lunedì, novembre 23, 2009

Il governo ordina: niente merenda sul lavoro


Lunedì, 23 novembre 2009
A tutti sarà capitato di sperimentare il famoso modo di dire s’è toccato il fondo! In realtà, è proprio quando si ritiene di aver toccato il fondo che ci si rende conto che, gratta e gratta, di fondo ce n’è ancora, e chissà quanto.
E’ quel che succede con il governo con i suoi vacui e litigiosi figuranti, che per ciò che fanno e dicono sembrano aver toccato il fondo, ma in realtà giorno dopo giorno ci fanno scoprire limiti che non immaginavamo affatto e che la dicono lunga sull’agonia che saremo ancora costretti a subire fino a quando un refolo di recuperata dignità non ci libererà di un’accozzaglia di spara cazzate priva del minimo pudore .
Così, dopo le risse chiozzotte tra un Brunetta indispettito dalle taccagnerie di Tremonti e la solita servitù di casa Berlusconi, pronta a scendere in campo in ogni circostanza per difendere il proprio padrone, le consuete e disgustose litanie di un premier disposto a vendere l’anima al demonio pur di non farsi processare, adesso scende nell’arena un altro personaggio di questa compagnia di commedianti dell’arte, tal Gianfranco Rotondi, già fondatore della nuova DC, che ha sempre taciuto e che avrebbe fatto bene a continuare a tacere, che si scaglia, - udite, udite!, - contro il malvezzo dei lavoratori di farsi uno spuntino per pranzo, così determinando con quell’abitudine un gravissimo pregiudizio alla produttività del lavoro.
«La pausa pranzo è un danno per il lavoro, ma anche per l'armonia della giornata. Non mi è mai piaciuta questa ritualità che blocca tutta l'Italia», ha sentenziato Rotondi, ministro per l'Attuazione del programma di governo, ospite del programma tv web KlausCondicio, che ha aggiunto: «Non possiamo imporre ai lavoratori quando mangiare, ma ho scoperto che le ore più produttive sono proprio quelle in cui ci si accinge a pranzare».
Non sappiamo in virtù di quale miracolosa folgorazione il ministro abbia tratto questa illuminante considerazione, anche se c’è da credere che nel rilasciare questa sentenza il dotto Rotondi deve aver sottovalutato che fare il ministro, con tutto ciò che ne consegue in termini d’orari, stress, fatica fisica, sia cosa ben diversa che fare il metalmeccanico, magari a turni, o l’addetto alla movimentazione bagagli in un aeroporto. Se poi invece con la boutade alludeva alla necessità che i lavoratori si caccino nel capoccione che è ora di dare un’altra stretta alla cintura, allora il ministro va ringraziato per la delicatezza del linguaggio e per l’eleganza dell’eufemismo, - così inusuale in un epoca in cui dare dello stronzo al prossimo è diventato vezzo generale.
«In Germania, ad esempio, per incentivare la produttività» – ha precisato Rotondi - «la pausa pranzo in alcuni posti di lavoro dura mezz'ora, mentre si estende a 45 minuti per chi lavora oltre le 9 ore. Tuttavia, secondo un recente sondaggio, un quarto dei tedeschi trascorre la propria pausa pranzo lavorando. Anche in Inghilterra molti dipendenti vi rinunciano o la riducono, sia nei minuti che nel numero di pause nel corso dell'intera settimana». Naturalmente sarebbe stato opportuno far notare all’illuminato ministro che in tempi non recenti, ma non per questo con abitudini non recuperabili, vi erano lavoratori impiegati nella coltivazione del cotone che non mangiavano affatto, né a pranzo né a cena, con il duplice vantaggio di realizzare una produttività invidiabile e un profitto marginale per i datori di lavoro a dir poco straordinario.
Alla stessa stregua e considerato che la musica sembra corrobori l’operosità, si potrebbe suggerire che negli stabilimenti Fiat, - giusto per fare un esempio, - l’abolizione della pausa pranzo potrebbe associarsi alla richiesta d’intonare qualche gospel, come ulteriore contributo alla produttività del lavoro. E visto che le idee non mancano, perché non abolire anche la doccia a fine lavoro? Si pensi al grande risparmio d’acqua calda e al calo dell’inquinamento indotto per produrla. D’altra parte un operaio rimane operaio e un buon olezzo di sudore non ne sminuirebbe né i meriti né il valore. Poi, affamato e puzzolente, restituirebbe al mondo il cliché con il quale la storia ce l’ha tramandato, mentre oggigiorno, impomatato e profumato, stentiamo a distinguerlo da un bancario o un operatore di borsa qualunque.
In ogni caso e comunque finisca questa nuova querelle, - quasi non ce ne fossero abbastanza coi tempi che corrono, - giusto per concludere con un proverbio, si potrebbe dire che è proprio vero che la madre degli stupidi è sempre incinta.

(nella foto, Gianfranco Rotondi, ministro per l'attuazione del programma)

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