domenica, novembre 07, 2010

L’oppio del popolo

Domenica, 7 novembre 2010
C’è chi scomoda Max Weber, per richiamare concetti che spaziano dall’etica della ragione all’etica della responsabilità, e chi s’appella ad Oscar Wilde, rammentando che il cinico è colui che conosce il prezzo delle cose ma ne ignora il valore. Ma queste dotte analisi non svelano le ragioni per le quali il nascente partito di Gianfranco Fini continui a restare nel guado e non decida quale debba essere la mossa decisiva nei confronti del moribondo governo Berlusconi.
E che la situazione politica sia confusa è dato di fatto innegabile. Le risse all’interno del governo si susseguono, mentre il Paese langue in assoluto abbandono con i suoi problemi reali, con i suoi drammi irrisolti per i quali non sembrano esserci rimedi anche di prima urgenza.
Nel frattempo crolla la Palestra dei Gladiatori a Pompei e si grida allo scandalo, all’intollerabile indifferenza con la quale la classe politica di governo tratta la storia e la cultura d’Italia e dell’umanità, complice un’amministrazione demenziale che ha tagliato i fondi per la conservazione del patrimonio artistico. E’ singolare dover prendere atto di come la decantata attenzione al contenimento della spesa pubblica abbia persino imposto la distruzione di ciò che per duemila anni era comunque sopravvissuto. E’ sconvolgente constatare che il contenimento degli sprechi impone il taglio vigoroso della spesa per la salvaguardia dell’aria che respiriamo e della prevenzione del territorio. Ma è ancor più stupefacente assistere all’ignavia di un Bondi e di una Prestigiacomo, ministri di questo incredibile governo, che non reagiscono sbattendo la porta di fronte a tagli ai loro ministeri privi di ogni logica e sensibilità.
Nello stesso tempo, sul fronte dell’opposizione, quattro sfasciacarrozze si riuniscono a Firenze e si danno l’obiettivo di rottamare quanto ci sia di vecchio nel PD, dalle idee alla leadership, quasi che nel tragico momento che viviamo sia più importante programmare l’acquisto dell’auto nuova e non la ricerca di qualche ricambio anche usato per far marciare la vecchia che si possiede.
Con il risultato che il cittadino è sempre più disorientato. Non capisce cosa c’entri la D’Addario a Perugia, - che con la sua presenza inopportuna finisce per dare ragione alle fantascientifiche illazioni di Berlusconi, che cioè, dietro alle sue vicende private, ci sia la mano di una congiura politica. Non capisce cosa voglia il pur bravo Renzi, sindaco di Firenze del PD, con il suo intempestivo discorso di rottamazione all’interno del partito, quando questi sono i momenti topici nei quali bisognerebbe dare esempio di coesione e coerenza ad una Paese dilaniato. Non capisce, ancora, quale priorità abbia assolto una legge che ha imposto norme più severe sulla prostituzione da strada, visto che non dà alcun contributo alle emergenze reali della gente. Per paradosso, nella situazione in cui ci troviamo è stata azzerata una discutibile, ma praticata, attività reddituale per qualcuno. E l’osservazione non è né provocatoria né inopportuna, visto che la prostituzione praticata in casa, quella delle escort d’alto bordo, è ipocritamente rimasta indenne.
Ma tutto ciò solleva una domanda, che non è affatto retorica come si vorrebbe far credere: perché si discute di lolite o di festini a casa Berlusconi, di lodi salva premier e di altre amenità quando la gente reclama ben altro da questa infingarda classe politica che la governa? La domanda sembra impegnativa, ma in verità la risposta è molto più semplice di quel che si potrebbe credere.
Premesso che a parlare d’amenità sono normalmente anche coloro che nei vari salotti mediatici fingono di porsi la domanda, dissimulando stupore e sconcerto, la risposta sta in due ordini di ragioni. Il primo è nel rischio connesso con l’azzardare ricette serie e credibili per far fronte ad una crisi in corso che non ha precedenti e che, - il crollo del gradimento di Obama ne è esempio, - impone una svolta così radicale nel modello di sociale in essere da costituire un serio pregiudizio per chi avanzasse ipotesi in qualche misura rivoluzionarie. L’assetto sociale corrente, basato su una sostanziale divisione tra lavoro subordinato, sul quale attraverso una tassazione che definire iniqua non fa giustizia del peso spaventoso, e lavoro autonomo, nel quale si annida oltre ogni tolleranza l’evasione, non regge più. E’ necessario che la politica, quella seria e responsabile, si faccia carico di un modello basato su un sistema contributivo più certo ed equo, dove il cittadino è tassato in base alle sue effettive disponibilità marginali, non certo su quelle potenziali. Al cittadino deve essere consentito di dedurre dall’imposizione quegli impieghi che non rappresentano arricchimento e che, peraltro, hanno sovente visto assolti gli oneri fiscali. L’esempio delle prestazioni professionali è il più evidente. Queste costituiscono un onere per chi le abbia sostenute, gravate già di IVA, mentre sono reddito per i percettori: chi volesse seriamente smantellare lo zoccolo duro dell’evasione deve consentire a chi le abbia sostenute di dedurre queste spese e si troverà automaticamente il nominativo del corrispondente percettore.
Analogo passo è necessario per le rendite da capitale e finanziarie, la cui tassazione è oggi risibile rispetto a quanto ricade su gli interessi maturati su un banale conto corrente. Decisivi, poi, dovrebbero essere gli interventi nel mercato del lavoro, che non può più sostenersi con la presenza di un precariato endemico e con il ricorso al lavoro irregolare.
L’altro aspetto che emargina l’attenzione sui problemi veri dei cittadini va ricercato nel ruolo dei media, trasformatisi nell’ultimo ventennio da veicolo di acculturazione e di sensibilizzazione della pubblica opinione, in collettori di spazzatura culturale a base di gossip, di fatue notizie pruriginose, scandali in cui siono implicate star della pubblica opinione e cronaca nera, una rincorsa alla pulp information che distorce la percezione e finisce per far sentire sempre più soli coloro che avvertono ben più gravi e immanenti malesseri sociali ed esistenziali.
Ma tutto ciò è il prodotto finale della cultura del reality, di quel grande fratello perenne senza il quale i giornali temono di non vendere ed al quale si adeguano mortificando sentimenti, coscienze e valori.
E’ un quadro amaro quello che emerge, ma soprattutto è un quadro di cui le future generazioni dovranno continuare a portare il peso, almeno sino a quando non ci sarà il necessario risveglio delle coscienze.

(nella foto, ciò che resta della Palestra dei Gladiatori a Pompei)

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