giovedì, ottobre 21, 2010

Predicare e razzolare........

Giovedì, 21 ottobre 2010
«Signori si nasce ed io lo nacqui, modestamente!» dichiarò l’insuperabile e mitico Totò. Ed essere “signori”, nel senso in cui lo intendeva il compianto principe Antonio De Curtis, cioè uomini di qualità, onesti, retti, credibili e con il senso dell’onorabilità, non è cosa molto diffusa. Peraltro, mantenere quel titolo di merito è assai difficile nella nostra epoca, nella quale sembra si faccia quotidiana e paradossale gara per declassarsi a qualcosa che di signorile ha solo vago riscontro, se non mancanza totale di corrispondenza.
Il grande maestro della letteratura Leonardo Sciascia così scrive nel suo Il Giorno della Civetta «…l’umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà… Pochissimi gli uomini; i mezz’uomini pochi, ché mi contenterei l’umanità si fermasse ai mezz’uomini… E invece no, scende ancora più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi… E ancora più in giù: i piglianculo, che vanno diventando un esercito… E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre…».
Orbene, la premessa pur se un po’ prolissa ha una sua ragion d’essere, se si considera che lo zoo a cielo aperto nel quale trasciniamo la nostra esistenza quotidiana ci riserva continui momenti di sconcertanti mutamenti, cambiamenti di fronte nei quali saltano gli schemi e il corretto diviene improvvisamente scorretto, il giusto sbagliato, il vero falso e viceversa, come se si fosse a bordo di una trottola che gira vorticosamente facendoci perdere senso del tempo e dell’equilibrio.
Un esempio? Il comportamento dei finiani delle ultime ore in occasione del voto sul lodo Alfano e la concessione dell’autorizzazione a procedere contro i reati commessi dall’ex ministro Lunardi, indagato dal tribunale di Perugia.
Questi “signori”, che oggi costituiscono la componente scissionista del PdL passata sotto l’ala di Gianfranco Fini, hanno lasciato Berlusconi dichiarandosi stanchi di dover subire fra gli altri diktat improponibili sulla giustizia, intesa come sbarramento di fuoco contro l’universale richiesta di trasparenza sull’operato pregresso del premier. Onestà e trasparenza dell’azione della politica e dei suoi agenti, applicazione di regole di giustizia uguali per tutti, senza sconti e scorciatoie lesive dei sacrosanti principi d’eguaglianza sanciti dalla Costituzione repubblicana sono sti gli slogan dei finiani dissidenti.
Un drappello di “uomini” politici che si stacchi dal nucleo d’un partito accusato di lavorare sostanzialmente e pervicacemente per annullare i principi di giustizia e d’uguaglianza, non può che meritarsi il plauso generale, senza per questo doverne condividere l’ideologia. E da questo drappello di “uomini” coraggiosi non ci si potrebbe che attendere che coerenza, una dimostrazione inequivoca e determinata di voler percorrere la strada dichiarata, senza indugi, infingimenti ed esitazioni. Ma quando, invece, alla prima occasione quegli “uomini” compiono atti intellegibili che vanno nel senso assolutamente contrario a ciò che hanno dichiarato e promesso, allora non ci possono essere scuse e giustificazioni: ci troviamo difronte a imbonitori conclamati, imbroglioni di bassa lega, non diversi dai loro precedenti compagni di viaggio, che hanno finto di rompere i precedenti equilibri per ragioni non chiare e, molto probabilmente, inconfessabili.
Né è consentito addurre a questi vigliacche manifestazioni di raggiro della fede pubblica nobili giustificazioni di strategia o tatticismo. E’ noto al mondo che nella fase attuale nessuno intende accollarsi la responsabilità di aver determinato la caduta del governo in carica, poiché potrebbe avere serie conseguenze nell’opinione dei cittadini. Ma persino tale motivazione d’opportunità non può ritenersi ammissibile quando sono in gioco i capisaldi sui quali si è costruito un consenso, una linea Maginot oltre la quale non si sarebbe mai potuto cedere.
Accetti, dunque, adesso Fini e il suo gruppo la condanna di quanti avevano applaudito al suo strappo dal giogo di Berlusconi, di quanti avevano apprezzato il modo traumatico ma orgoglioso con il quale s’era liberato dal tallone della prepotenza berlusconiana e, se ha intenzione di recitare, - stavolta sì, - un pubblico mea culpa, corra ai ripari e dimostri d’essere “signore” e di non meritare la pozzanghera con atti concreti che cancellino la sbandata cui s’è lasciato andare.
Granata, quel Fabio cui bisogna riconoscere la primogenitura del processo di revisione portato a termine dallo strappo di Fini, non ha esitato a dichiarare ieri a margine dei fatti: «Sulla legalità e la giustizia si gioca la partita decisiva, e il perimetro della nostra identità in questi mesi è stato costruito soprattutto su questi temi». E allora «bisogna avere l'onestà intellettuale di riconoscere che il voto al Senato sul lodo Alfano e quello su Lunardi alla Camera ha creato un combinato disposto che ha disorientato l'opinione pubblica e gran parte dei nostri quadri e militanti. Mentre sul lodo, fin da Mirabello, la posizione di Fini è stata favorevole» - ricorda Granata, per quanto non nei termini con i quali è stato licenziato dalla Commissione del senato, aggiungiamo noi - «il voto su Lunardi, pur motivato come semplice richiesta di nuovi atti, è stato un grave errore politico. Auspico l'impegno pubblico e solenne, al ritorno degli atti in aula, a votare compatti a favore dell'autorizzazione a procedere contro il Ministro per i gravi fatti di corruzione che lo vedono coinvolto», ma, ammonisce l'esponente finiano, «anche sul Lodo è opportuna una franca discussione politica per capirne le conseguenze e se comunque posizioni contrarie come la mia abbiano cittadinanza. Noi» - sottolinea Granata - «abbiamo suscitato speranze e nuovo entusiasmo verso l'impegno politico e la possibilità di cambiamento: tutto questo ci dà grandi responsabilità verso chi ci sostiene o semplicemente ci guarda con simpatia».
E questa volta non c’è in gioco l’affidabilità politica, ma le cose più preziose dell’individuo: il vanto di potersi dichiarare “uomo” e “signore”.

(nella foto, il manifesto del Convegno di Futuro & Libertà a Mirabello)

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