Lega pride
Martedì, 23 novembre 2010
(nella foto, Corrado Guzzanti)
Se si fosse ingenui resterebbe insoluto il quesito su ciò che ha voluto dimostrare Roberto Maroni con la sua presenza a Vieni vi con me, la trasmissione RAI nel corso della quale Roberto Saviano aveva svelato al grande pubblico che anche l’Antimafia da tempo aveva puntato il dito contro parecchie amministrazioni leghiste del Nord, indicandole come certamente colluse con le cosche affaristiche criminali, quelle che riciclano il danaro sporco in attività imprenditoriali redditizie.
Dopo minacce ridicole di querela e appelli al diritto al contraddittorio, alla fine, il ministro è stato accontentato e dal palco della trasmissione ha avuto la possibilità di esibirsi in un monologo di autodifesa, che nulla ha tolto alle verità denunciate da Saviano. Così, più che una "lista" di valori da difendere nella lotta contro le mafie, il suo è stato un mini-comizio, nel quale ha elencato tutto ciò che ha fatto il governo e il suo ministero contro la malavita organizzata, i successi nell’arresto di latitanti di primo piano, che hanno decapitato i vertici delle piovre.
Se avesse anche avuto l’umile accortezza di sottolineare che quei successi sono stati principalmente il frutto dell’impegno profuso dalle forze dell’ordine, forse avrebbe potuto conferire al suo intervento un significato più alto, ben al di là della melensa propaganda. Ma questa è cosa di statura del ministro, che naturalmente ha omesso di evidenziare come il suo partito in questa annosa guerra si sia schierato prontamente con il presidente del consiglio nel tentativo di far passare una legge contro le intercettazioni, strumento fondamentale d’indagine, fortunatamente finita su binario morto.
Nel finale è arrivato anche un riferimento diretto e polemico nei confronti di Saviano: «La 'ndrangheta interloquisce con la Lega? Affermazione falsa e offensiva per i tanti che come me contrastano da sempre ogni forma di illegalità, ed è soprattutto smentita dalle recenti operazioni fatte in Lombardia contro le organizzazioni criminali, che hanno portato al coinvolgimento e persino all'arresto di esponenti politici di altri partiti, ma non della Lega. Mi chiedo allora perché indicare proprio e solo la Lega?».
La domanda è retorica, ma non perché manchi una risposta. Il ministro finge di non capire che ciò che era stato oggetto di denuncia da parte di Saviano era la collusione tra malavita e potere e, a dispetto della falsa ingenuità di Maroni, il potere al Nord è diffusamente nelle mani della Lega, del suo partito, al quale non possono che addossarsi i conseguenti onori e oneri.
E a ben guardare Maroni deve esser grato a Saviano se ha limitato i suoi interventi per ragioni di copione e di obiettivi del programma alla sola questione delle infiltrazioni mafiose nel tessuto economico del nord Italia. Se l’analisi fosse stata più dettagliata e realmente si fosse voluto fare un programma che avesse come bersaglio le storture determinate con l’avvento del potere della Lega, la lista avrebbe potuto essere ben più corposa, così come la probabile polemica.
Il razzismo ostentato e crudele, lo sfruttamento delle condizioni degli immigrati, il vilipendio del senso dello stato e delle istituzioni, le buffonate provocatorie in difesa dei diritti della gente del nord, giusto per citarne alcuni, sono aspetti che dicono tanto sulle radici democratiche di questo partito, gestito come un’organizzazione di egoismi sfrenati da quattro sepolcri imbiancati, che hanno usato molto spesso gli stessi metodi considerati esecrandi per gli altri, per radicarsi sul territorio, pronti a sputare velenosamente nel piatto in cui hanno mangiato e continuano a gozzovigliare saporitamene.
Se così non fosse il capostipite del partito, Umberto Bossi, quel raro esempio di signorilità sempre pronto ad esibire il medio, unica cosa rimastagli dura, dovrebbe spiegare a furor di popolo i meriti politici per i quali suo figlio siede nel consiglio regionale della Lombardia. Dovrebbe spiegare la Lega, che per ben due mandati ha governato il Veneto in combutta con Galan le ragioni per le quali Vicenza, Padova e dintorni sono finite sott’acqua, nonostante toccasse a quella coalizione di governo regionale disporre gli interventi per la salvaguardia del territorio. Dovrebbero spiegare i leghisti le ragioni per le quali i rifiuti del Nord, quelli tossici, sono andati a Napoli e il loro smaltimento non è stato invece imposto a coloro nelle cui aree geografiche erano stati prodotti. E sono solo esempi di questioni alle quali sarebbe doveroso fornire chiarimenti.
Ma si sa, questi sono argomenti troppo impegnativi e fornire risposte a questi quesiti rischierebbe di mettere a nudo l’inconsistenza di un movimento che ha creato le sue fortune sulla bieca ignoranza di una melma egoistica, ubriaca di autocelebrazione e accecata dal miraggio di vuoti concetti di federalismo autonomista, ma incapace di sopravvivere senza le braccia della laboriosa gente del Sud e della disperazione dell’immigrazione.
Ha ragione Corrado Guzzanti quando con una battuta esilarante informa: «Il governo dei fatti..... catturato il pusher!»
Dopo minacce ridicole di querela e appelli al diritto al contraddittorio, alla fine, il ministro è stato accontentato e dal palco della trasmissione ha avuto la possibilità di esibirsi in un monologo di autodifesa, che nulla ha tolto alle verità denunciate da Saviano. Così, più che una "lista" di valori da difendere nella lotta contro le mafie, il suo è stato un mini-comizio, nel quale ha elencato tutto ciò che ha fatto il governo e il suo ministero contro la malavita organizzata, i successi nell’arresto di latitanti di primo piano, che hanno decapitato i vertici delle piovre.
Se avesse anche avuto l’umile accortezza di sottolineare che quei successi sono stati principalmente il frutto dell’impegno profuso dalle forze dell’ordine, forse avrebbe potuto conferire al suo intervento un significato più alto, ben al di là della melensa propaganda. Ma questa è cosa di statura del ministro, che naturalmente ha omesso di evidenziare come il suo partito in questa annosa guerra si sia schierato prontamente con il presidente del consiglio nel tentativo di far passare una legge contro le intercettazioni, strumento fondamentale d’indagine, fortunatamente finita su binario morto.
Nel finale è arrivato anche un riferimento diretto e polemico nei confronti di Saviano: «La 'ndrangheta interloquisce con la Lega? Affermazione falsa e offensiva per i tanti che come me contrastano da sempre ogni forma di illegalità, ed è soprattutto smentita dalle recenti operazioni fatte in Lombardia contro le organizzazioni criminali, che hanno portato al coinvolgimento e persino all'arresto di esponenti politici di altri partiti, ma non della Lega. Mi chiedo allora perché indicare proprio e solo la Lega?».
La domanda è retorica, ma non perché manchi una risposta. Il ministro finge di non capire che ciò che era stato oggetto di denuncia da parte di Saviano era la collusione tra malavita e potere e, a dispetto della falsa ingenuità di Maroni, il potere al Nord è diffusamente nelle mani della Lega, del suo partito, al quale non possono che addossarsi i conseguenti onori e oneri.
E a ben guardare Maroni deve esser grato a Saviano se ha limitato i suoi interventi per ragioni di copione e di obiettivi del programma alla sola questione delle infiltrazioni mafiose nel tessuto economico del nord Italia. Se l’analisi fosse stata più dettagliata e realmente si fosse voluto fare un programma che avesse come bersaglio le storture determinate con l’avvento del potere della Lega, la lista avrebbe potuto essere ben più corposa, così come la probabile polemica.
Il razzismo ostentato e crudele, lo sfruttamento delle condizioni degli immigrati, il vilipendio del senso dello stato e delle istituzioni, le buffonate provocatorie in difesa dei diritti della gente del nord, giusto per citarne alcuni, sono aspetti che dicono tanto sulle radici democratiche di questo partito, gestito come un’organizzazione di egoismi sfrenati da quattro sepolcri imbiancati, che hanno usato molto spesso gli stessi metodi considerati esecrandi per gli altri, per radicarsi sul territorio, pronti a sputare velenosamente nel piatto in cui hanno mangiato e continuano a gozzovigliare saporitamene.
Se così non fosse il capostipite del partito, Umberto Bossi, quel raro esempio di signorilità sempre pronto ad esibire il medio, unica cosa rimastagli dura, dovrebbe spiegare a furor di popolo i meriti politici per i quali suo figlio siede nel consiglio regionale della Lombardia. Dovrebbe spiegare la Lega, che per ben due mandati ha governato il Veneto in combutta con Galan le ragioni per le quali Vicenza, Padova e dintorni sono finite sott’acqua, nonostante toccasse a quella coalizione di governo regionale disporre gli interventi per la salvaguardia del territorio. Dovrebbero spiegare i leghisti le ragioni per le quali i rifiuti del Nord, quelli tossici, sono andati a Napoli e il loro smaltimento non è stato invece imposto a coloro nelle cui aree geografiche erano stati prodotti. E sono solo esempi di questioni alle quali sarebbe doveroso fornire chiarimenti.
Ma si sa, questi sono argomenti troppo impegnativi e fornire risposte a questi quesiti rischierebbe di mettere a nudo l’inconsistenza di un movimento che ha creato le sue fortune sulla bieca ignoranza di una melma egoistica, ubriaca di autocelebrazione e accecata dal miraggio di vuoti concetti di federalismo autonomista, ma incapace di sopravvivere senza le braccia della laboriosa gente del Sud e della disperazione dell’immigrazione.
Ha ragione Corrado Guzzanti quando con una battuta esilarante informa: «Il governo dei fatti..... catturato il pusher!»
(nella foto, Corrado Guzzanti)
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