sabato, maggio 15, 2010

Quando si tira troppo la corda…


Sabato, 15 maggio 2010
Qualcuno si chiede se sogni o sia desto. Il prezzo del petrolio continua a scendere, - eravamo a circa 85 $ USA appena una decina di giorni or sono, contro i 71 $ odierni, - ma la consorteria dei petrolieri ha già preannunciato alcune ore fa un ulteriore ritocco al rialzo dei prezzi dei carburanti alla pompa.
Delle due l’una: o i prezzi dei carburanti sono legati al dollaro e, dunque, se il prezzo espresso in questa divisa scende deve ribassarsi anche il prezzo al dettaglio, o la bufala che costantemente racconta la consorteria dei petrolieri è stata inventata appositamente per mascherare i continui e incessanti rialzi del prezzo al consumo del carburante con giustificazioni prive di attendibilità.
Né è più convincente l’ulteriore storiella del deprezzamento dell’euro sul dollaro per giustificare il rincaro, poiché a fronte di un euro forte sul dollaro i rincari abbiamo dovuto sopportarli egualmente, senza alcun vantaggio derivante dal favorevole tasso di cambio.
E’ evidente che la cricca dei produttori approfitta di ogni situazione per incrementare i profitti a danno dell’utenza, mentre le autorità assistono inermi, se non del tutto indifferenti, ad un’operazione che, sul piano tecnico, non ha motivazione plausibile e mette in luce solo la sfrenata voracità di chi opera in un settore produttivo essenziale per la sopravvivenza nell’epoca moderna.
E questa operazione sui prezzi dei prodotti petroliferi si inserisce in pieno nel quadro delle inadempienze dell’attuale compagine di governo del Paese, avvezza da sempre più allo scoop che al presidio effettivo delle emergenze nazionali. Poi negli ultimi mesi il governo Berlusconi, coinvolto in scandali eclatanti tali da farne intravvedere l’imminente caduta, assopita l’emergenza sui provvedimenti salva-premier, ha aperto un nuovo fronte di attenzione, quello delle faide tra le sue diverse anime, che sta generando la paralisi generalizzata dei suoi apparati.
Ma la crisi internazionale e la crisi interna dell’Italia non si possono ritenere alle spalle, anzi i recenti casi Grecia, con i preoccupanti effetti domino su Portogallo e Spagna, lasciano presagire un futuro prossimo non certo tranquillo per la disastrata situazione del nostro sistema economico, sebbene il ritornello di Palazzo Chigi continui ad essere intonato alla tranquillità e l’ottimismo.
Tranquillità e ottimismo contraddetti da provvedimenti canaglia che, secondo voci vicine al palazzo del potere, sarebbero in cantiere nell’ottica di assecondare le nuove disposizioni comunitarie in tema di rigore e deficit di bilancio degli stati membri.
Così si risente parlare di manovra sulle pensioni, sulle retribuzioni dei pubblici dipendenti e di tagli ai fabbisogni dei vari ministeri, per contribuire a ridurre il fabbisogno dello stato e, dunque, il gap tra PIL e indebitamento pubblico.
Ovviamente, -a parte i soliti detrattori comunisti, a detta del presidente del consiglio, - nessuno ha il coraggio di ammettere che l’orizzonte lascia prevedere la solita stangata maramalda a danno dei più deboli. Mettere mano nuovamente al sistema di accesso alle indennità di quiescenza, allungando i tempi di accesso alla pensione, non può che definirsi l’ennesimo atto vergognoso e vigliacco di una casta politica di governo senza dignità e onore. Di fronte alla crescita del tasso di disoccupazione, che vede colpiti in particolare gli ultracinquantenni, ai quali è negata ogni speranza di reimpiego, questa misura suona come una condanna irreversibile alla disperazione, non avendo costoro nella maggioranza dei casi alcuna alternativa reddituale per far fronte all’allungamento dei tempi per l’accesso al pensionamento. Ma questa prospettiva non sembra toccare più di tanto la sensibilità di chi governa, reduce da una stagione di copertura e di facilitazioni per quanti tra Grandi Eventi, Protezione Civile e altri furbi espedienti, hanno rimpinguato i propri conti bancari con mazzette e malaffare a danno della collettività.
Il solito Brunetta, più patetico che mai, qualche giorno fa denunciava alla pubblica opinione, -certamente molto più consapevole del fenomeno di quanto l’ineffabile ministro ritenga, - che le auto blu in circolazione nel Paese assommano a oltre 630.000, con uno spreco di danaro pubblico a dir poco gigantesco, se solo per puro esercizio si provasse a fare una semplice moltiplicazione. Non risulta che a margine della demagogica denuncia il valentissimo ministro abbia assunto provvedimenti per dare taglio ad uno sconcio che suona come uno schiaffo a piena mano sul volto dei contribuenti. Come di consueto, si punta di più sull’effetto dichiarazione che su fattive iniziative atte a rimuovere un malcostume radicato e del quale si sente stomachevolmente parlare ormai da decenni.
In questo scenario neanche l’opposizione sembra trovare una via credibile di contrapposizione a chi perpetra questo sistematico scempio del Paese, avvitata com’è su cautele linguistiche, piccole divisioni interne, mancanza di idee incisive capaci di mobilitare. E il tutto delinea un quadro sconfortante nel quale rassegnazione e disperazione sono gli unici sentimenti residui, essendo venuto meno persino lo sdegno e la rabbia verso un sistema che non è più solo ingiusto e protervo, ma è anche persecutorio nei confronti dei pochi rimasti ad esprimere un pallido dissenso.
E’ certo, comunque, che la pressione che si sta esercitando sulla corda dovrà condurre presto o tardi alla sua definitiva rottura. Manca solo una chiara percezione del tempo in cui ciò accadrà. Ma quando ciò avverrà, - ed è probabile che avvenga con inedite conseguenze traumatiche per la storia del Paese, - ci augureremmo che i vessati, gli umiliati, i perseguitati da questo potere infame non godano di perdono, ma siano sottoposti al castigo esemplare della giustizia di popolo, dato che la democrazia, quella vera e non la posticcia di cui in tanti amano farcirsi la bocca i potenti di turno, non consente sconti e abbuoni a chi ne ha minato e tradito i valori.
(nella foto, uno sciopero di lavoratori dell'Alcoa contro la minacciata chiusura dello stabilimento in Sardegna)

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