sabato, novembre 20, 2010

Malaffare e potere

Sabato, 20 novembre 2010
«Sono portatore sano di cancro giudiziario», così s’è espresso il senatore Marcello Dell’Utri alla notizia del deposito delle motivazioni della sentenza con la quale è stato condannato a 7 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa.
La litania è la solita. Abbiamo imparato in questi anni che tutti gli inquisiti, anche se condannati, sono assolutamente innocenti e la loro colpevolezza è frutto delle teorizzazioni assassine di una magistratura accanita e malvagia con vocazione persecutoria, specialmente quando a cadere nelle sue grinfie sono politici militanti nell’area di centro destra.
Ma a leggere le 641 pagine della sentenza Dell’Utri emergono aspetti inquietanti, che confermano come lo stesso Silvio Berlusconi, al di là di ogni prova provata, sia stato non solo in contatto con la mafia, ma anche il beneficiario delle “mediazioni” condotte nel suo interesse da Dell’Utri.
Dell’Utri, l’amico di Bontade e di Cinà, il protettore dell’eroe Mangano, lo stalliere di Arcore morto in carcere dove soggiornava in seguito ad una condanna per una serie d’omicidi, di cui adesso il senatore dice di avere ignorato il passato. «È una favola che si è continuamente sviluppata fino ad arrivare a questa sentenza che per fortuna non è definitiva e io con tutta serenità mi aspetto che ci sia una sentenza finale diversa poi vedremo», ha commentato Dell’Utri in un'intervista rilasciata al Tg2 e rilanciata dal Tg1 a proposito dei presunti incontri negli uffici del Cavaliere, nel 1975, tra lui e alcuni boss mafiosi.
«È ormai accertato in sede giudiziaria che Berlusconi ha avuto rapporti con la mafia, non fosse altro perché ricattato dalla stessa mafia che lui ha comprato per stare bene», ha commentato il leader dell'Italia dei Valori, Antonio Di Pietro. «In una situazione di questo genere affidare il governo a un ricattato a me pare sia una cosa che non ha alcun senso», ha concluso.
Come ha detto ancora ieri il parlamentare tedesco Schultz, - quello che con esemplare eleganza verbale Silvio Berlusconi definì kapò nel corso di una sua movimentata audizione al parlamento europeo, - un presidente del consiglio come quello che c’è in Italia sarebbe già stato cacciato a furor di popolo da tempo in un altro Paese. Come dire, se non fosse che l’Italia non può che annoverarsi tra gli stati del terzo mondo, nei quali tutto è possibile agli arroganti di turno, un personaggio con le caratteristiche di Berlusconi non potrebbe mai sedersi alla guida di un governo in qualunque paese dell’Europa.
Un governo che nelle ultime ore sembra mostrare la corda oltre ogni limite, visto che anche Mara Carfagna, insignificante ministro delle Pari Opportunità, ha fatto sapere che intende lasciare l'esecutivo e, con ogni probabilità, anche il PdL a causa degli scontri che ha dovuto sostenere con la Mussolini e, evidentemente perdente, con gli affaristi e gli inquisiti che infestano come scarafaggi resistente ad ogni insetticida il governo di cui fa parte.
E poi Maroni finge d’offendersi quando Roberto Saviano parla riferendosi a documenti ufficiali dell’Antimafia di pericolosissime infiltrazioni della malavita organizzata anche nelle istituzioni locali del Nord. Il ministro degli Interni, invece di protestare come uno scolaretto che ha subito un torto dal compagno di banco, dovrebbe avere la dignità di ammettere, primariamente al popolo che si picca di rappresentare, che anche nel suo gregge risulta esserci qualche pecora nera e che anche nella Lega c’è qualche affarista o qualche poco di buono che usa il partito come copertura e passaporto per le sua malefatte. E che dire poi dell’alleanza difesa a spada tratta con un presidente del consiglio così compromesso in vicende così torbide?
Stesso discorso di Dell’Utri fa quello stinco di santo di Lombardo, erede di Cuffaro, lo sbafatore di cannoli, dalla presidenza della Regione siciliana. Il poveretto, anche lui raro se non unico esempio di «persecuzione mediatico-giudiziaria», come si è candidamente definito, dichiara di non aver mai preso né voti né soldi dalla mafia, quantunque giochino a suo sfavore le dichiarazioni di pentiti di spicco e di boss di primo piano. Chissà se gli inquirenti gli avranno chiesto a che pro la sua città natale, Catania, al tempo della sua elezione era tappezzata di santini con la sua immagine affissi in ogni negozio del centro e della periferia: solo un idiota non comprenderebbe che dietro questa ostentazione di fede c’era con probabilità il racket del pizzo e delle estorsioni, sceso in campo per sostenerlo. E non risulta che la malavita si spenda senza un tornaconto.
Fa comunque, specie, per non parlare di brividi veri e propri, l’atteggiamento del PD isolano, sconfitto da Lombardo, sceso in campo per sostenerlo dopo la rottura del politico inquisito con il PdL di Gianfranco Micciché. Parimenti molto da eccepire sul comportamento di Casini e soci, sempre pronti a far la predica ipocrita, ma balzati sul carro di Lombardo alla prima occasione. Si sarà cinicamente valutato che l’eredità Cuffaro non andava dispersa, come da insegnamento del grande Andreotti, caposcuola di quella DC disposta a tutto pur di occupare il potere: in certi casi turarsi il naso pur d’agguantare una poltrona.
L’Italia è sempre stata un paese di opportunismi e trasformismi gattopardiani, una terra di farabutti e affaristi senza scrupoli in collusione con la politica al punto da avere istituzionalizzato la propria diretta presenza in parlamento e nei gangli vitali della vita pubblica, ma mai come negli anni del berlusconismo s’è messo in evidenza come la delinquenzialità, la corruzione diffusa, il malaffare sfrontato siano divenuti fattori premianti e di successo.

(nella foto, il ministro Mara Carfagna)

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