giovedì, ottobre 14, 2010

Masi: punire Santoro per punirne 100

Giovedì, 14 ottobre 2010
Come ha osservato qualcuno, se la querelle Santoro-Masi fosse avvenuta in una qualsiasi azienda il destino del primo sarebbe stato probabilmente segnato: un licenziamento in tronco per “atto di grave insubordinazione” e fine della trasmissione. Fiat e Marchionne insegnano.
E’ doveroso precisare, comunque, che anche nel caso sopra detto il provvedimento non avrebbe potuto essere comminato senza il rispetto delle procedure disciplinari previste dai singoli contratti di lavoro e dalle norme della legge 300/70, nota come Statuto dei Lavoratori.
Sarebbe stata facoltà dell’azienda comminare la sospensione cautelare in attesa che l’iter disciplinare facesse il suo corso, ma l’erogazione immediata della sanzione è al di fuori di qualunque previsione, essendo riconosciuto al lavoratore il sacrosanto diritto alla difesa nei tempi e nei modi tassativamente stabiliti.
Questo presupposto è già di per sé un elemento dirimente della legittimità del provvedimento assunto, poiché il mancato rispetto della procedura rende automaticamente nullo, non annullabile, la sanzione comminata.
In ogni caso, le norme disciplinari dicono anche che la sanzione deve essere commisurata alla gravità dell’infrazione commessa e, nel caso in esame, è dubbio che l’espressione - infelice, ma non così volgare e offensiva come vorrebbe accreditare una certa stampa di parte, - di Santoro possa implicare il recesso per giusta causa o grave motivo oggettivo.
Ma nella vicenda in questione l’aspetto procedurale paradossalmente non è preminente, poiché lo scontro tra Santoro e Masi supera la mera problematica disciplinare e s’inquadra nella guerra senza quartiere che il capo del governo ha da anni dichiarato al dissenso, alla critica ed alla stampa che se ne fa interprete. E per condurre questa guerra di pulizia etnica si avvale oggi, come s’è avvalso in passato, di ogni mezzo: dalla minaccia all’interferenza con l’Autorità Garante, agli ordini a stuoli di lustrascarpe e baciapile, collocati persino in posti chiave di controllo e comando, che, rischiando apparentemente in proprio, compiono veri e propri atti criminali di killeraggio nei confronti dei dissidenti pur di raggiungere l’obiettivo comandato.
Questa posizione orami chiara e trasparente del capo del governo è frutto di una situazione che definire anomala nel contesto civile occidentale rende solo parzialmente l’idea. C’è un’annosa e irrisolta questione di conflitto di interessi, che è talmente ramificato da inquinare tutto; c’è una situazione giudiziaria, - che è vera ragione della discesa in campo, - che sta corrodendo il fondamento del diritto e che non consente l’amministrazione del paese, impantanato nelle infinite discussioni su processi brevi, prescrizioni corte e immunità del premier; c’è un uso talmente distorto dei media di cui il capo del governo è direttamente proprietario e di quelli che indirettamente controlla, che subissa l’opinione pubblica con scandali e dossieraggi sugli avversari, al solo scopo di ricattare o trascinarli nel fango, nell’intento di dare del paese una visione di troiaio in cui tutti sono coinvolti e con le mani sporche; c’è un uso dell’informazione controllata teso a distrarre l’attenzione dai guai del capo del governo, stordendo l’opinione pubblica con cronaca nera, gossip e notizie pruriginose di varia specie, che allontanano la gente dalla politica e ne assopiscono lo sdegno per lo stato di totale abbandono in cui vive gran parte della popolazione, oltre che la volontà di reazione.
E’ in questo clima che Masi si scaglia con inaudita ferocia contro un ingenuo Santoro, che perde il controllo e lo manda a quel paese: ha già fallito il tentativo di bloccare la partenza della trasmissione Anno Zero; ha toppato l’operazione di pulizia con Ruffini, rimosso con atto d’imperio e reintegrato dal tribunale del lavoro, e adesso non può permettersi un altro fiasco. Lo stesso direttore, che usa due pesi e due misure, non muove però un dito contro le falsità che blatera in diretta al TG1 Minzolini, - assoluzione e non prescrizione del reato dell’avvocato Mills, - o le omissioni di cui si rende autore il suo burattino su quella rete: è un altro soldato di ventura in forza alla sua truppa e si sa che il cane non mangia un altro cane.
In questo quadro scellerato e drammatico è impossibile, oggi, non schierarsi contro chi vuole imbavagliare notizie e opinioni. Perché l’attacco all’informazione “non conforme” è grave, continuo e sempre più inquietante e Santoro, al di là dei suoi errori, non può essere lasciato solo nella trincea della resistenza, rappresentando un vigoroso baluardo contro quella “normalizzazione” fascista, che un premier antidemocratico e liberticida intende imporre, quasi non fossimo in Italia ma in Birmania.
E che il dissenso di cui si fa interprete Santoro non sia fatto isolato è testimoniato dall’incredibile share che realizza Anno Zero, share che consente alla RAI di contabilizzare imponenti fatturati pubblicitari, con i proventi dei quali vengono pagati anche i lauti quanto immeritati stipendi di Masi e Minzolini.
La decisione di Masi è, dunque, gravissima sul piano del danno economico alla RAI, poiché farà saltare ben due puntate del programma con relativi introiti. E se questo non fosse sufficiente per condannare una decisione spropositata e illegittima, occorre rammentare al direttore generale della RAI che nessuno gli ha delegato il potere di punire, oltre che Santoro, anche i milioni di telespettatori che sono obbligati a pagare il canone ed ai quali per meschino atto di servile arroganza è preclusa la possibilità di seguire Anno Zero, con le vere o presunte faziosità che racconta.
Ma Santoro non è né il primo né l’ultimo di questa allucinante guerra per la restaurazione. Nel fare la lista, - sempre con il rischio di dimenticarne qualcuno, - dei numerosi silurati dal piccolo schermo in omaggio a questa concezione reazionaria dell’informazione, basterà ricordare Enzo Biagi, Daniele Luttazzi, Corrado e Sabina Guzzanti, Carlo Freccero, Giovanni Minoli, Paolo Di Giannantonio, Maria Luisa Busi, Tiziana Ferrario, Piero Damosso, giusto per fare qualche nome. E a conferma della melma che si stratifica a viale Mazzini il consigliere Antonio Verro, il giorno dopo in cui scoppiò il caso della contestazione a Minzolini per la falsa informazione sul caso Mills, affermò: «La Rai dovrebbe chiedere i danni» a chi ha firmato la contestazione al direttore Minzolini, «Il Tg1 cresce negli ascolti dei giovani, fascia appetibile alla pubblicità» e Minzolini è criticato «perché è uno che ha le palle», ovviamente senza specificare dove per decenza. Si badi, è lo stesso Verro che per attaccare Massimo Liofredi, direttore di RAI2 e prossimo personaggio da trombare, non ha esitato a sentenziare: «Avrebbe bisogno di cambiare aria. Rai2 vive solo su Santoro, X Factor e Isola dei famosi, programmi che esistevano prima di lui». Coerenza ha voluto che contro l’idiozia di Masi non abbia assunto alcuna posizione.
Mentre accadono questi fatti dagli sviluppi e gli esiti incerti per le parti in campo, viene comunque da pensare che la cosa peggiore che un regime illiberale possa fare è ad'vvelenare il pozzo della ragione, trasformando anche chi avrebbe torto in qualcuno che, legittimamente, può oggi dire d’essere nel giusto.

(la vignetta è tratta dal sito www.gianfalco.it)

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