Informazione e libera carta straccia
Lunedì, 15 novembre 2010
Quando si parla di giornalismo, la mente va ad una visione ideale di un mestiere basato sulla capacità di trasmettere a terzi una notizia, un’informazione su fatti descritti con fedele riproposizione di come sono effettivamente accaduti, o un’opinione più o meno condivisibile su vicende del vivere quotidiano sulle quali è necessaria una riflessione o una lettura che ne sveli le implicazioni in relazione ad accadimenti di più ampia portata. Compito del giornalista non è dunque solo quello di informare, ma anche quello di stimolare un approfondimento critico da parte di chi legge, poiché è quell’approfondimento che sarà in grado di fornire un quadro valutativo di maggiore portata ad un fatto, che in sé, potrebbe da solo restare privo di significatività.
Nel fare quest’operazione non v’è dubbio che colui che pratica il mestiere sia in qualche misura condizionato dalla sua cultura, dallo schema di valori cui fa riferimento, elementi che certamente finiscono per “pilotare” la sua percezione e il suo giudizio sui fatti. Ma il giornalista conosce bene quest’aspetto e, in omaggio a ciò che considera il fondamento della sua deontologia, cercherà nel suo lavoro di attenersi quanto più è possibile ai fatti così come oggettivamente si rappresentano.
Quest’aspetto, tuttavia, si rivela sovente solo teorico, poiché è sempre più marcata la tendenza a fornire informazione con il chiaro intento di indirizzare verso una conclusione obbligata il giudizio del lettore e ciò è particolarmente riscontrabile nell’informazione politica, dove i fatti divengono quasi trascurabili elementi di spunto per imbastire complesse e colorite ipotesi prêt-à-porter per un pubblico ormai talmente preso dalle quotidiane occupazioni da non avere il tempo di costruirsi un’interpretazione personale degli eventi. E’ una sorta di trionfo del consumismo mediatico, nel quale anche la notizia è usa e getta ed è cosa sulla qual non vale la pena soffermarsi più di tanto a meditare. La maggior parte della gente morirebbe piuttosto che pensare, e molti fanno proprio così, diceva il grande filosofo e matematico Bertrand Russell, sintetizzando così un atteggiamento generalizzato sempre più teso a ricercare in fonti esterne la soluzione dei propri eventuali dubbi e sempre che sopravviva una volontà minimale di generarne qualcuno.
In un epoca di caduta verticale di valori etici e di trionfo dell’individualismo esasperato, nel quale la socialità di fatto è ridotta a ciò che è ludico e fatuo e in cui la politica, grazie ai pessimi esempi di cinico opportunismo offerti da chi la esercita, è stata definitivamente cancellata dall’elenco di ciò che costituisce impegno per il mantenimento del sistema democratico e per la libertà individuale, non v'è più spazio per l'approfondimento, per il quesito e, peggio, per la valutazione critica.
Tutto ciò costituisce un pericolo spaventoso per la democrazia, essendo stato nei fatti delegato ad un’oligarchia affaristica il governo delle regole della convivenza e della legalità, la quale a sua volta si avvale di un sistema asservito di banditori e araldi che manipolano i messaggi in direzione funzionale al potere, inoculando nelle menti ottuse ogni vergognosa fandonia, certi di non incontrare alcun contraddittorio. La stessa stampa d’interdizione, poca e costantemente sotto un massiccio fuoco di sbarramento, non è rappresentata come dissenso, ma come voce della sovversione e del nichilismo irriducibile.
Il popolo, reclama il potere, s'esprime affinché governi chi ha vinto e non chi è stato sconfito dal risultato delle urne. Ma quest'affermazione sacrosanta è ben lungi dal dover consentire l'esercizio di un potere corrotto, cinico e improntato all'invenzione di ogni espediente possibile per garantire impunità a chi "ha vinto" da ogni misfatto delittuoso compiuto anche prima di vincere. Una visione delle regole democratiche di questa natura è più vicina all'allucinazione prodotta dall'acido lisergico, che ai sacri principi della Carta Costituzionale.
E che queste non siano considerazioni teoriche è dimostrato dall’accanimento tenace con il quale il potere dominante svillaneggia costantemente la stampa avversa, la voce del dissenso, quanti richiamino il senso delle istituzioni, l’etica di massa, ricorrendo anche a sistemi delinquenziali, come la diffamazione e il dossieraggio scientifico per rendere legittimi gli abusi cui sistematicamente si abbandona; o si avvalga di tecniche paradossali, ma incisive, come la costante smentita di ciò che ha detto, l’accusa di manipolazione, la ritrattazione continuata, con lo scopo di ribaltare l’evidenza e confermare il proprio accreditamento.
Così ci sono montagne di rifiuti ad ammorbare l’aria delle città, nonostante si sia preso l’impegno solenne di risolvere il problema con rapidità. Aree terremotate dove non è stato fatto assolutamente nulla, ma che divengono palcoscenico per insignire sedicenti eroi che si sono sacrificati per l’aiuto profuso ad una ricostruzione immaginaria. Zone alluvionate che servono da passerella mediatica per dichiarare bugiarde promesse d'intervento e sostegno. Festini da basso impero spacciati per miracolose terapie antistress, con la partecipazione di massaggiatrici imparentate con importanti capi di stato. Innocui pisolini in lettoni ingombri di innocenti fanciulle al posto di teneri orsacchiotti di peluche. E così via.
Nel frattempo la gente assiste inerte a questo scempio, o al più storce il naso senza più disgusto, tanto pensare non serve. La stampa amica smentisce i pochi che osano avanzare qualche dubbio, certi che la loro versione sarà quella creduta. Gli interessati non lesinano aggettivi persino volgari contro coloro che osano indicare quei fatti come esempio della loro pochezza e dissoluzione. Gli stessi organi preposti a tutelare la dignità di una stampa oggettiva e onesta s’esprimono pilatescamente contro chi è in sorpreso in flagranza di violazione di quelle regole. E il Paese si trascina nell’attesa che una voce innocente, al di sopra d’ogni sospetto, finalmente gridi alla nudità del re.
(nella foto, esempio di manipolazione dell'informazione tratto da una recente prima pagina de Il Giornale, nella quale si ricostruisce "l'attentato" subito da Berlusconi a margine di un comizio a Milano, con una tesi dimostratasi assolutamente falsa)
Nel fare quest’operazione non v’è dubbio che colui che pratica il mestiere sia in qualche misura condizionato dalla sua cultura, dallo schema di valori cui fa riferimento, elementi che certamente finiscono per “pilotare” la sua percezione e il suo giudizio sui fatti. Ma il giornalista conosce bene quest’aspetto e, in omaggio a ciò che considera il fondamento della sua deontologia, cercherà nel suo lavoro di attenersi quanto più è possibile ai fatti così come oggettivamente si rappresentano.
Quest’aspetto, tuttavia, si rivela sovente solo teorico, poiché è sempre più marcata la tendenza a fornire informazione con il chiaro intento di indirizzare verso una conclusione obbligata il giudizio del lettore e ciò è particolarmente riscontrabile nell’informazione politica, dove i fatti divengono quasi trascurabili elementi di spunto per imbastire complesse e colorite ipotesi prêt-à-porter per un pubblico ormai talmente preso dalle quotidiane occupazioni da non avere il tempo di costruirsi un’interpretazione personale degli eventi. E’ una sorta di trionfo del consumismo mediatico, nel quale anche la notizia è usa e getta ed è cosa sulla qual non vale la pena soffermarsi più di tanto a meditare. La maggior parte della gente morirebbe piuttosto che pensare, e molti fanno proprio così, diceva il grande filosofo e matematico Bertrand Russell, sintetizzando così un atteggiamento generalizzato sempre più teso a ricercare in fonti esterne la soluzione dei propri eventuali dubbi e sempre che sopravviva una volontà minimale di generarne qualcuno.
In un epoca di caduta verticale di valori etici e di trionfo dell’individualismo esasperato, nel quale la socialità di fatto è ridotta a ciò che è ludico e fatuo e in cui la politica, grazie ai pessimi esempi di cinico opportunismo offerti da chi la esercita, è stata definitivamente cancellata dall’elenco di ciò che costituisce impegno per il mantenimento del sistema democratico e per la libertà individuale, non v'è più spazio per l'approfondimento, per il quesito e, peggio, per la valutazione critica.
Tutto ciò costituisce un pericolo spaventoso per la democrazia, essendo stato nei fatti delegato ad un’oligarchia affaristica il governo delle regole della convivenza e della legalità, la quale a sua volta si avvale di un sistema asservito di banditori e araldi che manipolano i messaggi in direzione funzionale al potere, inoculando nelle menti ottuse ogni vergognosa fandonia, certi di non incontrare alcun contraddittorio. La stessa stampa d’interdizione, poca e costantemente sotto un massiccio fuoco di sbarramento, non è rappresentata come dissenso, ma come voce della sovversione e del nichilismo irriducibile.
Il popolo, reclama il potere, s'esprime affinché governi chi ha vinto e non chi è stato sconfito dal risultato delle urne. Ma quest'affermazione sacrosanta è ben lungi dal dover consentire l'esercizio di un potere corrotto, cinico e improntato all'invenzione di ogni espediente possibile per garantire impunità a chi "ha vinto" da ogni misfatto delittuoso compiuto anche prima di vincere. Una visione delle regole democratiche di questa natura è più vicina all'allucinazione prodotta dall'acido lisergico, che ai sacri principi della Carta Costituzionale.
E che queste non siano considerazioni teoriche è dimostrato dall’accanimento tenace con il quale il potere dominante svillaneggia costantemente la stampa avversa, la voce del dissenso, quanti richiamino il senso delle istituzioni, l’etica di massa, ricorrendo anche a sistemi delinquenziali, come la diffamazione e il dossieraggio scientifico per rendere legittimi gli abusi cui sistematicamente si abbandona; o si avvalga di tecniche paradossali, ma incisive, come la costante smentita di ciò che ha detto, l’accusa di manipolazione, la ritrattazione continuata, con lo scopo di ribaltare l’evidenza e confermare il proprio accreditamento.
Così ci sono montagne di rifiuti ad ammorbare l’aria delle città, nonostante si sia preso l’impegno solenne di risolvere il problema con rapidità. Aree terremotate dove non è stato fatto assolutamente nulla, ma che divengono palcoscenico per insignire sedicenti eroi che si sono sacrificati per l’aiuto profuso ad una ricostruzione immaginaria. Zone alluvionate che servono da passerella mediatica per dichiarare bugiarde promesse d'intervento e sostegno. Festini da basso impero spacciati per miracolose terapie antistress, con la partecipazione di massaggiatrici imparentate con importanti capi di stato. Innocui pisolini in lettoni ingombri di innocenti fanciulle al posto di teneri orsacchiotti di peluche. E così via.
Nel frattempo la gente assiste inerte a questo scempio, o al più storce il naso senza più disgusto, tanto pensare non serve. La stampa amica smentisce i pochi che osano avanzare qualche dubbio, certi che la loro versione sarà quella creduta. Gli interessati non lesinano aggettivi persino volgari contro coloro che osano indicare quei fatti come esempio della loro pochezza e dissoluzione. Gli stessi organi preposti a tutelare la dignità di una stampa oggettiva e onesta s’esprimono pilatescamente contro chi è in sorpreso in flagranza di violazione di quelle regole. E il Paese si trascina nell’attesa che una voce innocente, al di sopra d’ogni sospetto, finalmente gridi alla nudità del re.
(nella foto, esempio di manipolazione dell'informazione tratto da una recente prima pagina de Il Giornale, nella quale si ricostruisce "l'attentato" subito da Berlusconi a margine di un comizio a Milano, con una tesi dimostratasi assolutamente falsa)
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