibile dire di più con meno parole.
Lo staff del Cavaliere è attento alle sue necessità. I giornalisti che seguono le mosse del premier raccontano che c'è una bella ragazza nella sua squadra stampa che viaggia con lui ovunque, anche se non sa fare un bel niente. La sua consulente d'immagine copre le debolezze alla meglio e cerca di fare in modo che il Cesare sembri onesto. C'è un altro personaggio misterioso, una donna quarantenne, bruna, bella, vestita sempre con tailleur, che Zappadu ha fotografato molto spesso nell'aeroporto di Olbia. Si tratta di Sabina Began (SB), la preferita: i pettegoli romani la chiamano l'ape regina.
Il giorno della Liberazione d'Italia, il 25 aprile 2008, durante i festeggiamenti per la vittoria elettorale di Berlusconi, il presidente del Senato, Renato Schifani, Apicella ed altri gerarchi erano circondati da un mazzetto di ragazze sinuose: Don Silvio non aveva occhi che per SB, che si è fatta tatuare su una gamba "SB, l'incontro che mi ha cambiato la vita". Mentre la teneva sulle ginocchia e le canticchiava Malafemmena, Berlusconi ha detto: «Se ci fosse qui un fotografo questa foto varrebbe 100.000 euro».
Come affermato da Lario, la storia politica in gioco va molto più in là del caso Noemi; la povera Noemi è solo l'ultima vittima di questo Grande Fratello. Sarà la casa, Villa Certosa, come nelle Mille e una notte, un bunker di lusso un po'volgare con giochi erotici o è Berluscolandia qualcosa di peggio e di più lussurioso?
Probabilmente, nessuna e le tre cose insieme, rispondono diverse fonti sarde e le fotografie di Zappadu, che ci introducono in questo sottomondo. Berluscolandia è bella, non si può non ammettere, anche se la natura sarda è molto più agreste e meno fittizia che nelle cartoline dall'erba ben segata, quell'orto di erbe medicinali rotondo, quelle torri d’imitazione.
La prima cosa che sorprende è la smisuratezza. Sessanta ettari di terreno sono molti. Soprattutto nella costa Smeralda. Ci stanno due spiagge private, tre laghi artificiali, mezza dozzina di piscine, l'anfiteatro in cui si rappresentano gli spettacoli di Apicella (il cantautore che scrive per Berlusconi), delle ballerine e delle bailaoras (il pubblico del flamenco si chiede ancora chi sia e cosa faceva lì quell'intruso).
Da una parte della tenuta c'è il Country, uno dei posti prediletti del premier, una discoteca con candele, tappeti orientali ed un riservato chiamato Harem. Non soffrano le anime candide. Nessuno delle migliaia di visitatori di Villa Certosa ha mai parlato di sesso. Lì non c'è sesso. Al massimo, gelato.
Beppe Severgnini, cronista di Il Corriere della Sera, lo ha spiegato in questo modo: «Villa Certosa sta adottando, nelle fantasie nazionali, una grandezza leggendaria. Gli amici del protagonista, cercando di minimizzare, contribuiscono ad arricchire la messinscena». Marcello Dell'Utri: «C'è una gelateria. Ti servono tutto il gelato che vuoi. Gratis. Se ci si pensa, è una trovata molto divertente». Flavio Briatore: «C'è il gioco del vulcano. Si parla del più e del meno e quando il gruppo si avvicina al lago, Berlusconi fa finta di preoccuparsi, dice che la Sardegna si trova in una zona vulcanica. E in quel momento si sente un'esplosione incredibile, ci sono effetti speciali tipo fiamme...». Sandro Bondi, ministro della Cultura, cercando di spiegare la nudità di Topolanek, l'ex premier ceco: «Bah... D'altronde, pensate che la villa si trova a pochi metri dal mare. Un mare, come lei sicuramente sa, di una bellezza assoluta».
Dell'Utri non ha potuto negare che oltre a gelato e pizza, nella villa ci sono sempre tante giovinette bellissime che passeggiano, fanno il bagno, la doccia, si esibiscono. Il più difficile per Berlusconi non sarà giustificare queste fotografie, che ha già definito "inutili". Il vero problema sarebbe l'esistenza di altre più compromettenti. «Berlusconi sa che c'è una talpa a Villa Certosa. Qualcuno ha tradito dall'interno, ma non sa chi è», spiega Marco Mostallino, un giornalista locale. «Berlusconi crede che si trova probabilmente tra le guardie di sicurezza. Non per caso ha accusato sua moglie dal giornale di suo fratello di farsela con una sua guardia del corpo».
Villa Certosa è vigilata 24 ore su 24 da militari e carabinieri, come fosse una fortezza. Inoltre, ci sono guardie private ed altre che arrivano da tutte le parti. La storia della sicurezza nella Costa Smeralda è collegata all’Aga Khan, il primo promotore turistico della Sardegna, ed è iniziata con i vigilantes. «Karim Aga Khan ha assunto tutti gli uomini disponibili, e molti di loro avevano precedenti criminali», assicura Mostallino.
Alcuni anni dopo, Berlusconi è arrivato all'isola. «È arrivato con suo fratello Paolo intorno al 1981 o 1982», ricorda il politico sardo. «La sua idea era di costruire due milioni di metri cubi sul mare, in un terreno di 200 ettari a sud di Olbia, tra Le Saline e Capo Cerasso. Per fare impressione, arrivava con due libri enormi che diceva contenevano la valutazione dell'impatto economico. Viaggiava con un seguito di architetti, ingegneri, consulenti fiscali, economisti. Fino all'approvazione del progetto sono passati dieci anni, ed è stato concesso solo un quarto dell'estensione originale, e questo in montagna, lontano dal mare. Ma quando è stato approvato non aveva soldi. Era il 1993 e subito dopo è entrato in politica».
Silvio e Paolo hanno costruito la villa nei primi anni novanta. Con il tempo l'hanno trasformata pian piano in una casa degna di un film di James Bond. L'ironico Severgnini ha scritto sul Corriere della Sera che un giorno qualcuno scriverà la storia di Villa Certosa: «La cinica flessibilità italiana permetterebbe di raccontare molto, se non tutto. L'ultimo scoglio è la coerenza ufficiale. I politici, anche quelli che hanno meno pregiudizi, non sono ancora pronti ad ammettere quello che fanno, perché hanno paura che qualcuno lo metta a confronto con ciò che dicono».

Miguel Mora, El Pais 07.06.09
(nella foto, ospiti di Berlusconi a Villa Certosa. Foto pubblicata da El Paìs)

venerdì, giugno 05, 2009

Come si distrugge l’immagine del paese

Venerdì, 5 giugno 2009
Non passa ormai giorno che la stampa estera non si occupi di Berlusconi, di un uomo che con prepotenza ha monopolizzato la scena e l’interesse dell’opinione pubblica nazionale e internazionale.
Purtroppo tale visibilità, che risponde alle mai nascoste ambizioni del personaggio, non è da attribuire ai successi registrati sul campo nella sua qualità di uomo di stato o di politico equilibrato e capace. Al contrario, le prime pagine della stampa internazionale gli dedicano uno spazio solo in conseguenza dei gravissimi danni d’immagine che ha prodotto all’Italia ed agli Italiani con comportamenti e metodi che hanno più attinenza con i copioni delle più squallide soap opera che non con le gesta di uno statista di razza. Una sorta Cicerone al contrario, il cui motto non pare improntato a quel “mi odino pure, basta che mi che mi temano”, ma a un più meschino “mi disprezzino pure, basta che parlino di me”. Un uomo che pur di guadagnare la prima pagina di giornali e di rotocalchi non ha esitato a fare del proprio privato, delle proprie debolezze, delle perversioni, delle ambizioni e dei rancori, uno show permanente con il quale sollazzare i tanti fan che scambia per elettori, i tanti amanti del torbido e della pruderia che infestano questa burla geografica chiamata Repubblica Italiana.
Qui non è in discussione l’uomo Berlusconi nel suo privato, il belloccio bionico che rifiuta quella senilità anagrafica inclemente e profondamente democratica che non ha rispetto per il talento o il denaro; è in discussione il politico, l’uomo pubblico, che ha interpretato la politica come la segreteria privata nella quale preparare leggi e provvedimenti che potessero garantirgli impunità assoluta per i trascorsi non proprio chiari di imprenditore e come palcoscenico dal quale esibire il proprio talento, i vizi (tanti) e le virtù (poche). Un uomo che ha creduto di poter contare sul potere del denaro per ammansire il dissenso e convincere la gente che bastasse quello per comprare successo, prestigio e credibilità. E per rendere più convincente questa filosofia non ha esitato ad esibire sé stesso, a porsi anche nell’intimità quale modello di un sistema presuntivamente vincente.
Da più parti si accusa Berlusconi di debolezze nostalgiche e di rigurgiti per sistemi politici autoritari e liberticidi. Questa tesi, in realtà, si ferma solo alla superficie del problema, ma non entra nel dettaglio di un’analisi puntuale di ciò che veramente l’uomo crede e ambisce.
Berlusconi, più semplicemente, non ha credi politici, non ha progettualità di ampio respiro collettivo da realizzare, non ha propensioni per modelli politici d’un tipo o d’un altro. Egli è sostanzialmente portare di un’ideologia egoista e personalistica nella quale va consentito tutto, al di sopra della legge e della morale, a lui e a lui solo, poiché il denaro, la vera e unica leva del mondo, è ciò che veramente conta e permette di comprare qualunque cosa: il prestigio, gli affetti, le comodità, i piaceri e, - cosa tragicamente vera, - la gente, così storicamente incline a prostituirsi al potere e a chi lo esercita, a farsi abbacinare dal successo, quasi in un inconscia reazione a quel senso di umana invidia verso chi ha fatto fortuna. Poco conta che, - a ben guardare, - tanto successo sia spesso sorretto dall’accondiscendenza al malaffare, dal ricorso a meccanismi non sempre cristallini. Anche il malaffare nella percezione dei beoti è espressione del talento.
Ma l’uomo ha anche qualità, un acume che va certamente riconosciuto anche se la su valenza non è certo positiva. E se una qualità va riconosciuta a Berlusconi, è di aver interpretato in modo puntuale l’essenza del pathos popolare, i loro desideri, le allucinazioni, i miraggi, il sentire inconfessabile e, - iniziando proprio dall’esercizio non proprio legittimo di quel grande strumento di comunicazione e di plagio di massa che è la televisione, - è riuscito a costruire un impero dotato di un potere immenso. Un potere fatto di manipolazione, dell’illusione che il mondo inconfessabilmente ambito fosse una realtà possibile e che il suo raggiungimento fosse ostacolato da un sistema politico, - quel sistema politico che lo aveva sorretto con le sue connivenze e che lui aveva ampiamente foraggiato per anni, - concentrato a curare l’orticello del proprio privilegio piuttosto che spartirlo con la gente. Lui, invece, l’Unto del Signore, questo mondo ambito, fatto di benessere e di comodità, di belle donne facili e di gadget tanto appariscenti quanto superflui, lo ha dichiarato a disposizione di tutti, lo ha contrabbandato come un traguardo costantemente dietro l’angolo per i proseliti e i beccaccioni, che continuano, però, giorno per giorno a stringere la cinghia per far quadrare i conti.
Anche in questa circostanza c’è l’alibi. Un moloc che tira la fune controcorrente e ostacola la via d’accesso all’eden virtuale predicato dal Grande Ciarlatano: è il residuato eversivo di quel popolo comunista che rema contro, di quella propaganda sovversiva che traduce le sue panzane in dati di fatto incontrovertibili, in quel richiamo alla realtà effettiva fatta di disoccupazione, di precarietà, di morti bianche per l’assenza di sistemi di controllo delle regole minime antinfortunistiche, di sfruttamento del lavoro nero e d’evasione, che rendono la vita quotidiana un travaglio più che il viatico per quell’eden improbabile da lui predicato. Chissà se dall’alto della sua filosofia non ci rivelerà un giorno che questa realtà non fosse da interpretare come una sorta di selezione naturale, spiacevole ma necessaria, visto che anche il “suo” paradiso avrà avuto di certo capienza limitata e posti numerati.
Adesso le magagne emergono e al Grande Predicatore si palesa sempre più difficile mantenere la posizione, mantenere saldo il convincimento degli imbecilli e reclutare nuovi adepti tra le schiere degli indecisi. Naomi Letizia non è stata un’invenzione della stampa sovversiva, così come non è stata un’invenzione la corruzione dell’avvocato Mills, condannato nel corso di un regolare processo. Non è un’invenzione neanche l’abuso dei voli di stato per riempire lo scannatoio sardo di veline, di aspiranti tali e bellocce d’ogni tipo, ripagate per i servigi prestati al canto dell’aedo Apicella, con un posto magari in qualche comune, provincia, circoscrizione o parlamento nazionale ed europeo.
Confessi l’impareggiabile statista davanti all’evidenza dei fatti che un sistema elettorale nel quale sono le segreterie di partito a scegliere i candidati, sottraendoli alla scelta dell’elettorato, è stato un altro colpo provvidenziale per assestare ricatti a sodali di partito e aspiranti alla carriera e arrampicatori politici.
Confessi il grande statista davanti all’evidenza dei fatti che la sua concezione di governo è l’arroganza, la prevaricazione, il dileggio del dissenso, la criminalizzazione degli avversari, il ricorso alla menzogna sistematica per nascondere le proprie umane debolezze e sottrarsi alle conseguenze dei conti sospesi con la giustizia, quella giustizia così integerrima verso il comune cittadino, ma che va additata come fiancheggiatrice di oscure e nemiche forze rivoluzionarie quando ha osato metterlo sotto accusa.Purtroppo tutto lascia intendere che per queste confessioni dovremo ancora attendere a lungo, - e sempre che il personaggio venga prima o poi sperabilmente assalito da un rigurgito tardivo di pentita sincerità. Nell’attesa il degrado dell’Italia avrà toccato il fondo, mentre anche quei paesi ai quali anche con i Craxi, Pomicino, Gava, Nicolazzi, Signorile, De Lorenzo potevamo guardare con compatimento dall’alto della nostra tradizione democratica, ci osserveranno con disprezzo e ci additeranno a revival di quelle pagliacciate sud-americane esempio di esemplare decadenza civile e istituzionale.