lunedì, ottobre 25, 2010

Il treno per Belgrado

Lunedì, 25 ottobre 2010
Probabilmente salterà fuori l’imbecille di turno e ci verrà a redarguire per non aver contestualizzato le affermazioni di Marchionne. E’ un po’ come la bestemmia di Berlusconi, che estrapolata dal contesto in cui è stata detta si presta alle interpretazioni più svariate e negative.
Il signor Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat e noto provocatore, ieri è stato ospite della trasmissione di Fabio Fazio, Che tempo che fa, e ad una delle tante domande del noto conduttore non ha potuto fare a meno di piazzare il piede su una buccia di banana e prendere uno scivolone madornale.
«Fiat potrebbe fare di più se potesse tagliare l'Italia» ha affermato un candido quanto arrogante Marchionne, che ha aggiunto «dei due miliardi di risultato previsti per il corrente anno, non un euro proviene dall’Italia». Poi ha ricordato che la Fiat non usufruisce di aiuti dallo stato e che se la posizione del nostro paese è modesta a livello internazionale, sia per efficienza che per competitività, sebbene la colpa non sia dei lavoratori, non si può non tenerne conto.
Le dichiarazioni di Marchionne sono state subito commentate da vari esponenti politici e sindacali. «A Marchionne ricordiamo che l'Italia è il Paese di storico insediamento del gruppo automobilistico, ove ha gli impianti e, soprattutto, un grande patrimonio di esperienze e professionalità», ha detto il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi. «Le parole di Marchionne sono ingenerose nei confronti dell'Italia e dei lavoratori che hanno contribuito a fare grande la Fiat», replica Cesare Damiano, capogruppo in commissione Lavoro del Pd. «Marchionne ha la memoria corta sugli aiuti di Stato» sottolinea invece il ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli, che aggiunge «Si potrebbe dire che gli Italiani senza la Fiat in questi anni sarebbero stati meglio. La verità è che in questi anni gli italiani la Fiat se la sono comprata già due volte», alludendo agli ingenti esborsi dello stato per sostenere il gruppo torinese, con cassa integrazione, pre-pensionamenti, agevolazioni fiscali, ecc., e in risposta al passaggio dell’intervista in cui Marchionne magnifica il prestito concesso dall’amministrazione Obama, che sarà interamente rimborsato da Fiat-Chrysler. Per il ministro leghista, Marchionne non può «prendere in considerazione solo il suo periodo di gestione» e per quanto riguarda gli incentivi «se crede di riceverne altri se lo scordi».
«Le dichiarazioni di Marchionne sarebbero coerenti se la Fiat restituisse tutti soldi che ha avuto dall’Italia», ha commentato invece il responsabile lavoro dell’IdV, Maurizio Zipponi. «Quella di Marchionne non è sfiducia rispetto all'Italia, ma verso quella parte di sindacato che si dimostra antistorica e contraria alle prospettive di sviluppo economico e industriale», è il commento di Enzo Ghigo, coordinatore piemontese del Pdl ed ex governatore della regione Piemonte. Secondo Giorgio Airaudo, responsabile auto della Fiom, «già dodici anni fa i predecessori di Marchionne dicevano che, grazie alla globalizzazione, gli stabilimenti italiani erano pagati dai profitti brasiliani», mentre infine Rocco Palombella, segretario generale della Uilm, sostiene che «Marchionne deve evitare di continuare a umiliare i lavoratori e il sindacato».
Ma francamente ciò che infastidisce e nello steso tempo indispettisce delle affermazioni di Marchionne non è l’implicita difesa degli interessi del capitale che rappresenta. In una logica economica di capitalismo diffuso, appare più che giustificato che il responsabile di un’azienda abbia a cuore la remunerazione dei gruppi finanziari investitori e sia portato a sfrondare dei rami secchi la propria organizzazione.
Appare semmai miope un discorso che non tenga conto delle origini della Fiat, del significato storico che ha questa fabbrica per il paese e dei doveri etici che comunque incombono su qualunque impresa nei confronti del territorio, specialmente quando imperversi una crisi sociale ed economica di portata planetaria.
La regola di delocalizzazione che poco velatamente reclama Marchionne, che ha già manifestato l’orientamento di trasferire parte della produzione in Serbia e in Polonia, è del tutto peregrina oltre che di visione limitata. L’ad della Fiat è convinto che la scorciatoia verso paesi che hanno fatto del sottosalario e della destrutturazione dei diritti dei lavoratori una norma di comportamento, i paesi in cui il dumping sociale è regola consolidata, possano risolvere i problemi di sopravvivenza di un complesso industriale. Quest’ipotesi non tiene conto degli innumerevoli meccanismi protezionistici possibili da mettere in pratica quando l’invasione dei prodotti provenienti da questi paesi diviene eccessiva e minacciante.
C’è inoltre da richiamare l’attenzione di Marchionne che le qualità di un vero manager non si misurano solo con la quadratura dei conti, ma anche con l’assunzione delle adeguate misure tecnologiche e d’innovazione in grado di rendere i prodotti realizzati competitivi sul mercato globale.
Se poi Marchionne ritiene che imbarcarsi su un treno per Belgrado costituisca la panacea della fabbrica che dirige, allora che passi avanti lui, ma faccia il piacere d’acquistare un biglietto di sola andata.

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