Il martirio del santo
Martedì, 15 dicembre 2009
Sebbene ci fosse d’aspettarsele e puntualmente siano arrivate, le polemiche sull’attentato a Silvio Berlusconi stanno occupando le sedi istituzionali e dei partiti oltre a monopolizzare le prime pagine dei giornali.
Mentre il Capo dello Stato ha ancora una volta dovuto richiamare tutti al rispetto della moderazione e a stemperare i toni in un clima politico sempre più esasperato, mentre in un valzer di sincero rammarico e affettata ipocrisia si susseguono le dichiarazioni di solidarietà al premier, - senza se e senza ma, come va ormai di moda, - si alzano i muri nei confronti di Antonio Di Pietro, leader dell’Italia dei Valori, che fuori dal coro ha avuto l’onestà intellettuale di indicare in Silvio Berlusconi medesimo il regista dell’esasperazione del clima politico, e di Rosy Bindi, presidente del PD, che ha sì espresso solidarietà al presidente del consiglio, ma lo ha pure esortato a non calcare la mano nella parte della vittima, sottintendendo con l’invito ciò che Di Pietro aveva detto con chiarezza.
Da qui, apriti cielo. I soliti squallidi apostoli del santo hanno immediatamente scatenato un canaio assordante nelle sedi di giornali, radio e televisioni, rammentando al mondo intero che quell’anima pia di Silvio non ha mai torto un capello a nessuno, non ha mai offeso nessuno e, soprattutto, non ha mai istigato né all’odio né alla sovversione dell’ordine costituito. Il suo rispetto per la magistratura, la corte costituzionale, la presidenza della repubblica, il parlamento e giù sino ai partiti, i sindacati, i giornali sono sempre stati esemplari, ma i suoi denigratori gli hanno affibbiato giudizi ed espressioni irripetibili, naturalmente perché hanno deliberatamente frainteso il senso vero del suo messaggio apostolico.
Silvio Berlusconi, da buon figlio d’arte, s’è comportato come un suo noto avo nel tempio: ha beccato qualche dissidente vero o qualche comunista presunto, - per lui non fa differenza, - e l’ha cacciato via o l’ha ricoperto d’improperi. Santoro, Biagi, Caselli, Ingroia, Spataro, Schultz, e la lista potrebbe continuare parecchio sono alcuni dei tanti nomi di provocatori veri che ha dovuto richiamare all’ordine e che hanno generato il degrado civile e morale che ha armato la mano di Massimo Tartaglia, il folle con l’hobby del lancio del duomo di Milano.
Della sua bontà infinità, della tolleranza al di sopra dell’umano limite, del rispetto degli altri sino a preferire il martirio che venirne meno, sono testimoni attendibili e sopra ogni sospetto gli apostoli Bonaiuti, il cui equilibrio e la misura non ha pari al mondo, Fede, raro esempio di obiettività da renderlo meritevole per la segnalazione al nobel per l’informazione, Capezzone, il cui verbo è sempre pieno di celeste comprensione per gli avversari, Belpietro e Feltri, gli umili predicatori senza macchia, Ghedini, il cui vero nome è Niccolò Adams ma non sarebbe capace di far male a una mosca, e così via fino a Schifani, Cicchitto, Scajola, Maroni e qualche adepto raccattato sulla via di Damasco.
Il malvagio Di Pietro e l’irriconoscente Bindi, - alla quale il caritatevole Silvio ebbe a dichiarare di apprezzarla più per la bellezza che per l’intelligenza, - sbagliano dunque quando accusano il premier di essersi cercato con i suoi comportamenti le reazioni odiose della gente. Soprattutto sbagliano a non tenere nella giusta considerazione che, nelle disgrazie, flautare solidarietà serve a suscitare apprezzamento, dato che l’ipocrisia è una delle qualità umane maggiormente diffuse. In ogni caso simulare questo sentimento non arreca alcun vantaggio all’avversario e, dunque, non impone alcun arretramento o abiura delle proprie convinzioni.
A nostro avviso, comunque, non v’è crimine o efferatezza umana che meriti una risposta violenta o il ricorso a pratiche di danno fisico. Primariamente perché pone offeso e offensore sullo stesso piano animalesco. Secondariamente perché anche i crimini più abietti sono oggetto di culto recondito da parte di qualcuno, che vede nel suo autore l’espressione catartica delle proprie pulsioni irrealizzate: colpire l’autore di questi crimini serve spesso ad aumentarne l’apprezzamento e a trasformarlo da carnefice in vittima disgraziata.
E allora, vadano al nostro presidente del consiglio i migliori auguri di una pronta guarigione e l’auspicio di rimettersi al lavoro con alacrità e serenità al più presto. Soprattutto a lui l’augurio di lunga vita di un governo che, quantunque lui sostenga con la modestia consueta, non ve ne sia pari negli ultimi 150 anni di storia italica, dobbiamo serenamente ammettere che era dai tempi dei mitici Salomone o Giustiniano che non se ne riscontrava nella storia dell’umanità uno altrettanto equo.
Sebbene ci fosse d’aspettarsele e puntualmente siano arrivate, le polemiche sull’attentato a Silvio Berlusconi stanno occupando le sedi istituzionali e dei partiti oltre a monopolizzare le prime pagine dei giornali.
Mentre il Capo dello Stato ha ancora una volta dovuto richiamare tutti al rispetto della moderazione e a stemperare i toni in un clima politico sempre più esasperato, mentre in un valzer di sincero rammarico e affettata ipocrisia si susseguono le dichiarazioni di solidarietà al premier, - senza se e senza ma, come va ormai di moda, - si alzano i muri nei confronti di Antonio Di Pietro, leader dell’Italia dei Valori, che fuori dal coro ha avuto l’onestà intellettuale di indicare in Silvio Berlusconi medesimo il regista dell’esasperazione del clima politico, e di Rosy Bindi, presidente del PD, che ha sì espresso solidarietà al presidente del consiglio, ma lo ha pure esortato a non calcare la mano nella parte della vittima, sottintendendo con l’invito ciò che Di Pietro aveva detto con chiarezza.
Da qui, apriti cielo. I soliti squallidi apostoli del santo hanno immediatamente scatenato un canaio assordante nelle sedi di giornali, radio e televisioni, rammentando al mondo intero che quell’anima pia di Silvio non ha mai torto un capello a nessuno, non ha mai offeso nessuno e, soprattutto, non ha mai istigato né all’odio né alla sovversione dell’ordine costituito. Il suo rispetto per la magistratura, la corte costituzionale, la presidenza della repubblica, il parlamento e giù sino ai partiti, i sindacati, i giornali sono sempre stati esemplari, ma i suoi denigratori gli hanno affibbiato giudizi ed espressioni irripetibili, naturalmente perché hanno deliberatamente frainteso il senso vero del suo messaggio apostolico.
Silvio Berlusconi, da buon figlio d’arte, s’è comportato come un suo noto avo nel tempio: ha beccato qualche dissidente vero o qualche comunista presunto, - per lui non fa differenza, - e l’ha cacciato via o l’ha ricoperto d’improperi. Santoro, Biagi, Caselli, Ingroia, Spataro, Schultz, e la lista potrebbe continuare parecchio sono alcuni dei tanti nomi di provocatori veri che ha dovuto richiamare all’ordine e che hanno generato il degrado civile e morale che ha armato la mano di Massimo Tartaglia, il folle con l’hobby del lancio del duomo di Milano.
Della sua bontà infinità, della tolleranza al di sopra dell’umano limite, del rispetto degli altri sino a preferire il martirio che venirne meno, sono testimoni attendibili e sopra ogni sospetto gli apostoli Bonaiuti, il cui equilibrio e la misura non ha pari al mondo, Fede, raro esempio di obiettività da renderlo meritevole per la segnalazione al nobel per l’informazione, Capezzone, il cui verbo è sempre pieno di celeste comprensione per gli avversari, Belpietro e Feltri, gli umili predicatori senza macchia, Ghedini, il cui vero nome è Niccolò Adams ma non sarebbe capace di far male a una mosca, e così via fino a Schifani, Cicchitto, Scajola, Maroni e qualche adepto raccattato sulla via di Damasco.
Il malvagio Di Pietro e l’irriconoscente Bindi, - alla quale il caritatevole Silvio ebbe a dichiarare di apprezzarla più per la bellezza che per l’intelligenza, - sbagliano dunque quando accusano il premier di essersi cercato con i suoi comportamenti le reazioni odiose della gente. Soprattutto sbagliano a non tenere nella giusta considerazione che, nelle disgrazie, flautare solidarietà serve a suscitare apprezzamento, dato che l’ipocrisia è una delle qualità umane maggiormente diffuse. In ogni caso simulare questo sentimento non arreca alcun vantaggio all’avversario e, dunque, non impone alcun arretramento o abiura delle proprie convinzioni.
A nostro avviso, comunque, non v’è crimine o efferatezza umana che meriti una risposta violenta o il ricorso a pratiche di danno fisico. Primariamente perché pone offeso e offensore sullo stesso piano animalesco. Secondariamente perché anche i crimini più abietti sono oggetto di culto recondito da parte di qualcuno, che vede nel suo autore l’espressione catartica delle proprie pulsioni irrealizzate: colpire l’autore di questi crimini serve spesso ad aumentarne l’apprezzamento e a trasformarlo da carnefice in vittima disgraziata.
E allora, vadano al nostro presidente del consiglio i migliori auguri di una pronta guarigione e l’auspicio di rimettersi al lavoro con alacrità e serenità al più presto. Soprattutto a lui l’augurio di lunga vita di un governo che, quantunque lui sostenga con la modestia consueta, non ve ne sia pari negli ultimi 150 anni di storia italica, dobbiamo serenamente ammettere che era dai tempi dei mitici Salomone o Giustiniano che non se ne riscontrava nella storia dell’umanità uno altrettanto equo.
(nella foto, Rosy Bindi, il blasfemo presidente del PD)
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