L’infame battaglia di Rosarno
Sabato, 9 gennaio 2010
20 euro per dodici ore di lavoro al giorno, che talvolta salgono persino a quattordici. Questa è la paga incivile riconosciuta in un paese sedicente civile alla manodopera, - ma sarebbe meglio parlare di carne da macello, - proveniente da Zimbawe, il Mianmar, Nord Kivu, Darfur, Costa d’Avorio, Ghana, Sudan e via dicendo, impiegata nei lavori stagionali di raccolta della frutta. Disgraziati sbarcati nel nostro paese con il miraggio di poter cambiare vita, fuggiti dai paesi d’origine per sottrarsi alla fame, alla disperazione, alla violenza delle guerre e delle persecuzioni, attratti dalla speranza di poter trovare lavoro e qualche spicciolo per sostentarsi, oltre che da mandare a casa.
Poi, la sera, dopo una giornata di lavoro massacrante, ammassati a centinaia in porcilaie in cento, duecento, trecento, senz’acqua, servizi igienici e molto poco da metter sotto i denti, dato che con 20 euro ci si compra ben poco per mangiare in maniera decente, dovendo detrarre a questo ricco salario sino a 5 euro al giorno per il trasporto, - anche quello abusivo, - dal ghetto nel quale si trascorre la notte al luogo di lavoro e viceversa.
La maggior parte di loro, accampata in fabbriche dismesse e case rurali diroccate alla periferia di Rosarno, Reggio Calabria, è irregolare, in clandestinità e riceve un salario in nero, che mai potrà essere utilizzato per ottenere la regolarizzazione della loro permanenza in questo lembo di Italia del terzo millennio, dove la guerra feroce tra indigenti natii e diseredati extracomunitari è stata dichiarata ed è ormai un dato di fatto.
La situazione di questa manodopera a Rosarno non è diversa da quella dei tanti immigrati sparsi sul territorio del Belpaese, da Brescia al Piemonte, dalla Campania al Veneto e alla Puglia. Hanno compensato la caduta verticale dei prezzi di parecchi prodotti agricoli con salari da fame, sostituendo la manodopera indigena, non più disposta a prestare il proprio lavoro a condizioni così degradanti. E questa realtà, divenuta ormai una regola nel nostro paese, è da sempre nota alla gente, alle autorità, alla politica, quella politica che in ogni occasione si scaglia con inaudita ferocia contro quest’umanità con richieste di arresto, multe milionarie, espulsioni e rimpatri forzosi.
Adesso i negri, - come elegantemente li chiama Feltri sulla prima pagina del suo quotidiano, - hanno rotto gli indugi e sono scesi in strada per protestare, per chiedere condizioni di vita più umane e dignitose. «Se ci devono far vivere come animali in gabbia, tra i topi e la paura della gente che fuori di qui ci spara pure addosso, perché ci chiamano per raccogliere le arance?»- dice Edward, 27 anni, di Accra, che si elegge a portavoce di quest’esercito di sbandati, - «Si decidano: o serviamo, e allora vorremmo essere trattati un po' meglio e lavorare dignitosamente, oppure ce ne torniamo nei nostri paesi. Qui non ha più senso stare».
Eppure, quantunque quest’umanità così abituata alla miseria e alle privazioni, non abbia mai dato sostanzialmente fastidio, adesso è improvvisamente scesa sul piede di guerra, in rivolta contro i suoi aguzzini sfruttatori e, come purtroppo accade quando la ferocia e la violenza cieca si scatena, contro la gente, che non capisce le ragioni delle proteste, dei blocchi stradali, delle auto bruciate e reagisce persino con le armi da fuoco contro una ribellione di cui non intende accettare le ragioni.
Adesso è cominciata l’opera di bonifica da parte di polizia e carabinieri, che tra arresti isolati e retate organizzate, sta cercando di trasferire rivoltosi certi e presunti nel centro di prima accoglienza di Crotone, per poi procedere al rimpatrio forzoso della maggior parte di loro: giustizia sarà fatta nei confronti di quanti hanno attraversato le frontiere italiane sprovvisti di regolari permessi. Nulla accadrà probabilmente ai danni di coloro che li ha utilizzati, i quali avranno trovato nelle forze dell’ordine un insperato aiuto per chiudere una stagione di rivendicazioni che rischiava di innescare un pericolosissimo precedente.
L’ordine costituito sarà ripristinato e per il resto basterà pazientare un momento in attesa del prossimo carico di carne da macello, nella speranza che arance e clementine nel frattempo non cadano dai rami.
20 euro per dodici ore di lavoro al giorno, che talvolta salgono persino a quattordici. Questa è la paga incivile riconosciuta in un paese sedicente civile alla manodopera, - ma sarebbe meglio parlare di carne da macello, - proveniente da Zimbawe, il Mianmar, Nord Kivu, Darfur, Costa d’Avorio, Ghana, Sudan e via dicendo, impiegata nei lavori stagionali di raccolta della frutta. Disgraziati sbarcati nel nostro paese con il miraggio di poter cambiare vita, fuggiti dai paesi d’origine per sottrarsi alla fame, alla disperazione, alla violenza delle guerre e delle persecuzioni, attratti dalla speranza di poter trovare lavoro e qualche spicciolo per sostentarsi, oltre che da mandare a casa.
Poi, la sera, dopo una giornata di lavoro massacrante, ammassati a centinaia in porcilaie in cento, duecento, trecento, senz’acqua, servizi igienici e molto poco da metter sotto i denti, dato che con 20 euro ci si compra ben poco per mangiare in maniera decente, dovendo detrarre a questo ricco salario sino a 5 euro al giorno per il trasporto, - anche quello abusivo, - dal ghetto nel quale si trascorre la notte al luogo di lavoro e viceversa.
La maggior parte di loro, accampata in fabbriche dismesse e case rurali diroccate alla periferia di Rosarno, Reggio Calabria, è irregolare, in clandestinità e riceve un salario in nero, che mai potrà essere utilizzato per ottenere la regolarizzazione della loro permanenza in questo lembo di Italia del terzo millennio, dove la guerra feroce tra indigenti natii e diseredati extracomunitari è stata dichiarata ed è ormai un dato di fatto.
La situazione di questa manodopera a Rosarno non è diversa da quella dei tanti immigrati sparsi sul territorio del Belpaese, da Brescia al Piemonte, dalla Campania al Veneto e alla Puglia. Hanno compensato la caduta verticale dei prezzi di parecchi prodotti agricoli con salari da fame, sostituendo la manodopera indigena, non più disposta a prestare il proprio lavoro a condizioni così degradanti. E questa realtà, divenuta ormai una regola nel nostro paese, è da sempre nota alla gente, alle autorità, alla politica, quella politica che in ogni occasione si scaglia con inaudita ferocia contro quest’umanità con richieste di arresto, multe milionarie, espulsioni e rimpatri forzosi.
Adesso i negri, - come elegantemente li chiama Feltri sulla prima pagina del suo quotidiano, - hanno rotto gli indugi e sono scesi in strada per protestare, per chiedere condizioni di vita più umane e dignitose. «Se ci devono far vivere come animali in gabbia, tra i topi e la paura della gente che fuori di qui ci spara pure addosso, perché ci chiamano per raccogliere le arance?»- dice Edward, 27 anni, di Accra, che si elegge a portavoce di quest’esercito di sbandati, - «Si decidano: o serviamo, e allora vorremmo essere trattati un po' meglio e lavorare dignitosamente, oppure ce ne torniamo nei nostri paesi. Qui non ha più senso stare».
Eppure, quantunque quest’umanità così abituata alla miseria e alle privazioni, non abbia mai dato sostanzialmente fastidio, adesso è improvvisamente scesa sul piede di guerra, in rivolta contro i suoi aguzzini sfruttatori e, come purtroppo accade quando la ferocia e la violenza cieca si scatena, contro la gente, che non capisce le ragioni delle proteste, dei blocchi stradali, delle auto bruciate e reagisce persino con le armi da fuoco contro una ribellione di cui non intende accettare le ragioni.
Adesso è cominciata l’opera di bonifica da parte di polizia e carabinieri, che tra arresti isolati e retate organizzate, sta cercando di trasferire rivoltosi certi e presunti nel centro di prima accoglienza di Crotone, per poi procedere al rimpatrio forzoso della maggior parte di loro: giustizia sarà fatta nei confronti di quanti hanno attraversato le frontiere italiane sprovvisti di regolari permessi. Nulla accadrà probabilmente ai danni di coloro che li ha utilizzati, i quali avranno trovato nelle forze dell’ordine un insperato aiuto per chiudere una stagione di rivendicazioni che rischiava di innescare un pericolosissimo precedente.
L’ordine costituito sarà ripristinato e per il resto basterà pazientare un momento in attesa del prossimo carico di carne da macello, nella speranza che arance e clementine nel frattempo non cadano dai rami.
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