Sanculotti di giornata e traditori abituali
Giovedì, 18 novembre 2010
(nella foto, Roberto Saviano)
I canili del presidente del consiglio sono alquanto agitati in questi giorni. Latrati, ululati e guaiti si mescolano ad un abbaiare furioso che rende persino timorosi gli addetti alla loro custodia e alla loro cura, desiderosa come sembra la muta variegata di azzannare il primo malcapitato.
All’origine di questo nervosismo ci sarebbero le vicende che interessano il loro padrone, sempre più stretto tra una probabile sfiducia programmata, una Corte in procinto di gettarlo nelle grinfie di un esercito di comunisti togati e un corpo elettorale disincantato, preso a leccarsi le ferite inferte da una scellerata quanto propagandistica politica delle frottole, raccontata in svariate puntate da un Silvio Berlusconi sempre più svampito e ogni giorno meno credibile.
La RAI, poi, ultimamente ci ha messo di suo, assoldando un comunista dell’ultim’ora, tale Saviano, che da due settimane spara ad alzo zero sul premier, i suoi canili, i dog sitter e le truppe cammellate padane che, in omaggio alle intuizioni machiavelliane, sono tutto con lui e zero assoluto nella malaugurata ipotesi in cui la stella di Arcore dovesse precipitare come in una qualunque notte di San Lorenzo.
Saviano, questo sanculotto travestito da un inedito Savonarola rosso, ha prima sberleffato i successi del governo nella lotta alla criminalità organizzata, parlando delle coperture e delle connivenze della politica con certa malavita, - quelle che portarono a sbarazzarsi di Falcone e Borsellino e, molto prima, di tanti magistrati ed esponenti delle forze dell’ordine che erano andati troppo vicini a verità inconfessabili, - poi ha spiegato come quella malavita si sia infiltrata stabilmente nelle aree del paese nelle quali girano i soldi e amministrano in maggioranza Lega e componenti politiche espressione del PdL. Naturalmente, il sanculotto ha sciorinato la sua narrazione non sulla base di maligne intuizioni o velenose ipotesi, ma sulla scorta di documenti ufficiali dell’Antimafia, che misteriosamente non erano andati in pasto al grande pubblico sino a quel momento.
Da lì, apriti cielo. Il musicista di Varese nonché ministro degli Interni Roberto Maroni, sentitosi direttamente offeso, ha sferrato un attacco di violentissimo al sanculotto, reclamando smentite, ritrattazioni, improbabili scuse e minacciando, - ma non si comprende perché non l’abbia fatto ancora, - querele e denunce e arrivando persino a chiedere l’intervento del Capo dello Stato di fronte all’invito ad andare “a ranare”, - come si direbbe dalle sue parti, - da parte del minacciato e delle strutture RAI responsabili del programma incriminato.
Come al solito, anziché attenersi ai fatti e condurre il doveroso approfondimento, i volantini di Arcore, quelli spacciati per quotidiani d’opinione, si sono immediatamente mobilitati in difesa del ministro, della Lega e delle amministrazioni locali di riferimento alla coalizione di governo, sparando fandonie allucinati del tipo «Il “sogno” di Saviano: leghisti assassini», «L’armata padana guidata da Bossi è un esercito pronto a usare il mitra contro immigrati, meridionali e negri» e così via e attribuendo al sanculotto la paternità di queste affermazioni. La sdegno del rottweiler Alessandro Sallusti, direttore de il Giornale, è stato tale da sentirsi in dovere di promuovere un referendum tra gli aficionados all’impiego del derivato di clorofilla che dirige, affinché esprimano il loro parere sull’allontanamento di Saviano dalla RAI, con esito, ovviamente, da girare ad un altro rarissimo esempio di equilibrio e democrazia di nome Mauro Masi, che, a quanto pare, darebbe la vita per difendere l’indipendenza dell’informazione fornita dall’ente che gestisce.
Sallusti è probabile non sapesse quando ha fatto la sua ridicola proposta che Mauro Masi, a sua volta, è stato oggetto di un referendum da parte dei giornalisti RAI, al quale ha partecipato pressoché l’unanimità degli iscritti all’Usigrai e degli addetti all’informazione dell’ente, che ha decretato con ben il 95% dei voti il pollice verso nei confronti del castigamatti. Né sarà stato al corrente del clamoroso arresto messo a segno dalle forze dell’ordine nelle ultimissime ore di Antonio Iovine, uno dei più feroci boss della camorra, latitante da 14 anni, che ha indotto Maroni a cercare di smorzare le polemiche con Saviano e a proporre «Continuiamo insieme la lotta alla criminalità», - come scrive oggi quell’altro scampolo di rotolone di nome Libero, diretto dal pitbull Belpietro.
Insomma, comunque si guardi la situazione il nervosismo impera, al punto che anche tra gli autori dello strappo nel PdL, i finiani, sembra evidenziarsi qualche pentimento.
Nel frattempo, il 29 prossimo si prepara il voto alla mozione di sfiducia presentata contro il ministro Bondi, quello della Cultura, ritenuto da più parti e ingiustamente a nostro avviso, l’autore dei clamorosi crolli di Pompei. Il povero Bondi, a nostro giudizio, sul quale grava un voto di completa insufficienza, è colpevole delle scelte discutibili di affidare a qualche consulente, profumatamente pagato, la supervisione dell’area archeologica in questione e di aver accettato, per evidente amore di poltrona, di restare al suo posto dopo gli improvvidi tagli al bilancio del suo ministero imposti da Tremonti, ma non certo di aver personalmente picconato l 'universalmente nota Casa dei Gladiatori. Dunque, chi ne ha proposto la sfiducia avrebbe forse dovuto meglio circostanziare l’atto in questione.
Certo, la preannunciata presa di distanza dalla partecipazione al voto da parte dei finiani di Fli non è un bel segnale di coerenza rispetto a quanto di più rilevante è previsto in materia di mozioni di sfiducia il prossimo 14 dicembre, ma, come direbbe qualcuno dell’entourage governativo, essere “traditori” è condizione genetica ed è una pratica alla quale si fa in fretta il callo.
All’origine di questo nervosismo ci sarebbero le vicende che interessano il loro padrone, sempre più stretto tra una probabile sfiducia programmata, una Corte in procinto di gettarlo nelle grinfie di un esercito di comunisti togati e un corpo elettorale disincantato, preso a leccarsi le ferite inferte da una scellerata quanto propagandistica politica delle frottole, raccontata in svariate puntate da un Silvio Berlusconi sempre più svampito e ogni giorno meno credibile.
La RAI, poi, ultimamente ci ha messo di suo, assoldando un comunista dell’ultim’ora, tale Saviano, che da due settimane spara ad alzo zero sul premier, i suoi canili, i dog sitter e le truppe cammellate padane che, in omaggio alle intuizioni machiavelliane, sono tutto con lui e zero assoluto nella malaugurata ipotesi in cui la stella di Arcore dovesse precipitare come in una qualunque notte di San Lorenzo.
Saviano, questo sanculotto travestito da un inedito Savonarola rosso, ha prima sberleffato i successi del governo nella lotta alla criminalità organizzata, parlando delle coperture e delle connivenze della politica con certa malavita, - quelle che portarono a sbarazzarsi di Falcone e Borsellino e, molto prima, di tanti magistrati ed esponenti delle forze dell’ordine che erano andati troppo vicini a verità inconfessabili, - poi ha spiegato come quella malavita si sia infiltrata stabilmente nelle aree del paese nelle quali girano i soldi e amministrano in maggioranza Lega e componenti politiche espressione del PdL. Naturalmente, il sanculotto ha sciorinato la sua narrazione non sulla base di maligne intuizioni o velenose ipotesi, ma sulla scorta di documenti ufficiali dell’Antimafia, che misteriosamente non erano andati in pasto al grande pubblico sino a quel momento.
Da lì, apriti cielo. Il musicista di Varese nonché ministro degli Interni Roberto Maroni, sentitosi direttamente offeso, ha sferrato un attacco di violentissimo al sanculotto, reclamando smentite, ritrattazioni, improbabili scuse e minacciando, - ma non si comprende perché non l’abbia fatto ancora, - querele e denunce e arrivando persino a chiedere l’intervento del Capo dello Stato di fronte all’invito ad andare “a ranare”, - come si direbbe dalle sue parti, - da parte del minacciato e delle strutture RAI responsabili del programma incriminato.
Come al solito, anziché attenersi ai fatti e condurre il doveroso approfondimento, i volantini di Arcore, quelli spacciati per quotidiani d’opinione, si sono immediatamente mobilitati in difesa del ministro, della Lega e delle amministrazioni locali di riferimento alla coalizione di governo, sparando fandonie allucinati del tipo «Il “sogno” di Saviano: leghisti assassini», «L’armata padana guidata da Bossi è un esercito pronto a usare il mitra contro immigrati, meridionali e negri» e così via e attribuendo al sanculotto la paternità di queste affermazioni. La sdegno del rottweiler Alessandro Sallusti, direttore de il Giornale, è stato tale da sentirsi in dovere di promuovere un referendum tra gli aficionados all’impiego del derivato di clorofilla che dirige, affinché esprimano il loro parere sull’allontanamento di Saviano dalla RAI, con esito, ovviamente, da girare ad un altro rarissimo esempio di equilibrio e democrazia di nome Mauro Masi, che, a quanto pare, darebbe la vita per difendere l’indipendenza dell’informazione fornita dall’ente che gestisce.
Sallusti è probabile non sapesse quando ha fatto la sua ridicola proposta che Mauro Masi, a sua volta, è stato oggetto di un referendum da parte dei giornalisti RAI, al quale ha partecipato pressoché l’unanimità degli iscritti all’Usigrai e degli addetti all’informazione dell’ente, che ha decretato con ben il 95% dei voti il pollice verso nei confronti del castigamatti. Né sarà stato al corrente del clamoroso arresto messo a segno dalle forze dell’ordine nelle ultimissime ore di Antonio Iovine, uno dei più feroci boss della camorra, latitante da 14 anni, che ha indotto Maroni a cercare di smorzare le polemiche con Saviano e a proporre «Continuiamo insieme la lotta alla criminalità», - come scrive oggi quell’altro scampolo di rotolone di nome Libero, diretto dal pitbull Belpietro.
Insomma, comunque si guardi la situazione il nervosismo impera, al punto che anche tra gli autori dello strappo nel PdL, i finiani, sembra evidenziarsi qualche pentimento.
Nel frattempo, il 29 prossimo si prepara il voto alla mozione di sfiducia presentata contro il ministro Bondi, quello della Cultura, ritenuto da più parti e ingiustamente a nostro avviso, l’autore dei clamorosi crolli di Pompei. Il povero Bondi, a nostro giudizio, sul quale grava un voto di completa insufficienza, è colpevole delle scelte discutibili di affidare a qualche consulente, profumatamente pagato, la supervisione dell’area archeologica in questione e di aver accettato, per evidente amore di poltrona, di restare al suo posto dopo gli improvvidi tagli al bilancio del suo ministero imposti da Tremonti, ma non certo di aver personalmente picconato l 'universalmente nota Casa dei Gladiatori. Dunque, chi ne ha proposto la sfiducia avrebbe forse dovuto meglio circostanziare l’atto in questione.
Certo, la preannunciata presa di distanza dalla partecipazione al voto da parte dei finiani di Fli non è un bel segnale di coerenza rispetto a quanto di più rilevante è previsto in materia di mozioni di sfiducia il prossimo 14 dicembre, ma, come direbbe qualcuno dell’entourage governativo, essere “traditori” è condizione genetica ed è una pratica alla quale si fa in fretta il callo.
(nella foto, Roberto Saviano)
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